Adam è il film di esordio del 2019 della regista marocchina Maryam Touzani, distribuito nelle sale italiane il 3 giugno da Movies Inspired. Presentata alla 72esima edizione del Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard, la pellicola è stata selezionata per rappresentare il Marocco agli Oscar 2020.
ADAM DI MARYAM TOUZANI, UN FILM SULLE PROSSIMITÀ ESISTENZIALI E LE EMERGINAZIONI SOCIALI
Adam ripercorre le orme tematiche dello stereotipo di genere, focalizzandosi sulla storia della donna araba Samia (Nissrine Erradi). Non sposata e in attesa di un figlio, la protagonista è assunta da Abla (Luana Azabal), donna e madre metodica. Reciprocamente coinvolte l’una nell’esistenza dell’altra, le due saranno trascinate in un turbine che sconvolgerà le loro vite. Questo avviene in un sistema-tradizione idiosincratico rispetto alla loro condizione sociale di donne emarginate, perché senza marito.
ADAM E LA DOPPIA ATTINENZA CON LA REALTÀ STORICO-SOCIALE
Adam è un film che osa, senza bisogno di ostentare alcuna political correctness. Riesce a farlo per la sua doppia attinenza con la realtà fattuale: sia quella culturale che essa rappresenta, sia perché frutto della rielaborazione di un’esperienza di vita della Touzani. In fondo, se si riflette bene, Adam non porta sullo schermo nulla di nuovo. È una delle tante arborescenze del cinema di confine, che si ritaglia uno spazio quasi a limite della documentaristica. Di queste narrazioni se ne conoscono già molte, ma al netto, probabilmente, non se ne vedono mai abbastanza.
“LA MORTE NON APPARTIENE ALLE DONNE”: IL FILM DELLA TOUZANI COME DENUNCIA ALL’ESTROMISSIONE FEMMINILE
Il film della Touzani possiede le qualità di un prodotto autoctono, figlio della propria terra. Un plus-valore che dona al lungometraggio un sapore di diversità, qui implementato da una duplice e tragica esperienza di vita. In Adam è la messa in evidenza di quella condizione, lontana dall’etnocentrismo occidentale, che fa risaltare il lavoro di regia. Adam diventa immediatamente fotografia e auto-denuncia di quel mondo che, su più ampia distribuzione, aveva offerto recentemente Netflix con Ethos. Un punto di vista che tendenzialmente presentano solo film situati fuori dalla commercializzazione imperante, come la realtà che essi rappresentano.
IL FILM DELLA TOUZANI MIRA AD AVVICINARE REALTÀ LONTANE
Lo script su cui si basa la categoria filmica di Adam assume il senso di uno spostamento di asse. Una produzione cinematografica lontana, periferica, ma che salva una prospettiva sul mondo. É un cinema che ritorna alla sua funzione osservativo-descrittiva, ma anche critica, relativamente alla polimorfa realtà sociale. Touzani dona questa visione: osserva come dallo spioncino i movimenti di una condizione statica e lontana, con lo scopo di renderla vera e vicina. Adam, così, diventa un’operazione di soccorso, un’azione filmico-prossemica: un recupero delle lontananze per cogliere le dissonanze ideologiche. Un cinema che, in qualche modo, combina insieme poesia, antropologia, sociologia.
NEL FILM DELLA TOUZANI, LA COMPLICITÀ SOPITA DI DUE DONNE IN LOTTA
Su questo sfondo, Adam racconta la storia delle due donne, destinate a disconoscersi e a riconoscersi allo stesso tempo. Nel pane che viene lavorato, nell’impasto in lievitazione, si avvia un gioco di corrispondenze in cui la maternità e il decentramento sociale assumono il ruolo di una congiunzione favorevole per due vite confinanti nell’emarginazione. Maternità e lutto, vita e fine vita, amore e morte. Queste le oscillazione tematiche che sono allo stesso tempo esperienza individuale e percorsi universali emergenti dalle toccanti scene di Adam. Il titolo pensato dalla Touzani, torna con tacita insistenza, come un silenzio assordante, come un contrasto inevitabile data l’assenza totale di figure maschili, di cui Adamo dovrebbe rappresentare l’archetipo. Nelle mani che sfiorano il corpo della madre, quel figlio diventa primo uomo. Egli è il primo frutto di una vita fuori dal centro, ma imperniata sulla sofferenza come condivisione, ricerca, supporto.
ADAM: TRA CORPOREITÀ, ESPRESSIONE E NUOVE NASCITE
Lo sguardo della Touzani si rivolge molto alla manualità, alla corporeità e al contatto fisico come forma di incontro. Il corpo è quello non avvertito come “proprio”, quello della donna-oggetto, della donna-possesso che reclama evasione fisica e sociale. Il senso ultimo di Adam è il bisogno profondo di espressione femminile che esplode nell’intimo silenzio domestico, in solitarie danze davanti allo specchio, rivendicando libertà. A questo si accosta, non da ultimo, il tema della nascita, che recupera il rapporto madre-figlio, il trauma del parto, la ricerca di una simbiosi quasi erotica che guarda alla nascita come primo vero dolore della separazione. Adam, tuttavia, rappresenta l’inizio di una vita fuori dalla tradizione. Un’esistenza troppo lontana dal mondo comune, disconosciuta dal popolo ma segno evidente di un’umanità che impone il proprio diritto all’esistenza.