Nell’anno di uscita di Spiral, sequel / soft reboot del franchise horror di Saw – L’enigmista, la serializzazione non dovrebbe più stupirci. La saga di Star Wars a più di quarant’anni dalla sua creazione conta undici lungometraggi e diverse serie televisive, la Marvel ha costruito un impero superomistico di oltre venti film in poco più di dieci anni e Fast & Furious si prepara ad accogliere il debutto del nono capitolo canonico in chiusura del Festival di Cannes. Universi narrativi espansi, cross-over, sequel, reboot, remake e chi più ne ha più ne metta.
È il segno dei nostri tempi, della materia fluida e delle infinite possibilità di intreccio e miscela, tutto a partire da quel paradigma di flusso che rende le nostre vite connesse perennemente a qualcos’altro. All’interno di questa sfera fa capolino per l’appunto anche Spiral, spin-off della serie sui sadici giochi di tortura che ne è a tutti gli effetti il nono capitolo.
SPIRAL: UN SEQUEL / SOFT REBOOT / SPIN-OFF PER PORTARE AVANTI L’EREDITÀ DI SAW L’ENIGMISTA
Stavolta a quanto pare Jigsaw riposa in pace sottoterra e alla guida della regia torna Darren Lynn Bousman, che in passato già aveva diretto il numero due, tre e quattro della saga creata da James Wan e Leigh Wannell. Il sottotitolo italiano del film recita appunto L’eredità di Saw e da questo va a configurarsi come un prodotto che prende il via dalle corde tipiche della serie, giusto per accertare che ciò che stiamo per andare a vedere appartiene a un mondo narrativo ben consolidato per intenzioni e sviluppi.
CON SPIRAL LA SAGA SU JIGSAW HA UNA SVOLTA PIÙ RIVOLTA AL THRILLER POLIZIESCO
Però Spiral è in realtà prevalentemente altro. Si punta alla cornice da thriller per portare avanti un discorso morale sullo stato di un’istituzione come quella della polizia, negli ultimi anni messa nuovamente in forte discussione negli Stati Uniti. Il film su questo procede dritto e non contempla svolte o sfumature di sorta, affidandosi al suo protagonista Zeke (Chris Rock, che firma anche il soggetto) e al relativo carisma per fare da ariete all’interno di un racconto che risponde al modello dell’uno contro tutti. Mentre infatti un apparente emulatore di Saw sta eliminando tutte le mele marce del dipartimento, Zeke deve affrontare non solo le prove che gli sono poste davanti dall’assassino, ma anche la reticenza e l’ostilità dei suoi stessi colleghi.
IL PUBBLICO DI SAW COME PREDERÀ UN FILM ‘IBRIDO’ COME SPIRAL?
C’è da dirlo, sul lato prettamente investigativo Spiral non ha molte carte da giocarsi. La sua natura ibrida lo rende un film a cavallo di diversi mondi che manifesta la volontà di voler muovere avanti come possibilità di esplorazione narrativa, ma che allo stesso tempo paga il dazio di doversi rivolgere a un pubblico di riferimento ben preciso. Ne esce fuori un quadro che se preso come poliziesco sulle tonalità da buddy movie (c’è anche Max Minghella) non appaga per la poca brillantezza posta negli snodi cruciali della caccia all’uomo, così come le torture inferte dall’imitatore sono oggetto ludico fugace e distante dal sadismo che ha contraddistinto la saga in questi anni. Nel mezzo, dove sono lanciati anche una quantità innumerevoli di flashback a costruzione di un fragile background, c’è anche il conflittuale rapporto tra Zeke e suo padre Marcus, un Samuel L. Jackson che è poco più di una partecipazione e riflesso di se stesso.
L’eredità si fa insomma una materia esplorata solo a parole e a corollario di un film che pare immerso tra gli anni ’90 e i primi Duemila per il modo in cui si approccia a testa bassa verso step narrativi funzionali ma facilmente intuibili, figli di un modo di intendere lo script (Pete Goldfinger, Josh Stolberg) a stazioni circondate dal nulla. Non è pessimo e si lascia anche godere come treno lanciato in corsa senza troppi ma e senza troppi perché, ma Spiral va ben poco oltre rispetto a questo.