Waiting for the Barbarians è il primo film in lingua inglese del colombiano Ciro Guerra, il quale si era guadagnato una candidatura agli Oscar nel 2016 per El Abrazo de la Serpiente per il miglior film straniero. Il soggetto deriva dall’omonimo romanzo del 1980 del premio Nobel J. M. Coetzee che qui firma la sceneggiatura.
Prodotto e distribuito da Iervolino Entertainment e ora disponibile in DVD, Blu-ray e streaming in collaborazione con CG Entertainment , il lungometraggio aveva debuttato alla 76a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2019, concorrendo anche per il Leone d’Oro. Nel cast Mark Rylance (premio Oscar nel 2016 per Il Ponte delle Spie di Spielberg), Johnny Depp e Robert Pattinson.
WAITING FOR THE BARBARIANS: UN MAGISTRATO AI CONFINI DELL’IMPERO IN ATTESA DEI BARBARI
Un magistrato (Mark Ryalance) vive in uno degli avamposti di frontiera dell’Impero, dove vengono tenuti sotto stretto controllo i confini per arginare le avanzate delle popolazioni straniere. Nell’insediamento vige un’atmosfera di quiete e di non belligeranza con i “barbari”. L’arrivo del colonnello Joll (Johnny Depp), inviato a monitorare le periferie dell’impero, è l’evento che scatena l’odio delle popolazioni autoctone, soprattutto a causa dei metodi violenti utilizzati durante gli interrogatori – sia dal colonnello che dal suo secondo in carica, Mandel (Robert Pattinson) – e a cui si oppone lo stesso magistrato, rivendicando trattamenti umani per i prigionieri.
SCELTE STILISTICHE TRA IL NOTO E L’IGNOTO
Il film, diviso in quattro episodi (Estate – Il colonnello; Inverno – La ragazza; Primavera – Il ritorno; Autunno – Il nemico), si focalizza su un’unità di spazio narrativo molto ristretta, rappresentando una storia di confine, di incontri, di risvegli e di riscatti morali. La regia rende pienamente il senso di una quiete narrativa che ricorda Seta di Girard (2007); una storia sospesa nel tempo e nello spazio, nell’oscillazione fra culture diverse, restituita anche dalla scenografia del pluricandidato agli Oscar Crispian Sallis e dalle musiche dell’italiano Giampiero Ambrosi che presentano un leit motiv orientale molto fine, ma anche troppo inflazionato. Con queste scelte stilistiche che muovono tra il noto e l’ignoto, si crea un prodotto cinematograficamente molto ben costruito, nonostante alcuni momenti di forzato trascinamento.
WAITING FOR THE BARBARIANS E UN CAST D’ECCEZIONE
Se i grandi nomi attraggono, il pubblico non si aspetti, però, un film con la costante presenza di Johnny Depp, al quale è affidata una parte che dire da co-protagonista è forse esagerato, dato che, seppure sia importante per mettere in moto la narrazione, compare per una fase limitata del film. Stesso dicasi per Robert Pattinson (il nuovo volto della Hollywood commerciale e non) che, insieme a Depp, ha uno screen time ridotto all’osso. Johnny Depp non è di certo alla ribalta, seppure l’interpretazione sia quella di un personaggio crudele, granitico e compassato; ben interpretato, ma anche ancora una volta eccessivamente stilizzato (e ulteriormente penalizzato dal doppiaggio italiano).
WAITING FOR THE BARBARIANS: UN FILM DI FRONTIERA
Considerando l’insieme sistemico, il film propone una grammatica essenziale ma efficace, con temi forti frutto della genialità di Coetzee e con cui Guerra lavora in ottima simbiosi. Un film dai confini incerti, dunque, proprio come lo è la composita scelta della troupe e il contesto tematico che fa da sfondo alla narrazione: la frontiera che, per sua definizione, è uno spazio che si plasma, che si costruisce, indefinito, che pulsa grazie a osmosi fra culture diverse.
L’UOMO MITE E L’UOMO INGIUSTO. UN FILM SUI COLONIZZATORI E SULL’ETNOCENTRISMO CRITICO
Proprio sulla frontiera è inscenata la lotta fra il cieco colonizzatore e l’uomo di cultura, il cui punto di vista è quello dell’etnocentrismo critico che guarda all’alterità come una risorsa. La lotta si configura tra l’uomo ingiusto e l’uomo mite, fra la verità e la violenza e il rapporto che intercorre fra queste, nonché sul delirio paranoico della fragilità mentale dell’usurpatore che, pur di muovere il primo passo e affermare con forza l’identità, crea il nemico anche laddove non esiste.
A questa visione si affianca il ragionevole e caritatevole uomo che guarda all’umanità prima che al valore della patria, definendo una sana scala valoriale. Ed ecco che Coetzee, grazie alla buona interpretazione di Rylance, racconta del magistrato eventi che sanno di episodi evangelici e facendo dell’uomo mite un’immagine cristologica: dalla scena in cui chiede alla donna barbara di alzarsi, fino alla “lavanda dei piedi” della stessa.
Il magistrato è uomo-emblema della moralità critica che lotta contro una legalità marcia e un ethos collassato, così il peso della narrazione si sposta vero la necessità della coscienza individuale di imporre un’etica della cura a fronte della ragion di Stato e dei suoi abominevoli mezzi che, di certo, rendono legittimo domandarsi chi sia veramente il barbaro.