Nate Parker, regista divenuto famoso grazie al film The Birth of a Nation – Il Risveglio Di Un Popolo, ha presentato il suo ultimo lavoro American Skin (di cui è anche protagonista) in anteprima mondiale nella sezione Sconfini della 76. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. La pellicola, rilasciata con 2 anni di ritardo a partire dal 24 maggio 2021 su Sky e Now TV, ora risuona tristemente con la vicenda dell’uccisione di George Floyd nel 2020 e con il rinvigorimento del movimento Black Lives Matter che ne è seguito, ma prende in realtà spunto da un fatto di cronaca del 2014, una tragedia come purtroppo tante altre: l’uccisione dell’adolescente di colore Michael Brown da parte di un agente della polizia.
AMERICAN SKIN, UN PUNTO DI VISTA ALTERNATIVO PER RACCONTARE UN’INGIUSTIZIA SOCIALE
La vicenda è descritta dal punto di vista di un gruppo di studenti che decide di raccontare da vicino la famiglia Brown, il dolore per la perdita del figlio e le tensioni tra i sostenitori della polizia e parte della popolazione afroamericana. La camera a mano e gli smartphone guidano la narrazione, sostenuta dal protagonista interpretato da Parker che rappresenta la catarsi della sconfitta attraverso la messa in scena del processo.
Lincoln Jefferson (Nate Parker) è un veterano di guerra che non riesce ad arrendersi al dolore per la morte del figlio e il cui unico scopo è diventato quello di ottenere giustizia. Quando il sistema nega il processo nei confronti dell’agente, Linc cerca un altro modo di applicare la legge ma è soltanto il pretesto per mettere insieme, in un ambiente circoscritto, persone etnicamente eterogenee per garantire il pluralismo delle voci.
AMERICAN SKIN, UNA STORIA VERA DI SCOTTANTE ATTUALITÀ
La rappresentazione di un simbolico processo introduce le questioni più spinose e controverse che alimentano il dibattito negli Stati Uniti: razzismo, violenza, famiglia, appartenenza etnica e religiosa e, purtroppo, gli scontri ancora frequenti tra forze di polizia e popolazione di colore. Le argomentazioni sono varie e di difficile espressione ma riuscire ad avere un punto di vista obiettivo diventa complesso, se già si parte dalla presa di posizione di una verità pretesa. Nate Parker espone la sua verità e lo fa con lo scopo di far riflettere sull’identità multietnica degli statunitensi ma soprattutto vuole porre un confine tra la vittima e il colpevole.
La cultura dominante, secondo il regista, decide a priori ciò che è lecito e ciò che non lo è; per questo motivo diventa legittimo uccidere un ragazzino disarmato trasformando il sospetto in una sentenza. Parker applica la sua legge, il suo giudizio personale sui fatti urlando a squarciagola e segnando i volti dei protagonisti di lacrime e sangue, tirando fuori una rabbia estrema che li porta a compiere atti innaturali, al limite della follia collettiva.
NATE PARKER SIMULA UN PROCESSO DELINEANDO IL CONFINE TRA VERITÀ E GIUSTIZIA
Il messaggio che il regista vuole veicolare è chiaro però la forma desta qualche perplessità; il film tuttavia scorre senza particolari intoppi, nonostante una storia difficilmente digeribile. La sceneggiatura è essenziale e non presenta particolari criticità ma la pellicola stenta ad essere pienamente convincente (in particolare nei dialoghi, caratterizzati da una scrittura troppo asciutta per essere efficace). La regia insiste sui primi piani, in un movimento di camera che simula lo zoom delle videocamere amatoriali mentre si indaga sui protagonisti, cercando di trarne un’analisi psicosociale.
American Skin è un’opera di notevole carica emotiva, da vedere tutta d’un fiato e seppur abbia molti difetti, sia a livello tecnico che nello script, è sicuramente un prodotto interessante che ha meritato la vetrina di un festival prestigioso come quello di Venezia.