Cosa ne è della comicità ai tempi di Pio e Amedeo, che salgono su un palco in prima serata con il vessillo del rivendicare una libertà di parola, a dire loro, azzoppata? E in quella comicità cosa conta di più, l’intenzione che dietro quella parola si cela o la parola stessa, anche con tutta la sua veemenza? Sembrano essere sostanzialmente queste le domande che Gabriele Salvatores vuole portare sul banco degli imputati con il suo ultimo film, Comedians. Il regista, premio Oscar nel lontano 1991 con Mediterraneo, il testo lo adatta a partire dall’omonima opera teatrale del 1975 di Trevor Griffiths. E Salvatores questo dramma lo aveva già affrontato proprio a teatro nel 1985 con alcuni volti allora emergenti del palcoscenico della comicità come Silvio Orlando, Claudio Bisio, Paolo Rossi. Un paio d’anni dopo ne arriverà anche una versione cinematografica fortemente rivisitata con Kamikazen – Ultima notte a Milano.
La questione dunque ricorre nella carriera di Salvatores e pare aver trovato in questi tempi di forte cambiamento per quella che è l’attenzione riservata a tematiche di una certa sensibilità nuovo terreno fertile di discussione. La comicità, dopotutto, è una faccenda fluida ed è specchio dei mutamenti che avvengono all’interno della società. È la culla all’interno della quale certe ipocrisie, certi tic possono essere messi alla berlina e utilizzati come motore. Ma motore di cosa? Di riflessione o di una semplice risata? Di un processo discorsivo o di uno di mera evasione?
Insomma, Comedians è un film che parla di comici e non un film comico, come lo stesso regista ci tiene a chiarire. Il tutto avviene in una notte estremamente piovosa, nei locali di una scuola serale dove un insegnante prepara i suoi studenti (operai, impiegati, gestori di locali) prima dell’esibizione di fine corso. Ci sono diversi animi, diverse aspirazioni, diversi approcci alla comicità stessa.
Il fatto è che forse il film ragiona su queste tematiche guardando la sua materia un po’ troppo dal di fuori, calando il riflettore sul palcoscenico ma sottostimando il portato della sua natura cinematografica. La matrice teatrale rimane a fare da padrona ed è adattata, sì, ma solo nell’ottica di un’attualizzazione temporale degli sketch che i saltimbanchi protagonisti dell’opera raccontano di volta in volta. Per il resto, come afferma ancora Salvatores, ciò che vediamo e sentiamo è estremamente fedele al testo originale.
C’è quindi la sensazione di un lavoro che manca di mutare nella forma espressiva, che rimane una sorta di opera teatrale ripresa e che non elabora sul piano strutturale come fa, per prendere un esempio recente, l’ottimo The Father di Florian Zeller. Chiaramente non si cerca il confronto e poco senso avrebbe, ma la mancanza del salto priva Comedians del potere dell’ibridazione e ne stronca la forza di ragionamento che vorrebbe mettere in atto. Si guardi agli interpreti, tra cui figurano Ale e Franz, Natalino Balasso, Marco Bonadei, Walter Leonardi, Giulio Pranno, Vincenzo Zampa, in sincronia l’uno con l’altro ma più con la consapevolezza del palco che di quella della telecamera.
Il risultato è che Comedians si fa respingente in più di un momento, non veicola ma porta a sbattere contro un muro di gomma appesantito dal grigiore deprimente del contesto. Messo così il testo di Griffiths si fa quasi materia moralizzatrice e bacchettona, nucleo arroccato in un “fuori dal tempo” che stride nel momento in cui dovrebbe dialogare maggiormente con le complessità delle sfide poste dalle sfumature della contemporaneità. Visto sotto la lente della sala il film non ha neanche un vero e proprio pubblico di riferimento, se non quello attratto dai nomi coinvolti, bloccato in una dimensione di limbo che sciupa anche alcune possibili finezze come la scelta della partecipazione di Christian De Sica nel ruolo di un comico che crede nella risata come unico fine e nel successo a ogni costo (se non lui, chi?).
Per chiudere, difficile pensare che Comedians possa trovare uno spazio per apportare un pensiero al ragionamento collettivo in atto sul ruolo della parola e sulle possibilità di sfruttamento di quest’ultima, considerata la sua scarsa mobilità di fronte a un tema in perenne slittamento.