Solos (Assoli) è la nuova miniserie antologica in 7 puntate, prodotta e distribuita da Prime Video. La serie, a sfondo sci-fi e creata dal David Weil di Hunters, vanta nel cast attori del calibro di Morgan Freeman, Anne Hathaway, Helen Mirren, Anthony Mackie e Dan Stevens.
SOLOS (ASSOLI), NELLA SERIE PRIME VIDEO 7 PERSONAGGI IN CERCA DISPERATA DI PSICANALISI
Solos presenta sette personaggi solitari e in auto-analisi. Ognuno di loro messo a dura prova e a confronto con nuove tecnologie che costituiscono la cornice distopica della narrazione. Dai viaggi temporali all’intelligenza artificiale, ogni personaggio si trova a dover affrontare se stesso, anche nella forma perturbante del doppio.
LA MINI-SERIE DI DAVID WEIL HA PESANTI DIFFICOLTÀ DI ESPRESSIONE (CINEMATOGRAFICA)
Sulla falsa riga di Black Mirror ma ben lontano dagli esiti della serie di Charlie Brooker, Solos (Assoli) è un prodotto con potenzialità che non riesce ad esprimere. Ci si trova davanti a una serie assolutamente verbosa, con monologhi lunghi, mal gestiti e che neanche le interpretazioni dell’ottimo cast riescono a salvare. Con un tono che spesso scivola involontariamente verso il dramedy sgrammaticato e la ricerca inadeguata, quasi obbligata, di colpi di scena dallo scarso effetto emotivo, la serie di Weil (che qui esordisce anche alla regia di tre episodi) va sempre peggio, puntata dopo puntata.
IN SOLOS (ASSOLI) TEMI ETICI FORTI COMBINATI CON UNA SERIE INFINITA DI CLICHÉ
Il primo episodio è solo il triste esordio di un lavoro che intreccia maldestramente temi, personaggi e snatura lo storytelling. A fronte del tema ormai inflazionato delle ripercussioni della tecnologia, qui ci si concentra sui temi del sosia/androide e dell’intelligenza artificiale. Inutile dire che la profondità del Villeneuve di Blade Runner 2049 è lontana anni luce. Questi, in Solos (Assoli), trovano nella complessità esistenziale umana il limite ultimo della possibilità imitativa. Lo script che strutturalmente si basa sul processo di autoanalisi dei personaggi, partendo dal “dialogo interno”, implode a causa di narrazioni eccessivamente mielose e stereotipate. La fantascienza – che dovrebbe essere il genere di riferimento – qui si combina con una linea tematica eticamente gravida ma che cozza con un lavoro complessivamente immaturo.
TANTI TEMI E MOLTA CONFUSIONE NELLA SERIE DI WEIL
In Solos (Assoli), l’inquietudine maggiore deriva da un lavoro sul montaggio che tenta di trasformare il dialogo in soliloquio. Non c’è dubbio che la miniserie di Weil voglia far emergere il contrasto fra la qualità degli stati esistenziali (espressi nella solitudine) e la quantificazione della vita imposta dalla tecnica. L’idea non è di per sé cattiva, ma costituisce un mosaico non organico che preleva pezzi da tradizioni diverse. Solos attinge dalla cinematografia sui paradossi temporali a quella che si focalizza sulle implicazioni etiche delle nuove tecnologie. Se c’è un elemento interessante, che porta con sé anche il significato del titolo, è proprio la solitudine. Insieme a questo, però, una linea tematica coerente non è estrapolabile, perché non univoca. Questo rende Solos (Assoli) un prodotto ambiguo, dalla sceneggiatura noiosa e strascicata.
SOLOS (ASSOLI): TRA INTENTI RETORICI ED ECCESSIVE ESPLICITAZIONI
Nonostante il virtuoso intento tematico, questo scade in un eccesso retorico e fin troppo esplicito. La buona idea di Solos cade anche qui, di fronte all’eccessiva esternazione della sceneggiatura che lascia poco spazio allo spettatore nella costruzione del significato. Solos (Assoli), proponendo un’etica contro-intuitiva (personaggi che non agiscono come dovrebbero), vuole essere un trattato cinematografico sulla solitudine, la tecnica e la comune esperienza umana. Purtroppo, però, il lavoro di Weil non porta da nessuna parte, anzi è il caso di dire che presenti forti difficoltà ad arrivare allo spettatore.