In concorso al Festival di Berlino 2021, Natural Light (titolo originale Termèòszetes Fény) è l’esordio nel cinema di finzione di Dénes Nagy, giovane cineasta ungherese con un paio di documentari alle spalle, il quale presenta alla Berlinale 71. un’opera ambiziosissima, con alcuni difetti ma comunque interessante.
NATURAL LIGHT E QUELL’EVIDENTE INFLUENZA (POSITIVA) DE IL FIGLIO DI SAUL
Natural Light racconta la storia di Semetka, un pastore ungherese arruolatosi durante la seconda guerra mondiale e parte di una unità speciale che si occupa di scovare partigiani nascosti nei villaggi dell’Unione Sovietica. L’anno è il 1943, e i segni della guerra si intravedono negli abitanti dei piccoli villaggi, stremati e affamati. Un giorno il comandante dell’unità viene ucciso dal fuoco nemico, costringendo Semetka a prendere le redini della truppa per sopravvivere.
Chiaramente l’esordio “fiction” di Nagy discende da quel bellissimo Il Figlio di Saul di Laszlo Nemes, opera ungherese ambientata durante la seconda guerra mondiale vincitore del premio Oscar come Miglior Film Straniero. I due film hanno in comune la ricerca – molto riuscita nel film di Nemes – di una atmosfera onirica nel senso peggiore del termine, ovvero il riassunto del lato “assurdo” della guerra, quello che porta individui normalissimi a partecipare al massacro.
Così è Semetka, il protagonista di Natural Light. Un uomo gentile, bonario, che non tradisce mai un’emozione, che parla poco e che sembra sempre il più gentile e ingenuo nella stanza. Egli inoltre viene spesso inquadrato, come Saul, da dietro la spalla, così che il corpo del pastore stia sempre ad occupare buona parte dell’inquadratura. In questo modo, quando durante il film Semetka si trova a dover prendere decisioni e a comandare la truppa, siamo letteralmente in balia di un personaggio che non conosciamo, del quale non ci è chiara la personalità. È un uomo misterioso e verosimilmente pronto a tutto, cosi come era il Saul di Nemes.
UN COMPARTO TECNICO STRAORDINARIO PER UN’OPERA CHE È PURO CINEMA D’ESSAI
Anche nella scelta degli attori non protagonisti, ovvero degli abitanti dei villaggi, Nagy e il suo team casting hanno fatto un lavoro egregio. Tutti i visi e le espressioni degli attori rimandano esattamente al luogo e al tempo in cui il film ci vuole sospendere: l’Unione Sovietica durante la guerra.
E Natural Light ai corpi degli attori aggiunge un’atmosfera costruita benissimo, con un comparto sonoro fantastico che restituisce i “rumori” della notte – la legna che arde, il silenzio della natura, i suoni dei proiettili. Alla costruzione meticolosa di un’atmosfera di fredda notte bellica si aggiunge il lavoro sulle luci fatto dal team di Nagy, così come la complessità dei movimenti di macchine e delle inquadrature contribuisce a creare un’opera stilisticamente maestosa.
In questo senso il film di Nagy è puro cinema d’autore, per i tempi dilatati del racconto, l’attenzione ai dettagli, la voglia che ha di raccontare l’atmosfera di un luogo ancor prima che una storia.
È art-house per come la guerra viene narrata senza la “spettacolarizzazione” cinematografica, quindi senza i carri-armati, le grandi battaglie corali o i racconti di snodi cruciali di un conflitto che hanno segnato per sempre il mondo. Dello scontro viene raccontato il silenzio, la calma, le conseguenze, le piccole cose quotidiane che accadevano a chi era suo malgrado in prima linea.
In conclusione, Natural Light è un film che si colloca perfettamente in un grande festival internazionale. È un’opera molto complessa da un punto di vista stilistico, così come è purtroppo fievole da un punto di vista narrativo. L’atmosfera faticosamente costruita dal regista non è mai veramente sorretta da una storia in grado di catturare l’attenzione, poiché i fatti vengono raccontati per allusioni, metafore, non-detti, rumori. Dinnanzi a una grande forma manca un contenuto altrettanto eccellente.
immagine di copertina © Tamás Dobos