Il titolo dell’ultimo lavoro di Robert Guédiguian Gloria Mundi, premiato con la Coppa Volpi per la Miglior Attrice alla 76. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e in sala dal 13 maggio con Parthénos, riprende la celebre locuzione latina sottolineando la precarietà del mondo in cui viviamo. È il concetto di sconfitta infatti al centro della filosofia del lungometraggio, la disfatta di due generazioni: quella dei padri, che hanno lottato per ottenere il diritto al lavoro, alla casa, alla famiglia e quella dei figli, che sembrano essere tornati indietro nel tempo privi di qualsivoglia stabilità economia e sentimentale.
È la gloria dei commercianti che si arricchiscono sulla pelle dei cittadini più poveri nei quartieri difficili di Marsiglia, delle multinazionali della navigazione, dei prevaricatori. Guédiguian qui ha evidentemente molto da dire e la sua forza espressiva è notevole, seppur si scontri con una narrazione che si inceppa in una delineazione dei personaggi poco curata.
LA VISIONE DI GUÉDIGUIAN NEL PARALLELISMO TRA DUE GENERAZIONI
L’incipit del film è il parto di Gloria, figlia di Mathilda (Anaïs Demoustier) e Nicolas (Robinson Stévenin), accolta nel mondo con l’entusiasmo caratteristico di ogni famiglia. La nonna Sylvie (Ariane Ascaride) vuole rendere partecipe anche il suo ex marito Daniel (Gérard Meylan) che sta per uscire dal carcere dopo trent’anni di condanna per omicidio colposo.
Nel frattempo Sylvie ha sposato Richard (Jean-Pierre Darroussin) e ha avuto un’altra figlia, Aurore (Lola Naymark), in costante conflitto con la sorella maggiore. La gioia della nascita di Gloria si interrompe già nei primi mesi di vita della piccola con una serie di infortuni, coincidenze negative e una società che sembra rifiutare una nuova vita, in un mondo buio dove chi conquista una fetta di potere ha il diritto di decidere per le vite altrui.
Mathilda, commessa occasionale, e il marito Nicolas non riescono nemmeno a pagare una babysitter dopo un infortunio che costringe l’uomo, autista di Uber, ad interrompere il lavoro; la sorella Aurore, al contrario, gestisce con profitto un negozio di compravendita di usato che sfrutta la povertà del quartiere per fare ottimi incassi e godere della sua personale fortuna insieme al marito cocainomane Bruno (Grégoire Leprince-Ringuet).
UNA SCRITTURA ASCIUTTA E CUPA PER DESCRIVERE IL NEOCAPITALISMO
Il regista marsigliese vuole portare lo spettatore tra la classe media della città, dimostrando come il neocapitalismo stia intaccando irrimediabilmente non solo il lavoro ma anche i valori sociali e familiari. Per dimostrare il suo pensiero Guédiguian si affida ad una scrittura cruda, asciutta, che non lascia spazio all’immaginazione ma vuole riflettere la povertà d’animo dei tempi moderni. A questa degradazione dei valori è contrapposto il personaggio di Daniel, il “criminale” che con la sua filosofia Haiku si oppone alla brutalità dei quartieri bassi.
Moderato e gentile, Daniel rappresenta l’uomo di valori finito in carcere per difendere un amico, provato dalla durezza della prigionia e ancora tra i pochi capaci di riflettere di fronte alla bellezza del panorama marsigliese. Purtroppo Guédiguian si ferma ad una caratterizzazione molto superficiale di Daniel, non andando ad approfondire il suo vissuto e il rapporto con la moglie Sylvie tralasciando così anche la profondità degli altri co-protagonisti, che riversano in numerose forzature espressive la mancanza di un’indagine più accurata sulle loro vite.
Seppur sia distante dall’ottima riuscita del suo ultimo film La Casa sul Mare, presentato in concorso a Venezia 74, Guédiguian è coerente con il suo pensiero socialista ed è tra i pochi registi a lasciare un’impronta politica nell’ultima edizione del festival. La contrapposizione tra la bellezza della nascita e lo squallore di una società condizionata dal potere è il fulcro della sceneggiatura di Gloria Mundi, a cui purtroppo manca di una caratterizzazione forte dei personaggi principali e di un intreccio di stampo intimista.
Bravi, come sempre, gli attori scelti da Guédiguian, ormai collaboratori storici del registi. Un vero peccato non sfruttare appieno la bravura comunque evidente di Ariane Ascaride (premiata con la Coppa Volpi a Venezia), che qui vediamo in un ruolo importante ma allo stesso tempo talmente poco sviluppato da diventare marginale. Gloria Mundi racchiude tutto il suo potenziale nel pessimismo cosmico di oggi, anche se stavolta Guédiguian non è riuscito a combinare adeguatamente le storie che ruotano intorno al degrado dei tempi moderni lasciando troppo spazio alla freddezza del linguaggio e insistendo troppo sulla retorica.