In Turchia una donna su tre subisce violenza domestica. Questo è il soggetto di Dying to Divorce, presentato alla 17ma edizione del Biografilm Festival. Chloë Faiweather dirige un documentario su un’avvocata attivista (Ipek) che lotta a favore delle donne, contro il femminicidio e contro un sistema corrotto.
DYING TO DIVORCE E «LE COSE CHE NON DOVREBBERO SUCCEDERE»
Le riprese partono con inquadrature notturne, per strada un silenzio che fa presagire la falsa quiete interna alle mura domestiche. Nel frattempo, i nomi delle donne uccise dai loro mariti scorrono come su un memoriale di guerra. A dominare Dying to Divorce è la cruda testimonianza di una violenza ingiustificabile. Il terrore si scorge nello sguardo di resa e sofferenza delle donne intervistate. Donne che, nel punto di non ritorno della violenza, hanno richiesto un ultimo gesto di pietà: se non di rompere le braccia, unico modo per la cura dei figli, di rompere le gambe. Ma la pietà non è di casa nelle testimonianze di cui si fa carico ogni sequenza. Il lavoro della Faiweather offre una visione diretta, cruda, di una consapevolezza diffusa. Il gap fra conoscenza ed esperienza è lo spazio in cui si colloca il documentario nel suo intento di sensibilizzare.
“IL PARADISO È SOTTO I PIEDI DELLE NOSTRE MADRI”: DYING TO DIVORCE E LA TERRA DEGLI SQUILIBRI
Il primitivo senso di orgoglio dell’uomo e il viso calpestato delle donne: questo è il contrasto emergente nel documentario. La mescolanza di brutalità, violenza ingiusta e ignoranza lacera l’anima dello spettatore. Allo stesso tempo, Dying to Divorce invita a domandarsi sul come si possa pensare di chiudere gli occhi di fronte alla negazione del diritto. Donne ridotte in condizioni di disabilità, incapaci di parlare, di muoversi; donne a cui è lasciato il segno della presunta inferiorità.
WE WILL STOP FEMICIDE(?): CHLOË FAIWEATHER POSA LO SGUARDO SULLA LOTTA PER L’EQUITÀ
La violenza mira alla privazione dell’autonomia di fronte a cui emerge la cecità istituzionale, ma anche la volontà di combattere. Dying to Divorce è la storia di donne in lotta, alla ricerca di equità. La lotta è contro un sistema moralmente collassato, che accetta la consuetudine della violenza domestica, convivendo con la morte. L’obiettivo si articola qui in forme diverse: mostrare una condizione e la circolarità storico-sociale viziosa in cui si inserisce e da cui difficilmente si può riemergere. Sottomissione, così, è la parola chiave che rivela l’intento della Faiweather. Sottomissione personale a un sistema che tacitamente continua a non condannare un’immoralità evidente. Per questo, ogni atto di violenza mostra il sub-strato simbolico della privazione. Ora le gambe, ora le braccia, ora il linguaggio. Atti che mirano a negare l’autonomia e l’indipendenza.
DYING TO DIVORCE: UN SISTEMA CHE CONVIVE CON IL TERRORE
Il documentario di Faiweather è anche la storia intrecciata di un Paese in lotta. Un luogo di scontri, violenza, di fermenti. Questo avviene in una cornice storica di incitamento alle rivolte. Dying to Divorce è un ritratto dell’atrocità che non si esaurisce mai, passando dal privato al pubblico. Due dimensioni che hanno reciproche ripercussioni e in cui il tono di violenza è sempre in crescendo. L’ambiente domestico, quello che dovrebbe riferirsi alla cura originaria, viene qui pesantemente appiattito sulle forme del terrore.
DYING TO DIVORCE È UNA LOTTA PER L’INDIPENDENZA
Dying to Divorce è uno sguardo oggettivante. Una denuncia aperta e irrevocabile. Immagini che si incrociano in un sistema che non mostra contraddizione e in cui la giustizia è messa con le spalle al muro. “Se parli in modo critico del governo, diventi un bersaglio”, così afferma Ipek senza paura. La condizione è compromessa, il sistema è marcio, incancrenito da una vena pesantemente reazionaria. Quello che rimane di Dying to Divorce è il senso di impotenza: un documentario che usa il primo piano per raccontare la storia delle donne e contemporaneamente il sentimento di un popolo. Tuttavia, Faiweather non si arrende, proprio come Ipek, e decide di mostrare un universo possibile. Alcune riprese offraono un senso di giusta speranza, di una donna che cammina sulle proprie gambe, prendendo le redini della propria esistenza. Così, Dying to Divorce apre una narrazione possibile: non quella del terrore, ma del riscatto. Mentre lo fa, però, il numero di femminicidi continua persistentemente a salire, nelle grida domestiche soffocate dalla falsa quiete notturna.