Oxygène, film Netflix di Alexandre Aja (Le Colline Hanno Gli Occhi, Crawl) distribuito in direct to streaming sulla piattaforma di Los Gatos, è un interessante mix fra thriller e fantascienza che vede come protagonista l’attrice francese Mélanie Laurent, già apprezzata in Bastardi Senza Gloria nel ruolo di Shosanna, nonché nel meraviglioso Enemy di Villeneuve. Vagamente accostabile per i temi trattati a Estraneo a Bordo di Penna (distribuito dal web service di Hastings a poche settimane di distanza), Oxygène è in grado di garantire un’esperienza ricca di suspense grazie all’aura misteriosa che viene a crearsi minuto dopo minuto, toccando al contempo temi complessi quali la bioetica e l’intelligenza artificiale.
OXYGÈNE: UNA LOTTA CONTRO IL TEMPO NEL FILM NETFLIX CON MÉLANIE LAURENT
Dopo la visione di un topo in un labirinto e brevi ma alquanto tormentose inquadrature di una capsula criogenica, Oxygène ci mostra una tuta lacerarsi e la protagonista fuoriuscire da essa come una farfalla dal bozzolo. Legata, ansimante e in preda al panico, con degli aghi conficcati nel corpo collegati a dispositivi per l’alimentazione artificiale ed elettrodi in testa, tenta di liberarsi e, soprattutto, di capire chi sia e il motivo per cui si trovi lì. Sapendo che non ci sono altre forme di vita umana e che la riserva di ossigeno è prossima alla fine, la donna si affida all’unico aiuto che in quel momento può trovare: MILO, il computer centrale addetto alle operazioni della capsula. Rischiando di andarsene senza capire cosa stia succedendo, inizia la sua lotta contro il tempo per cercare di liberarsi, mentre la percentuale di ossigeno non fa che diminuire.
OXYGÈNE E LA DETERMINAZIONE DELLA SOPRAVVIVENZA
Con Oxygène Aja vuole esplorare prima di tutto il tema dell’istinto di sopravvivenza, asservendo il contesto alla necessità di raccontare un individuo privato della propria identità e delle interazioni sociali; monade assoluta da ogni legame col presente o col passato. Cosa saremmo disposti a fare e che reazioni emotive avremmo se posti letteralmente di fronte a un countdown della nostra morte? Una sorta di esperimento psicologico per sondare il panico e la determinazione, in cui anche il pubblico viene privato di ogni coordinata: Aja mostra infatti una persona in preda ad allucinazioni e déjà vu (reminiscenti del Tarkovskij di Solaris), lasciando lo spettatore con il dubbio sulla reale natura di quegli intermezzi.
ALEXANDRE AJA TRATTA DI DILEMMI ESISTENZIALI E DEL FRAGILE RAPPORTO DI DIPENDENZA DALLA TECNOLOGIA
Tra i ricordi più frequenti in cui si imbatte la protagonista troviamo immagini di scienziati in un laboratorio e di povere cavie agonizzanti o già decedute, sulle quali il regista si sofferma calcando indirettamente un paragone tra la loro condizione e quella della protagonista, e così rimarcando una critica all’antropocentrismo e alla pratica della sperimentazione su animali intesi come oggetti privi di importanza. Ma cosa accade se è l’essere umano stesso a diventare una ‘cavia’ intrappolata e monitorata contro la propria volontà?
Discorso interessante anche quello riferito alla ‘superiorità’ della natura umana, che si riflette nella capacità di creare un’intelligenza artificiale come quella di MILO ma i cui limiti si riverberano proprio nell’imperfezione di un’IA ben lontana dal somigliare al suo creatore. Ma, anche qui, quali sono i confini tra creatore e creato?
OXYGÈNE E I COLORI E SUONI DELLA NOSTRA VITA
Oltre alla capsula, gli unici altri spazi che vediamo sono nella mente di Elizabeth: in quei lunghissimi attimi rivive parte della sua infanzia e parte della sua vita sentimentale, con i colori e le atmosfere calde della vita vissuta che si contrappongono all’algido filtro blu di quella trappola tecnologica. Ma con l’approssimarsi al tempo della narrazione i colori si fanno sempre più desaturati, e quando non è il silenzio a farla da padrone, lo sono commenti sonori dal tenore vieppiù drammatico: come iniziano a prevalere immagini di morte e sofferenza, inizia a dischiudersi il mistero su cui è costruita l’intera pellicola. È con questa macchina narrativa ansiogena e claustrofobica che Aja, avvalendosi di risorse a dir poco minime, riesce comunque a portare a termine un appassionante viaggio nella psiche e nel tempo, proponendo riflessioni e spunti di sorprendente attualità.