Quello da La Donna alla Finestra, nuovo film Netflix con Amy Adams e di Joe Wright (L’Ora Più Buia) era forse un destino già annunciato dalle travagliate vicende produttive. Annunciato nel 2016 e in produzione dal 2018, il film ha visto slittare più volte l’uscita originariamente prevista per il 2019, a causa di diverse fasi di rimontaggio e di test screening non convincenti. Poi la Disney ha acquisito la Fox 2000 e la pellicola è diventata di sua proprietà, ma la pandemia di Covid-19 ha allontanato ogni speranza di distribuzione in sala e così La Donna alla Finestra è tornata sul mercato, con la corporation diretta dall’uscente Bob Iger che evidentemente non l’ha ritenuta un asset interessante per la sezione Star del proprio servizio streaming.
A quel punto è arrivata Netflix a comprare il lungometraggio, e si sa che la politica aziendale in quel di Los Gatos non prevede particolari intromissioni creative. E così che si è arrivati a un adattamento tutt’altro che entusiasmante dell’omonimo best seller di straordinario successo, firmato da A.J. Finn ed edito in Italia da Mondadori. Eppure i presupposti per far bene al botteghino c’erano tutti: Wright alla regia, un cast prestigioso con al centro la Adams attorno alla quale ruotano nomi come Gary Oldman, Julianne Moore, Anthony Mackie, Wyatt Russell e una storia che guarda maliziosamente al capolavoro La Finestra sul Cortile di Alfred Hitchcock.
LA DONNA ALLA FINESTRA: AMY ADAMS È UN’AGORAFOBICA CHE ASSISTE A UN CRIMINE
La Donna alla Finestra finisce per essere proprio quello che i suoi turbolenti rinvii ci avevano fatto sospettare, cioè un’opera irricevibile che non sa quali pesci pigliare e che manifesta una natura disomogenea nella quale sono evidenti gli infiniti rimaneggiamenti. Ovviamente con il film di Hitchcock il lavoro di Wright non ha praticamente nulla a che spartire: se è vero che La Donna alla Finestra si apre con un’inquadratura di un occhio aperto, è altrettanto vero che il leitmotiv dello sguardo è una materia trattata in maniera talmente grossolana da rendersi ben presto ridicola. Anna Fox, il personaggio della Adams, di stare alla finestra peraltro si stanca davvero molto rapidamente – giusto il tempo per abbozzare un timido approccio voyeuristico funzionale a captare un paio di twist narrativi sviluppati poi in maniera differente.
Un peccato soprattutto come non ci sia mai nemmeno il tentativo di rovesciare il male gaze che contraddistingue il rapporto tra Jeff e Lisa nel film del 1954; tema di un’oggettivazione sessuale che sarebbe stato interessante approcciare sotto traccia con il cambio di prospettiva di chi osserva e di chi è osservato. Ma Anna è un personaggio tremendamente passivo e che anzi viene circoscritto in tutto e per tutto all’interno del disturbo mentale. Soffre infatti di un’agorafobia sviluppata in seguito a un trauma e non esce più di casa da diverso tempo. Da qui capta qualcosa di anomalo nell’abitazione dei nuovi vicini, dove si consuma un efferato omicidio.
Ben presto ciò che la donna ha visto viene messo in dubbio a causa della sua natura psicotica e di alcuni eventi accaduti nel passato che ne fanno traballare l’affidabilità. La Donna alla Finestra diviene insomma un racconto che vuole lavorare più che altro sulla psiche di questo personaggio, sfruttando un paio di momenti che sembrano rimandare direttamente al ben più riuscito Sto Pensando di Finirla Qui (I’m Thinking of Ending Things) di Charlie Kaufman.
LA DONNA ALLA FINESTRA, JOE WRIGHT E UN THRILLER PSICOLOGICO CHE NON SFRUTTA L’OTTIMO CAST
La sceneggiatura di Tracy Letts risente di una debolezza strutturale nel modellare la tridimensionalità dei personaggi del film, che ruotano in tondo come stereotipi culminando in minacciose massime dal tono caricaturale (vi farete due risate nello scoprire com’è conciato l’assassino di turno). Per intenderci, c’è ben poca brillantezza nella scrittura come ce n’è ben poca in una messa in scena da impianto teatrale che scade a più riprese nel kitsch.
Joe Wright non imprime mai carattere al suo lavoro dove, ripetiamo, è evidente un massiccio intervento nel rimanipolare il materiale originario. Il tocco fine e delicato del regista ce lo possiamo dimenticare, e nonostante si possa notare un disperato quanto timido tentativo di ragionare sul tema dello sguardo, così come quello di una verticalità e mobilità all’interno della casa (incontra alla lontana anche Vertigo), non si arriva mai a una uniformità stilistica credibile. C’è da dire che pure la stessa Adams fatica a sentirsi valorizzata dalla propria protagonista, mentre tutti gli altri sono poco più che macchiette. Tutto ciò fa di La Donna alla Finestra un thriller psicologico di poco gusto, rabberciato e pigro.