Raising a School Shooter, di Frida e Lasse Barkfors, è un documentario danese che indaga sul passato di giovani pluriomicidi resisi responsabili di assalti armati in scuole americane e sull’impatto a lungo termini delle loro azioni. Presentato in anteprima internazionale al Biografilm 2021, il film riflette sulla banalità del male attraverso le testimonianze di tre diversi genitori, i quali ripercorrono drammaticamente le storie dei propri figli finendo per dare un quadro raggelante di cosa significhi – col senno di poi – aver cresciuto dei carnefici.
RAISING A SCHOOL SHOOTER: COSA SIGNIFICA ESSERE GENITORI DI UN ADOLESCENTE PLURIOMICIDA
Al centro di Raising a School Shooter ci sono in particolare le storie della madre di Dylan Klebol, della famigerata school shooting della Columbine High School (1999); del padre di Andy Williams degli omicidi alla Santana High School (2001) e del padre di Nicholas Elliot della sparatoria alla Atlantic Shores Christian School (1988). Storie che ci parlano con delicatezza non solo di quel che ha preceduto atti folli e spietati, ma anche e soprattutto dell’impatto che le scelte di quegli adolescenti spintisi oltre ogni limite hanno avuto sulle vite di chi rimane, che siano parenti delle vittime o dei carnefici.
LE COLPE DEI FIGLI POSSONO RICADERE SUI PADRI?
L’aspetto più interessante di Raising a School Shooter è ovviamente l’implicito ribaltamento della questione della ricaduta delle colpe dei padri sui figli. Se di certo i genitori non sono diretti responsabili degli assalti commessi dalla propria prole, convivranno comunque a vita con il dubbio che la loro incapacità di capire per tempo cosa stesse accadendo e di correggere la rotta prima del disastro rappresenti comunque un titolo di correità.
È ovvio il disprezzo per quei crimini e in qualche misura per chi ne è stato responsabile, ma è meno ovvio come proprio il suddetto senso di colpa faccia rifiorire una forma di amore genitoriale: in esso vi è una parziale assunzione delle colpe dei figli, e con essa la volontà di compensare quel messaggio d’amore e vicinanza che probabilmente non è arrivato nella giusta misura quando avrebbe dovuto.
RAISING A SCHOOL SHOOTER È UN DOCUMENTARIO DAI TONI DELICATI SULL’IMPATTO NASCOSTO DEI MASSACRI SCOLASTICI
Raising a School Shooter è un documentario tutt’altro che sensazionalistico, e anzi ha toni estremamente delicati e un passo piuttosto lento – elementi che talvolta contribuiscono a renderlo non particolarmente magnetico. Questa scelta di non entrare mai nel dettaglio dei crimini cui si accenna da una parte sembrerebbe renderlo incompleto, ma dall’altra ha il pregio di porre la giusta attenzione sul cataclisma psicologico vissuto dai genitori.
Non tutte e tre le testimonianze nel film sono ugualmente interessanti, ma la più incisiva è sicuramente quella della madre dell’assalitore della Columbine. Una mamma che mai avrebbe immaginato di aver cresciuto un pluriomicida, giacché ai suoi occhi sembrava condurre la vita di un normalissimo diciassettenne, ma che a più di vent’anni da quell’evento ancora non si perdona e si reputa immeritevole anche solo di mezz’ora di felicità. «Ogni cosa è morta quel giorno» testimonia la donna; «È morto tutto nel mio mondo: la mia fiducia nella verità, in cosa fosse la famiglia, in chi fosse Dylan. Pensavo di essere una buona madre ma la verità che che non conoscevo affatto mio figlio. Da allora non credo più a nulla. (…) Appena ho scoperto che era stato lui, ho sperato di scoprire che era morto quel giorno». E così fu.
RAISING A SCHOOL SHOOTER TRA BULLISMO, DISAGIO PSICOLOGICO ED EDUCAZIONE
Dal racconto dell’agghiacciante momento in cui si scopre che il proprio bambino è un omicida (che ha a lungo pianificato le proprie azioni delittuose) alle riflessioni a posteriori su quali sia il ruolo di un genitore anche e soprattutto dopo i massacri scolastici, Raising a School Shooter ci dimostra che ogni storia suscita reazioni diverse, e che l’unico vero comune denominatore è il disagio psichico dell’adolescenza. Un disagio che non è in alcun modo una giustificazione delle sparatorie scolastiche, ma che è spesso un fardello ingestibile (si pensi anche alle storie di suicidio scolastico raccontate nel meraviglioso documentario 1999 di Samara Chadwick) e che impone una serie riflessione sulle ferite generate dal bullismo e da tutta quella violenza che genera a sua volta violenza.