Il calcio è da sempre uno sport che ha la forza di porsi a mito fondativo delle comunità. Un collante sociale (con le sue aberrazioni) in grado di essere un filo conduttore tra poli distanti. È lungo questa linea dall’unica natura ma dagli estremi opposti che scorre La volta buona, l’ultimo film di Vincenzo Marra (L’Equilibrio) presentato nella sezione Alice nella città della Festa del Cinema di Roma del 2019 e disponibile in DVD Mustang / Altre Storie / CG Entertainment.
Dall’Italia all’Uruguay, un volo sopra l’oceano che rappresenta quasi un viaggio della speranza, organizzato loscamente in quattro e quattr’otto dal traffichino Bartolomeo (Massimo Ghini), procuratore sportivo senza più smalto e sommerso da pericolosi debiti. Da lì giù, dal Sud America terra di opportunità per quella generazione di “boomers” europei in cerca di rivalsa, arriva infatti una chiamata dall’ex socio d’affari e di vita Bruno (Max Tortora).
La Volta Buona: dall’Uruguay all’Italia con il calcio come filo conduttore
C’è un ragazzino da portare in Italia, è un piccolo fenomeno ed è l’occasione per fare il salto definitivo, per rimettersi in carreggiata dopo anni passati ad annaspare tra matrimoni falliti e conti in rosso. Forse però neanche lì in Uruguay le cose vanno tanto bene per chi è fuggito via, dove la cittù di Montevideo sembra solamente la periferia di Roma un po’ più soleggiata. Ed il ragazzino, Pablito (la rivelazione Ramiro Garcia), dal volto serio e di cera, ha sì il potenziale di un nuovo Messi, ma ne condivide anche le problematiche fisiche. Piccolino, gracile, le società di calcio non sono disposte ad investirci e se sono intenzionate a farlo è ai loro termini, senza scrupoli o remore.
La volta buona funziona (bene) perché in primis a funzionare è l’alchimia tra i due protagonisti del racconto, Ghini e Garcia, inquadrati all’interno di una narrazione essenziale ma in grado di evidenziare gli snodi cruciali del rapporto. La declinazione dell’arco di avvicinamento tra questi corpi estranei è dei più classici, ma la sceneggiatura (dello stesso Marra così come il soggetto) tiene insieme le parti senza andarsi ad ingrassare in filippiche o moralismi. A tratti un road movie, poi sterza ed attinge un po’ dal crime, infine si rivela come un percorso di formazione e crescita inevitabile ma non per questo meno sentito.
La Volta Buona di Vincenzo Marra è una favola amara e composta
Di fondo quella de La volta buona è una favola amara così come sono amari i destini di questi uomini sconfitti e meschini, affabulatori ombre di sé stessi che in particolare nei corpi di Tortora e Ghini regalano momenti di incredibile spessore nel momento in cui si dedicano al ricordo dei tempi andati. Quando si parla i dialoghi paiono strapparsi via dalla bocca di chi li pronuncia, come se scalciassero per venir fuori da alcuni silenzi che il regista imprime con efficacia sullo schermo attraverso gli sguardi carichi degli interpreti (il giovane Pablito ha un intero mondo dietro quegli occhi).
Marra concede al suo film di scalpitare anche con alcune sferzate di ironia, che quando irrompono nella scena sono secche, acide, giocate spesso su un rovesciamento delle responsabilità dei ruoli e fanno increspare le labbra più in una smorfia che in un vero e proprio sorriso. Poi tutto torna in carreggiata ed un po’ grigio, tra quei palazzi che si affacciano sui campetti di periferia inquadrati da una mdp che li scandaglia dall’alto in basso.
C’è da dire che il film procede composto per quasi la sua intera durata (95 min.), salvo conoscere una brusca ellisse nel finale, troppo netta e che taglia fuori un’evoluzione conclusiva degli eventi che rende volatile la chiusura di un racconto fino a lì ottimo.