Nella primavera del 1977 George Lucas decise di prendersi un periodo di vacanza alle isole Hawaii e per l’occasione invitò anche il suo collega ed amico Steven Spielberg. Entrambi erano reduci da due produzioni ambiziose ed estenuanti: Lucas aveva appena finito di girare il primo film Star Wars e Spielberg aveva terminato il primo e vero kolossal della sua carriera, Incontri ravvicinati del terzo tipo. Fu proprio sotto il sole di una spiaggia a Mauna Kea che Lucas trovò il tempo di parlare con il collega di Cincinnati di una sua vecchia idea per un film di azione.
Il soggetto riprendeva l’immaginario dei vecchi serial televisivi degli anni ‘40 con cui Lucas era cresciuto da bambino e aveva come protagonista un archeologo ispirato alla figura di Giovanni Battista Belzoni, avventuroso italiano del XVIII secolo. Spielberg ne rimase completamente rapito: da anni sognava di girare un film della saga di James Bond e quel soggetto abbozzato nella testa di Lucas sembrava l’occasione per misurarsi finalmente con il cinema di azione. Passarono circa quattro anni da quella sognante chiacchierata in riva all’oceano e il 12 giugno 1981 I Predatori dell’Arca Perduta (Raiders of the Lost Ark) – nel 2000 ribattezzato Indiana Jones e I Predatori dell’Arca Perduta – uscì nelle sale americane.
Il resto è storia: fu il film di maggior incasso di quell’anno (guadagnò venti volte di più di quanto costò) e finì per conquistare nove nomination e cinque premi Oscar (tra cui la miglior regia). Un successo senza precedenti capace di generare negli anni successivi una delle più fortunate e longeve saghe di sempre (il quinto Indiana Jones è in lavorazione in queste settimane) nonché uno dei personaggi del cinema più conosciuto ed amato di tutti i tempi.
I Predatori dell’Arca Perduta e quelle illustrazioni da cui partì tutto
Non male per un’intuizione che George Lucas ebbe appena dopo aver girato American Graffiti (era il 1973) mentre si lasciò distrarre da un vecchio poster di un film che ritraeva l’eroe protagonista mentre salta da un cavallo fin dentro ad un camion (vi ricorda qualcosa?). Era un’eredità dei B-movie della Hollywood degli anni ‘40 e di titoli come Buck Rogers (1939), Zorro’s Fighting Legion (1939), Spy Smasher (1942) e Don Winslow della Marina (1942): insomma, tutti quei “film di avventura” sui quali l’industria cinematografica non puntava ormai da decenni.
In particolare la storia che aveva in mente Lucas – Le avventure di Indiana Smith – era quella di un professore di archeologia che viaggiava per il mondo alla ricerca di manufatti rarissimi e preziosi finendo per trovarsi in una serie di vicende rocambolesche e spericolate e da cui ne usciva sempre miracolosamente illeso. Grazie ai consigli dell’amico e sceneggiatore Philip Kaufman il soggetto si fece più chiaro: l’archeologo Smith sarebbe stato alla ricerca della leggendaria Arca dell’Alleanza (in cui leggenda vuole che furono custodite le tavole dei dieci comandamenti di Mosé) e al centro del conflitto sarebbero spuntate le SS, giocando così sullo storico fascino dei nazisti per l’occulto.
Su questa idea, nel 1979, George Lucas commissionò al leggendario illustratore e disegnatore Jim Steranko quattro tavole per la pre-produzione ed è grazie a quei disegni se oggi Indiana Jones ha le sembianze che noi tutti conosciamo. I pantaloni color cachi, il cinturone per la pistola, la frusta e una giacca di pelle simile a quella spesso indossata da George Lucas stesso. Steranko aggiunse alcuni dettagli importanti: la cintura diagonale modello Sam Browne e il cappello fedora furono entrambe sue idee.
Da Indiana Smith all’Indiana Jones de I Predatori dell’Arca Perduta
Dopo l’incontro hawaiano con Lucas, Spielberg decise di proporre al suo pupillo, il giovane Lawrence Kasdan (già co-sceneggiatore di Star Wars – L’Impero Colpisce Ancora), di scrivere la sceneggiatura del film. Fu durante quel periodo di scrittura del soggetto a “sei mani” che Indiana Smith divenne Indiana Jones (per evitare di confonderlo con Nevada Smith, un personaggio interpretato nel 1966 da Steve McQueen) e che le caratteristiche del protagonista presero forma.
Inizialmente pensato come un personaggio borderline, mezzo playboy e mezzo alcolizzato, Henry Walton Jones Junior (“Indiana”, come, scopriremo nel terzo episodio della saga, è in realtà il nome del suo cane) divenne tutt’altro: professore ma avventuriero, romantico ma cinico, intellettuale ma anche uomo di azione. In poche parole i tre avevano gettato le basi per un personaggio universale, un eroe che divenne un vero e proprio modello per intere generazioni di bambini dagli anni ‘80 e un “brand” in un numero sterminato prodotti cross-over (tra cui fumetti, romanzi, serie tv e videogiochi).
Dopo cinque mesi di lavoro Lawrence Kasdan finalizzò la prima bozza di script che soddisfece sia Spielberg che Lucas: una storia incredibilmente ricca di cliffangher, ambientata in varie parti del mondo (tra cui Perù, Stati Uniti, Shanghai, Nepal, Egitto e Grecia) e attraverso la quale Indy avrebbe dovuto affrontare nazisti, trappole esplosive, indigeni furiosi, dardi avvelenati, poteri occulti e (molti) serpenti. Insomma, esattamente come nei vecchi serial televisivi degli anni ‘40, in cui l’eroe si trovava in una situazione mortale ogni dieci minuti: ma questa volta il pubblico non avrebbe dovuto aspettare una settimana per scoprire la sorte del protagonista.
Da Tom Selleck a Jeff Bridges: tutti gli Indiana Jones “mancati” che potevano essere ne I Predatori dell’Arca Perduta
Dopo numerose audizioni e diversi attori presi in considerazione (fra cui Bill Murray, Nick Nolte, Steve Martin, Chevy Chase e Jack Nicholson) il direttore del casting Mike Fenton ritenne che fosse Jeff Bridges il più adatto per il ruolo di Indiana Jones, ma la moglie di George Lucas, Marcia, consigliò invece di reclutare un attore televisivo allora sconosciuto di nome Tom Selleck. Selleck però era stato scritturato per un episodio pilota di una serie della CBS, Magnum PI, e la casa di produzione si rifiutò di sospendere o posticipare il contratto in modo che lui potesse interpretare Indiana Jones nel film di Spielberg. Selleck fu dunque scartato ma – ironia della sorte – le riprese di Magnum PI furono comunque rimandate a causa di uno sciopero degli attori di Hollywood, mentre la produzione di Indiana Jones e I Predatori dell’Arca Perduta, che aveva sede a Londra, continuò senza problemi: Selleck sarebbe insomma riuscito a gestire senza problemi entrambi gli incarichi.
Durante una fase di stallo – senza ancora un attore protagonista a poche settimane da inizio riprese – Spielberg guardando una scena de L’Impero Colpisce Ancora si rese conto che era Harrison Ford l’uomo che stavano cercando. “È stato sempre proprio sotto il nostro naso” disse a Lucas.
Ford fu contattato e nonostante qualche resistenza fu convinto da Spielberg con la promessa che sarebbe stato coinvolto in prima persona nella realizzazione del film e nella formazione del personaggio di Indiana Jones.
Da lì in poi la scelta del resto del cast fu tutta in discesa. Per il ruolo di Marion Ravenwood, la ragazza di Indy, Spielberg voleva inizialmente Amy Irving (con la quale aveva una relazione in quel periodo) ma alla fine scelse l’attrice teatrale newyorkese Karen Allen, rimanendo impressionato per la sua professionalità durante il provino. Infine, per quanto riguarda Rene Belloq, l’archeologo francese rivale di Indy, tra i candidati per il ruolo ci fu anche l’italiano Giancarlo Giannini, che aveva praticamente accettato finché non la spuntò a sorpresa l’attore britannico Paul Freeman – scoperto per caso da Spielberg in un film della BBC intitolato Death of a Princess.
I Predatori dell’Arca Perduta e quella diatriba con Kubrick sui serpenti
Le riprese di Indiana Jones e I Predatori dell’Arca Perduta iniziarono il 23 giugno 1980, durarono 73 giorni e attraversarono diverse location sparse per tutto il mondo: La Rochelle in Francia, alcuni villaggi in Tunisia, le isole Hawaii e gli Elstree Studios Studios in Inghilterra. Proprio per questa sua natura itinerante e spericolata la produzione del primo Indiana Jones è ricordata ancora oggi come una delle più dure complicate di sempre, almeno fra chi ne prese parte.
In Tunisia ad esempio le temperature toccarono spesso i 54° C (Lucas fu vittima di una grave forma di insolazione) e 150 membri della troupe si ammalarono di dissenteria a causa del cibo locale. Lo stesso Harrison Ford ebbe dei problemi simili, tanto che decise di ridimensionare una scena dello script in cui avrebbe dovuto duellare a lungo contro uno sgargiante spadaccino egiziano: Ford improvvisò in modo molto più breve e ironico, rendendolo un frammento-tormentone, iconico e memorabile.
Oltre a location non proprio accoglienti fu il tentativo di rendere la messa in scena la più realistica possibile a fare di quel set uno dei meno convenzionali di sempre. Harrison Ford ad esempio fece a meno della controfigura per tutte le scene acrobatiche, compresa la famosa scena della roccia nella caverna che girò dieci volte per diversi angoli di ripresa. Sempre in un’altra delle prime scene del film sul corpo di Alfred Molina fu scelto di mettere delle vere tarantole di sesso maschile (quindi non aggressive) e per rendere ancora più realistico il movimento dei ragni fu aggiunta una femmina proprio sul suo petto.
Nella famosa scena della stanza sotterranea, Spielberg decise di utilizzare migliaia di serpenti vivi: ne ordinò fra i 6.000 e i 10.000 che arrivarono in pochi giorni e che fece gettare sopra la finta sabbia del set londinese senza alcuna particolare cautela. Vivian Kubrick, la figlia diciottenne di Stanley Kubrick nonché animalista incallita, era presente sul set e finì per chiamare la protezione animali, bloccando la produzione del film fino al giorno seguente, quando i serpenti vennero posti a piccoli gruppi in vasche separate e pulite. Per qualche biografo questa diatriba fra Vivian Kubrick e Spielberg sull’incolumità dei serpenti di scena fu uno dei motivi della rottura fra il padre Stanley e il regista di Cincinnati.
Gli effetti speciali della sequenza finale de I Predatori dell’Arca Perduta
La post-produzione durò circa due mesi e si concentrò principalmente sull’elaborazione di effetti speciali e sul montaggio: la “director’s cut” di Spielberg durava quasi tre ore prima che lui e Michael Kahn lo rieditassero a poco meno di due ore. Gli effetti speciali vennero invece affidati alla storica Industrial Light & Magic (ILM) di George Lucas sotto la supervisione di Richard Edlund e il grosso del lavoro si concentrò nella scena finale, quando i nazisti decidono di aprire l’Arca dell’Alleanza causando una sorta di “ira divina”. L’artista degli effetti speciali Steve Gawley ricreò gli “spiriti” che fuoriuscivano dall’Arca utilizzando dei piccoli pupazzi sospesi a mezz’aria. Invece per il primo piano di un fantasma venne utilizzata una receptionist della Lucasfilm, vestita con una lunga tunica bianca: fu filmata mentre si allontanava dalla telecamera e il girato fu poi invertito per creare un movimento dissonante e disumano.
Per le scene dove gli antagonisti – Paul Freeman, Ronald William Lacey e Wolf Kahler – si ‘sciolgono’ furono usati dei modellini rivestiti di sacche d’aria, appositamente rimossa per creare l’effetto “avvizzamento” e dei modelli di cera multistrato fatti sciogliere. L’esplosione della testa di Belloq fu realizzata facendo esplodere un teschio di gesso. Per queste scene “estreme” la Motion Picture Association of America inizialmente classificò film con una valutazione R che lo limitava per un pubblico con età maggiore di 17 anni.
Infine la colonna sonora fu affidata a John Williams, a cui fu chiesto di pensare ad una musica non troppo seriosa, ma anzi, quasi eccessiva, “teatrale”. Williams lavoro alcune settimane al tema principale, più comunemente noto come The Raiders March, che fa capolino durante le scene più spericolate: ancora oggi è una delle melodie più popolari della storia del cinema.
Indiana Jones e I Predatori dell’Arca Perduta: cinema spettacolare con l’aura del grande classico
Dopo l’uscita nelle sale di tutto il mondo Indiana Jones e I Predatori dell’Arca Perduta ottenne un successo clamoroso, ma non solo da parte del pubblico. Anche la critica evidenziò la sua aura di “grande classico”, riconoscendo a Steven Spielberg di essere riuscito ad attualizzare il film d’avventura agli spunti ironici e sprezzanti degli anni’80. Il critico Roger Ebert lo definì come una storia di avventura “mozzafiato e incredibile” che celebrava gli immaginari dell’infanzia raccontati nei fumetti e nei film degli anni ’40; ma al tempo stesso sottolineò come trattasse un argomento di natura anche molto drammatica se si considera il fatto che la trama consiste in nazisti che cercano di usare un antico artefatto ebraico per controllare il mondo.
E allora non c’è da sorprendersi se Spielberg – orgoglioso delle sue origini ebree – con questo film ci mostri che la macchina cinematografica è capace anche di riscrivere/ricreare la storia, inventandosi una vera e propria ‘rivalsa post-olocausto’, non dissimile all’operazione di Quentin Tarantino con Bastardi Senza Gloria.
In questo senso questo film segna un punto di non ritorno per il cinema, una vera e propria rivoluzione interna all’industria hollywoodiana degli anni ‘80 che dura ancora oggi: da una parte si ambisce a riplasmare la realtà, fino a riscrivere il presente (e, inconsapevolmente, il futuro) a partire dal passato; dall’altra si intende la macchina cinematografica non solo come riflesso di storie e personaggi, ma essa stessa creatrice di mondi e immaginari indipendenti. Insomma, Spielberg e Lucas con I Predatori dell’Arca Perduta restituiscono alla forma del cinema la sua natura essenzialmente “infantile”, non tanto perché giocano sul puro entertainment e sull’affabulazione, ma piuttosto perché valorizzano quello slancio creativo capace di inventare mondi ed eroi, come solo i bambini sanno fare. Dopotutto, pensateci bene: come si fa a immaginare la storia del cinema senza Indiana Jones e le sue avventure?