È una materia complessa quella con la quale Gianluca Jodice decide di esordire al lungometraggio dirigendo un ottimo Sergio Castellitto. Materia scivolosa, fatta di lampi, storture, ma soprattutto luci e ombre è quella che permea la figura di Gabriele D’Annunzio, anima pulsante de Il Cattivo Poeta, film che Jodice scrive e dirige.
D’altronde quando si parla del Vate l’approccio si porta dietro quel timore consapevole dell’ambiguità dell’uomo e della grandezza del genio, della non univocità di pensiero che pure tante volte ha condotto, e conduce ancora, a dover scegliere una parte precisa dello steccato nella quale collocarlo. Eroe della Prima Guerra Mondiale che diviene leggenda con l’impresa di Fiume, paroliere fulminante che segna in modo indelebile la cultura italiana e, tra le molte altre cose, amico di Mussolini.
Gianluca Jodice racconta il Vate ne Il Cattivo Poeta, biopic sugli ultimi mesi di Gabriele D’Annunzio
Ma il film di Jodice va a prendere D’Annunzio nella fase terminale del suo lungo percorso di vita, negli ultimi mesi di un’esistenza che oramai lo vede come un eremita esiliato nella reggia-ricordo del Vittoriale, dove si è ritirato da quasi quindici anni. La gloria appartiene al dominio della memoria, nonostante l’influenza carismatica di una personalità simile non sia sopita nell’immaginario collettivo dell’epoca.
È la fascinazione che pervade anche i più giovani, come il fresco Federale di Brescia Giovanni Comini, ragazzo in rapida ascesa nei ranghi del partito fascista al quale l’ottimo Francesco Patanè restituisce la dignità di un sentimento puro votato all’ideale sbagliato. E proprio Comini viene chiamato nei palazzi del potere di Roma perché gli venga affidato un incarico, così come si intitola il primo dei quattro capitoli (si aggiungono i topi, disobbedienza, il buio) che scandiscono il film.
Tocca a lui, volto pulito e occhio carico di speranza, raggiungere quel luogo dove D’Annunzio si è ritirato e carpire dal Vate intenzioni e sentimenti. L’amicizia con Mussolini, infatti, è scemata da tempo e l’avvicinamento dell’Italia fascista al regime nazista della Germania di Hitler preoccupa non poco il poeta diventato inviso, appunto cattivo, ai quadri del fascio.
La fortezza del Vittoriale è fatale per l’animo del giovane Comini (e quante volte gli verrà rinfacciato d’esser troppo giovane per questo o per quello). Costruita con un gusto tanto affascinante quanto contraddittorio così com’era la personalità di un D’Annunzio, che nella fase senile della sua vita rigettava il regime ma ne prendeva di buon grado il denaro, la reggia è uno dei tanti ambienti de Il Cattivo Poeta, spazi fondamentali e parte integrante del discorso che Jodice porta avanti. Il tratto rigoroso e ampio delle strutture del regime si scontra e crea cortocircuiti con i piccoli vicoli, anfratti del buen retiro dannunziano che Daniele Ciprì (sì, quello del duo con Franco Maresco) fotografa e illumina con forse un eccessivo accento di grigiore.
Ne Il Cattivo Poeta Sergio Castellitto è un Gabriele D’Annunzio nella fase senile della sua vita
È all’interno di queste architetture che Comini viene sballottato da un sentimento forte ma messo in crisi dall’incontro con il Vate di un sempre in corda Sergio Castellitto, reso adeguatamente nell’interezza della sua ambiguità. Vate ma pure comandante, vestito di tutto punto in divisa militare sulla quale contrasta il papillon; animo sensibile e accorto che non disdegna la compagnia delle dame che popolano la sua casa e si prendono cura della sua persona, mentre moglie e figli dimorano lontano.
Dalla primavera del 1936 arriviamo fino all’inverno del 1938, mesi di fuoco per l’avvicinamento al baratro dell’Italia e del deperimento fisico e mentale di un D’Annunzio ricostruito filologicamente tassello per tassello da Jodice e dai suoi collaboratori. Nel mezzo intrighi, lettere, favori richiesti e concessi, giochi di corte e di potere mentre il terminale umano del protagonista Comini ci veicola in questo labirinto che Il Cattivo Poeta riesce a sbrogliare con sapiente lucidità e senza mai perdersi nel parteggiare grossolanamente per il bianco o per il nero. L’abbiamo detto in apertura, la materia era complessa ma Jodice, prodotto da Andrea Paris e Matteo Rovere con il supporto di Rai Cinema, porta a casa un film ben confezionato e mai piatto. Non era scontato. In sala dal 20 maggio.