Fear street è la trilogia horror-slasher disponibile su Netflix e diretta da Leigh Janiak. Composta da tre film, rispettivamente ambientati nel 1994, 1978 e 1666, è prodotta da Chernin Entertainment. La trilogia di Fear Street, basata sull’omonima serie di romanzi firmata da R. L. Stein, conta nel cast Maya Hawke (C’Era Una Volta a Hollywood…), Sadie Sink (Stranger Things), Gillian Jacobs (Community), Kiana Madeira (The Flash), Olivia Welch (Modern Family) e Benjamin Flores Jr (Your Honor).
LA TRILOGIA NETFLIX DI FEAR STREET E LA STORIA DI UNA CITTADINA MALEDETTA
Periodicamente, nella cittadina di Shadyside avvengono brutali omicidi a opera di adolescenti invasati. Un gruppo di ragazzi, tra i quali Deena (Kiana Madeira), Samantha (Olivia Welch) e Josh (Benjamin Flores Jr.) iniziano a venire a capo degli eventi, scoprendo come una forza sovrannaturale, mista a rancore e vendetta, abbia dato origine a una maledizione.
LA TRILOGIA DI JANIAK E IL RITORNO DI R.L.STEIN
Dopo Piccoli Brividi (Goosebumps, 2015) e Piccoli brividi 2 (Goosebumps 2:Haunted Halloween), l’opera di Stein riprende spazio sullo schermo. La trilogia dei romanzi di Fear Street si concentra su una fascia d’età adolescenziale, il che pone una differenza sostanziale rispetto ai personaggi tipici di Piccoli Brividi. Questo, irrimediabilmente, conferisce maggiore respiro alla direzione di Janiak. La regista, infatti, riesce facilmente a muoversi fra l’horror soprannaturale e lo slasher movie. Siamo dunque su un piano diverso, che non è quello soft, pre-adolescenziale, ma quello di un terrore che rende onore anche al genere splatter. Allo stesso tempo, il soggetto, modulato su tre epoche diverse, si intreccia con le origini dell’orrore che affligge Shadyside assumendo il tono di un mistery movie.
FEAR STREET È UN HORROR ORDINARIO E PRIVO DI ASPIRAZIONI
Fear Street non ha grandi pretese, di fatto è l’incarnazione piena di un genere ben noto allo spettatore. Gli ingredienti per una buona ricetta classica ci sono tutti: la maledizione della quieta cittadini americana, teenager di cui fare carneficina, maschere perturbanti e storie d’amore improbabili fra nerd e belle ragazze. Un’accozzaglia di clichè che, proprio in virtù della sua aderenza al classico, evita una mescolanza di stili e quindi di pasticciare – come invece è recentemente successo con A Classic Horror Story. Inoltre, il riferimento alla tradizione del genere, lo si trova sia in Fear Street 1978 con il recupero di un franchise come Venerdì 13, mentre Fear Street 1994 rimanda maggiormente a Scream.
JANIAK E L’INTRECCIO TEMPORALE, ELEMENTO CARDINE DI FEAR STREET
La scommessa netflixiana sulla trilogia pare funzionare, sfruttando il meccanismo narrativo di continuità e riferimenti intrecciati. I tre film che seguono un andamento cronologico inverso, cioè il primo Fear Street è quello storicamente ambientato più avanti nel tempo (1994) e i successivi procedono temporalmente all’inverso (1978 e 1666), in linea con un plot che ricerca le “origini del male” della cittadina. In questo senso, Fear Street, pur nel suo assoluto trionfo di ovvietà, lavora bene nella combinazione fra le linee temporali.
FEAR STREET E LA GENEALOGIA DEL MALE
Fear Street, inoltre, non rinuncia a lavorare su una traccia multi-tematica. Tra queste l’omosessualità – qui analizzata sotto il profilo delle diverse epoche storiche e conseguenti intolleranze e paure – diventa un tema nevralgico nello svolgimento della storia. Allo stesso tempo, come nel migliore dei romanzi di Stephen King e relative versioni cinematografiche (It, Muschietti 2017), l’horror diventa un espediente per raccontare il male in latenza, atavico, inestinguibile. Coordinandosi con l’operazione narrativa del movimento temporale inverso (dal presente al passato), Fear Street mette in scena una vera e propria genealogia del male.
JANIAK SCEGLIE L’OVVIETÀ DELL’INTRATTENIMENTO PER FEAR STREET
Nel complesso, la trilogia di Fear Street si configura come un horror evasivo, pur non rinunciando a una traccia tematica forte. Consola il fatto che non ci sia oscillazione, precarietà e indecisione nel lavoro di Janiak. La polarizzazione fra l’horror classico e la new wave inaugurata da Aster ed Eggers è bene che si mantenga tale. Le contaminazioni non saggiamente gestite rischiano di incorrere in una degenerazione stilistica. Al contrario, una linea univoca – in questo caso tradizionale – che poggia su un soggetto ben strutturato costituisce una modo per scansare il pericolo del trash. La scelta di Janiak, aderente a uno stile abusato, mira dritto al proprio obiettivo: quello di intrattenere, senza grandi pretese.