Potremmo iniziare questa recensione stilando una lunga e interminabile lista di racconti cinematografici, televisivi e letterari ai quali Night Raiders vorrebbe rifarsi. Sarebbe una lista composta da opere post-apocalittiche e dal richiamo alle distopie di carattere orwelliano che paiono essere il terreno comune sopra il quale la debuttante alla regia di un lungometraggio Danis Goulet impianta un film insipido e di disarmante grigiore.
La pellicola, presentata in anteprima nella sezione Panorama del Festival di Berlino 2021 e prodotta anche da un astro contemporaneo come Taika Waititi, viaggia con il pilota automatico cercando di destreggiarsi nell’anonimato di un generico prossimo futuro (2043) dove un nuovo ordine mondiale allunga le sue mani armate.
Night Raiders è un debutto alla regia incolore
Dall’ovvia e a quanto pare inevitabile apertura del film nei boschi dove madre figlia si sono rintanate, ben presto la ben poco convincente Niska (Elle-Máijá Tailfeathers) e la giovane Waseese (Brooklyn Letexier-Hart) trasmigrano nell’immancabile città deturpata dalla guerra scoppiata non troppo tempo fa e che lascia pigramente i segni della devastazione su un abbozzato skyline in CGI. Dietro questi primi palazzi che cadono a pezzi si scorge però un altro sfondo ben più glorioso: è Emerson, l’altra città, quella scintillante e tirata a lucido dal regime instaurato da una non meglio specificata potenza vincitrice. Qui sono raccolte tutte le migliori risorse rimaste, compresi i bambini e ragazzi che vengono strappati dalle braccia dei propri familiari perché possano essere indottrinati al servizio di questo nuovo ordine.
E la narrazione di Night Raiders non esce mai da questi binari che potrebbero descrivere una qualsiasi opera esponente di un genere inflazionato e quindi difficile da padroneggiare offrendo una chiave di lettura inedita, o quantomeno con del mordente. I tre atti del film, scanditi con il bisturi in parti perfette durante la sua ora e mezza di durata, seguono quindi prima il goffo tentativo di creare affezione nella coppia Niska-Waseese, poi l’allontanamento forzato della figlia dalla madre e infine il tentativo di quest’ultima di riprendersi ciò che le è stato portato via.
Una distopia declinata sui generis e senza mordente alcuno
La scrittura della Goulet è però scolastica e rigida tanto quanto lo è una regia pallida che pare restituire le stesse sensazioni di fiacchezza trasmesse dalla staticità delle ultime stagioni di The Walking Dead (con la creatività visiva, poi, siamo più o meno da quelle parti…). Il traino del racconto è, o dovrebbe esserlo, tutto sulla forza di un legame che non ha mai la carica necessaria a interessare lo spettatore, di conseguenza totalmente disaffezionato all’esile sviluppo degli eventi i cui trigger narrativi sono spigolosi e respingenti.
Non interessa il più tipico indottrinamento e l’omologazione militare della ragazza nella caserma del regime, non interessa l’ingresso della madre in un’organizzazione clandestina composta da indigeni Cree che, per qualche ragione e con zero pathos, la investono del ruolo di guida-guardiano (in realtà il film apre con una profezia in voice over, ma ci pare un espediente giusto un poco esile).
Tentando di sorvolare riguardo la costruzione sui generis del setting e del background, il fatto è che Night Raiders corre a vuoto anche dietro ai temi portanti sui quali vuole porre i suoi debolissimi accenti. C’è l’ovvio sottotesto politico, c’è l’abbozzo di un’analisi sociale, c’è lo sguardo lanciato alle nuove forme di controllo tecnologico, ma di certo quello che manca è l’affondo concreto su una, che sia una, di queste pseudo-idee. Ne esce fuori un film che ha davvero poco da offrire sul lato dell’intrattenimento e ancora meno sul lato riflessivo all’interno del quale cerca in qualche modo di avvolgersi, vaporoso nella forma e nella sostanza senza possibilità di appello alcuno. Purtroppo lo abbiamo già dimenticato.
immagine di copertina © Christos Kalohoridis