Ogni volta che esce un progetto legato ad un cult del passato, la paura che non solo possa essere un flop ma che sminuisca l’eredità lasciata dall’opera madre è sempre dietro l’angolo. Quando poi si tratta del prosieguo di un film come Il Principe Cerca Moglie, commedia amatissima che dal 1988 diverte gli spettatori di tutto il mondo (ne abbiamo parlato qui), il timore aumenta esponenzialmente.
Di un sequel si era già cominciato a parlare nel 2017 ma nel 2019, con l’annuncio del casting di Eddie Murphy e l’ingaggio del regista Craig Brewer, Il Principe Cerca Figlio (titolo originale Coming 2 America) diventa realtà, destando l’attenzione di molti fan – per merito anche di Dolemite Is My Name, riuscita pellicola di un paio di anni fa che vede proprio la collaborazione tra Murphy e Brewer.
Originariamente destinato alla sala, il film ha subìto uno slittamento a causa della pandemia che ha scombussolato tutti i piani della Paramount. L’accordo in esclusiva siglato con Amazon (che lo ha reso disponibile in streaming su Prime Video dal 5 marzo) ha però permesso alla casa di produzione di incassare ben 125 milioni di dollari. Ma, alla fine dei conti, ne è valsa la pena aspettare più di 30 anni il ritorno del principe Akeem? La risposta è purtroppo negativa.
IL PRINCIPE CERCA FIGLIO VEDE IL RITORNO DI AKEEM NEGLI STATI UNITI ALLA RICERCA DEL SUO EREDE AL TRONO
Akeem (Eddie Murphy), tornato nel regno di Zamunda, è felicemente sposato con Lisa (Shari Headley) ed è padre di tre splendide ragazze. Tuttavia le pessime condizioni di salute del re Jaffe Joffer (James Earl Jones) lo costringono a prendere il potere, trovandosi subito a dover fronteggiare una minaccia: il dittatore di uno stato confinante, il generale Izzi (Wesley Snipes), vuole approfittare della mancanza di un erede maschio per diventare il nuovo sovrano. Ecco però che, grazie ad una rivelazione, Akeem scopre di avere un figlio a New York, di nome Lavell (Jermaine Fowler). Assieme al fidato Semmi (Arsenio Hall) partirà per gli Stati Uniti per portare il suo ragazzo a Zamunda, ma la missione si rivelerà più complicata del previsto.
IL POLITICALLY CORRECT VINCOLA PESANTEMENTE IL PRINCIPE CERCA FIGLIO, A SCAPITO DELLA COMICITÀ
La premessa, per quanto riguarda l’analisi di un film come Il Principe Cerca Figlio, è doverosa: a prescindere dal suo valore, sarebbe stato ingeneroso utilizzare come metro di paragone la pellicola di John Landis perché, per ciò che ha rappresentato nella cultura popolare, è impossibile collocare un suo seguito sullo stesso piano. Partendo da questo presupposto, la curiosità maggiore alla vigilia era quella di vedere il tipo di approccio utilizzato da Craig Brewer nel riprendere, in chiave moderna, la storyline di Akeem.
Scritto dagli sceneggiatori originali de Il Principe Cerca Moglie David Sheffield e Barry W. Blaustein, assieme al contributo dello showrunner di Black-ish Kenya Barris, il lungometraggio sin da subito si rivela zeppo di pseudo-umorismo di bassa lega eppure estremamente attento al politicamente corretto (lo stesso Brewer ha dovuto spiegare alcune scelte di produzione, tra cui quella di non realizzare un film vietato ai minori). Ciò ha influito inevitabilmente sul tono generale de Il Principe Cerca Figlio, poco brillante, e sulla costruzione degli sketch, imbarazzanti e sempre forzati (soprattutto se in questo modo si limitano due comici straordinari come Hall e Murphy, che sulla comicità caustica ed irriverente hanno costruito una carriera).
Nonostante uno sviluppo narrativo mediocre, una sottotrama potenzialmente interessante poteva essere quella del conflitto di genere che si crea tra i figli del principe per la successione (tanto che nella seconda parte Akeem viene quasi messo in secondo piano); peccato però che ogni mossa dei protagonisti sia prevedibile, togliendo al pubblico qualsiasi possibilità di reale coinvolgimento. Anche l’ingresso di personaggi secondari, come quelli interpretati da Wesley Snipes e da Leslie Jones (nella parte della madre di Lavell), aggiungono poco mordente ad un mosaico facilmente dimenticabile.
TRA FANSERVICE E OMAGGI ALLA BLACK CULTURE, IL PRINCIPE CERCA FIGLIO NON RIESCE MAI AD AVERE UNA PROPRIA IDENTITÀ
Il Principe Cerca Figlio, nell’omaggiare l’impatto che il cult del 1988 ha avuto sulla comunità afro-americana, celebra pomposamente la black culture in tutte le sue sfumature con numerosi riferimenti e cameo (Morgan Freeman, il rapper Rick Ross, l’ex cestista Dikembe Mutombo e l’autore satirico Trevor Noah sono solo alcune delle personalità presenti) È però curioso come, a distanza di più di trent’anni, sia ancora un regista bianco al timone di un progetto così identitario (soprattutto in questo periodo storico, dove la tematica della diversità è diventata centrale ad Hollywood), anche se va sottolineato che Brewer lavora su storie con afro-americani protagonisti da più di 15 anni (come lui stesso ribadisce con forza). La pellicola inoltre non perde mai occasione di inserire continui richiami a Il Principe Cerca Moglie, tra cui addirittura alcune scene famose.
Il risultato finale di questo fanservice così massiccio sconfina in un’operazione nostalgia sterile e a tratti fastidiosa nel suo essere eccessiva (un esempio, tra i tanti, sono gli estenuanti momenti musicali), che non rende giustizia al lungometraggio di Landis, non permette al film di acquisire una propria personalità e, cosa peggiore per una commedia, non regala praticamente mai una risata.
L’ondata amarcord del cinema americano, che riscuote un grande successo (i numeri del film di Brewer nei primi giorni parlano chiaro), sta spingendo Eddie Murphy ad annunciare la lavorazione di un quarto capitolo della saga di Beverly Hills Cop e di avere già idee per un Coming to America 3. Indipendentemente dalla chiusura delle sale a causa del Covid-19 (che ha solo accelerato il processo), le scelte adottate dagli studios mostrano chiaramente come da qualche anno a questa parte la loro priorità sia quella di rischiare il meno possibile con script originali, andando sul sicuro con franchise consolidati che possano garantire un riscontro di pubblico immediato a scapito anche della qualità (la standardizzazione della maggior parte dei blockbuster, per produzione e tematiche, è ormai un dato di fatto). Il Principe Cerca Figlio è solo l’ennesimo prodotto di un’industria in crisi artistica che non ha il coraggio di rimettersi in gioco, soprattutto in tempi difficili come questi. E a farne le spese è solo lo spettatore.