Je Suis Karl di Christian Schwochow, presentato nella sezione Berlinale Special del Festival di Berlino 2021, è un thriller-drama di produzione tedesca e ceco-slovacca che indaga gli effetti collaterali dell’onda d’urto generata dal terrorismo.
JE SUIS KARL, SCHWOCHOW FRA TRAUMA E TERRORISMO
Ambientato in una Berlino senza una precisa collocazione storica, Je Suis Karl è un’opera che guarda a un fenomeno sociale, partendo da una concreta esperienza di vita. Maxi (Luna Wedler) perde la madre e il fratello a causa dell’esplosione di un pacco durante una consegna. Confusa e sconcertata, con il dolore del trauma sulle spalle, è trascinata in un vortice di eventi ingestibili.
JE SUIS KARL PARTE DAL CASO STORICO DEGLI ATTENTATI DI PARIGI E LI RILANCIA SU UN LIVELLO TRASVERSALE
Il film di Schwochow trova un riferimento esplicito ai tragici eventi del Novembre 2015 a Parigi. La risposta all’estremismo ideologico è qui sintetizzata in un motto che ricorda esplicitamente il “Je suis Charlie”. Je Suis Karl sceglie una strada diversa per riproporre una tragica parentesi storica, non ancora chiusa. I riferimenti sono molti e diretti, ma il valore trasversale del terrorismo e della lotta ideologico-politica viene qui mantenuto. Il rancore di Maxi, il senso dell’abbandono del padre (Milan Peschel) di fronte alla morte insensata e accidentale sono la spinta di uno script strutturalmente efficace.
IL CONTRO-TERRORISMO, I GIOVANI E LE DEGENERAZIONI DELL’UTOPIA
Mentre Schwochow torna sull’evento dell’attentato in forma pluriprospettica, mostra le pulsioni di un mondo ideale, in cui la sensibilità politica dei giovani è ancora esistente. Questa si esplica nel movimento della Regeneration, per una nuova Europa che modifichi le sue coordinate politiche a fronte di una lotta di potere e di interessi economici le cui implicazioni sulla vita individuale sono spesso sottovalutate. Assumendo questo sguardo sul fenomeno, Je suis Karl si propone come manifesto utopico.
Quando Maxi viene intercettata appositamente da Karl (Jannis Niewöhner) – appartenente al neo-movimento politico di rinnovamento – il corso della narrazione viene ristrutturato. Non è più la storia sul trauma, ma un thriller politico che, in fondo, non aggiunge nulla di nuovo alla filmografia sul genere.
JE SUIS KARL HA UN MESSAGGIO POLITICO CHIARO, MA MOSTRA UN CERTO SQUILIBRIO NELLO SCRIPT
Il messaggio politico è diretto e non travisabile. Je Suis Karl conduce verso una visione politica di rinnovamento che sa quasi si socialismo ideale. Non a caso l’abbinamento dei nomi dei due giovani protagonisti sono Karl e Maxi. Due nomi che, messi così vicini, non hanno bisogno di ulteriori commenti. Questo stile cinematografico politicamente aperto non guasta, ma il raccordo fra le linee tematiche fatica a essere messo in atto. Il trauma da una parte, la politica dall’altra. Maxi ne diventa un trade union squilibrato, perdendo di vista il processo di metabolizzazione del trauma che, non si comprende, se venga o meno incanalato nell’attività terroristica. A parte questo squilibrio dello script, Je Suis Karl è un atto di coraggio, di una cinema che non si mostra intimidito ma che anzi offre, almeno nell’immaginario, un’occasione di riscatto.
ALLA 71.BERLINALE UN FILM SULLE FORZATURE DEL SOCIALISMO IDEALE
Schwochow si assume l’onore si un tema forte e presente, analizzandone le possibili contro-risposte politiche. La violenza genera violenza, l’estremismo porta ad altro estremismo in un vortice che comporta una cecità etica, non valutando le conseguenze dell’atto. Per quanto possa sembrare incarnazione di giustizia, anche la causa del progresso facilmente scivola nei mezzi sbagliati per perseguire il fine. Lo svecchiamento che propone Je Suis Karl si riferisce alla necessità di superamento di una polarizzazione destra-sinistra troppo obsoleta. Per questo la via del realismo è complessa, stratificata e la nuova idea ha bisogno di uccidere Dio e superare i vecchi valori. Mentre Maxi incanala il suo dolore verso un’attività vendicativa, più che ideologia, parallelamente suo padre affronta i demoni del dolore e si riabilita concentrando le proprie forze sulla riabilitazione della figlia, sempre più oggetto di un adescamento settario.
JE SUIS KARL RISOLVE IL TRAUMA, OFFRENDO UNA RISOLUZIONE SIMBOLICO-PSICOANALITICA
Il film di Schwochow conduce la protagonista verso l’irrimediabile peso della scelta. L’esperienza traumatica qui giunge in soccorso per orientare l’atto: un dolore che offre lucidità. In questa condizione apparentemente insuperabile, Maxi, partendo dal proprio vissuto, scorge l’orrore nell’utopia. Il prezzo dell’innocenza è la moneta da pagare per ogni idealismo che piega a sè la realtà. Di questa verità Je Suis Karl si fa carico.
Una dialettica del destino, in cui il gravare del proprio vissuto riesce a orientare le scelte, evitando il vortice della violenza. E che il dolore, nella fragilità e nella strumentalizzazione, può diventare pulsione di morte. In un oscuro sotterraneo, la risoluzione è quella dell’accettazione, lacrime e abbraccio nel rimbombo di una preghiera musulmana. Le forze consce e inconsce si incontrano in un contrasto sofferto luce-ombra, liberando Maxi – e l’umanità intera – dal peso della colpa.
© Sammy Hart / Pandora Film