Earwig e la Strega (Aya to Majo) è il nuovo lungometraggio prodotto dallo Studio Ghibli, noto soprattutto per i capolavori d’animazione di Hayao Miyazaki, e diretto da Gorō Miyazaki, figlio del celebre regista. Il soggetto viene dall’omonimo romanzo di Diana Wyne Jones, il cui libro Il castello errante di Howl aveva già ispirato il film di Hayao Miyazaki del 2004.
UN’ORFANA APPRENDISTA DI MAGIA NEL NUOVO FILM DELLO STUDIO GHIBLI
Earwig (Kokoro Hirasawa) viene abbandonata dalla propria madre (una strega) presso un’ orfanotrofio. Ad adottarla saranno Bella Yaga (Shinobu Terajima) e Mandragora (Etsushi Toyokawa), una coppia dedita alle arti magiche. Prigioniera in una casa stregata e desiderosa di apprendere la magia, la storia di Earwig si snoda tra gatti parlanti, pozioni e volontà di affermazione.
EARWIG E LA STREGA E LA PESSIMA SCOMMESSA DEL DIGITALE
Di certo non siamo abituati al digitale con lo Studio Ghibli. Lo stile a cui Miyazaki (padre) ha adattato l’occhio dello spettatore è profondamente piatto e tradizionale. Ma proprio di quello stile Hayao Miyazaki aveva fatto un punto di forza, con i mostri dalle strutture scomposte e lo slancio visionario, conferendo profondità all’intreccio narrativo. Seppure risulti parzialmente ingiusto un raffronto padre/figlio – laddove tra l’altro quest’ultimo aveva tentato di seguire un proprio percorso – è tuttavia qui legittimo, date le assonanze precedenti e la comune appartenenza alla famosa casa di produzione nipponica. Come il colosso occidentale disneyano, quello orientale dello Studio Ghibli opera qui un salto di grafica ben noto a Disney sin dagli anni ’90 quando decise di unire le forze insieme alla Pixar. Con Earwig e la Strega (Aya to Majo), Gorō Miyazaki si fa portatore di questa innovazione che, purtroppo, non funziona e disturba.
IL FILM DI GORŌ MIYAZAKI NON RAPPRESENTA LA NEW AGE DELLO STUDIO GHIBLI
Earwig e la strega (Aya to Majo) è la rappresentazione di una scommessa errata. In realtà, neanche l’eroina con il suo gatto/aiutante Thomas (Gaku Hamada), possiede spessore – anzi, si può dire che le venga conferito solo tecnicamente dall’animazione digitale. La giovane apprendista, lontanissima dalla delicatezza poetica della piccola strega di Kiki, consegne a domicilio (1989), è un personaggio già confezionato, con cui è difficile empatizzare. Priva di stimoli, spesso manipolatrice e senza un arco evolutivo efficace, Earwig è una protagonista narrativamente inefficace. Dunque, se lo studio Ghibli tenta di affacciarsi faticosamente sulla produzione in CGI con uno slancio commerciale, perde la sua originale vocazione poetica. E non sarebbe la priva volta, data l’insoddisfazione mostrata da Hayao Miyazaki per la produzione del corto Kemushi no Boro (2018) (sempre in CGI) per il Museo Ghibli.
EARWIG E LA STREGA VA BENE PER IL PICCOLO PUBBLICO
Earwig e la strega (Aya to Majo) rimane un film da intrattenimento per i più piccoli. Non ci si aspetti di vivere la pienezza malinconica di Miyazaki (padre), né quella delle opera precedenti di Gorō. Nonostante le buone prove di quest’ultimo con I racconti di Terramare (2006) e (2011), Earwig e la strega è una delusione profonda. Pare che lo spostamento d’asse dal valore del plot alla resa grafica abbia fin troppo deconcentrato il regista. Per rimediare, intanto, rimaniamo in attesa dell’opera/testamento di Hayao Miyazaki Kimi-tachi wa dō ikiru ka (in italiano “E voi come vivrete?”), sperando che anche Gorō possa fare un passo indietro e tornare alla genuina impostazione della poetica paterna.