Due anni dopo aver concorso alla Mostra del Cinema di Venezia con il folgorante e inusuale Ema, nel 2021 il cineasta cileno Pablo Larraín torna nella selezione principale del Festival di Venezia con Spencer, dramma su Lady Diana che vede una maiuscola Kristen Stewart nei panni dell’infelice principessa del Galles, affiancata nel cast da interpreti eccellenti come Sally Hawkins (La Forma dell’Acqua), Timothy Spall (La Verità Negata) e Sean Harris (Mission: Impossible – Fallout). Per il cineasta cileno quindi un ritorno al biopic; genere che nel 2016 aveva esplorato con Neruda e Jackie.
CON SPENCER PABLO LARRAÍN RIASSUME LA VICENDA DI LADY DIANA IN UNA MONADE NARRATIVA DI 3 GIORNI
Spencer è un film ambizioso, che si concentra solamente sui tre giorni centrali della vita di Lady D: quelli delle vacanze di Natale 1991. Il matrimonio tra Diana e Carlo è già in crisi, le voci di un presunto tradimento si stanno facendo insistenti e la morbosa persecuzione mediatica nei confronti della giovane coppia è in corso da tempo. Il 24 dicembre, la famiglia reale – come da tradizione – si rifugia nel castello di Sandringham per trascorrere tre giorni di distacco dalla vita della città.
SPENCER: DIGRESSIONI IMMAGINARIE PER RIASSUMERE LA STORIA VERA DI LADY DIANA
Spencer è «basato su una tragedia realmente accaduta» – come recita il cartello che precede il film – ed è un resoconto fittizio dei giorni che la principessa ha trascorso rinchiusa tra le mura della residenza reale.
Bisogna quindi fare una precisazione fondamentale: Spencer non è un docudrama e non è il solito film sulla celeberrima principessa. L’intenzione di Larraín è chiara sin dal principio della pellicola: proprio come era stato per Jackie con la figura di Jacqueline Kennedy, il regista ha voluto dipingere un ritratto soggettivo che cogliesse nel privato l’essenza di un’icona pubblica.
IN SPENCER KRISTEN STEWART REGALA LA SUA PERFORMANCE PIÙ MEMORABILE
Al regista e sceneggiatore infatti, del title character, interessa soprattutto la dimensione di donna ribelle e madre; molto meno quella legata al suo ruolo nell’istituzione monarchica. Il mondo interiore di Diana, fragile e irrequieto, affiora con forza anche e soprattutto per merito di una superba Kristen Stewart (Personal Shopper), la quale si cimenta in un ruolo piuttosto lontano da quelli cui è generalmente associata ma che sembra esserle stato cucito addosso.
In Spencer Diana emerge come un’anticonformista e ribelle che ripudia il protocollo di corte associato al suo ruolo. Dietro al rifiuto del cerimoniale, una donna che guarda al futuro circondata da persone che non riescono a vedere oltre al passato; una madre affettuosa e dolce che, in un contesto tutt’altro che ordinario, non desidera altro che un po’ di normalità per sé e per i suoi due figli.
SPENCER È UN’INDAGINE UMANA CHE SI LIBERA DI TUTTE LE SOVRASTRUTTURE ISTITUZIONALI E MEDIATICHE
Come esplicitato dal titolo che sottolinea una certa estraneità della protagonista alla setta dei Windsor (anche se figlia di visconti da sempre legati alla casa reale britannica), in Spencer Larraín sembra voler isolare la principessa dalla macchina istituzionale di cui si sente vittima e vuole indirizzare il suo sguardo direttamente al cuore e alla mente di una giovane di nome Diana.
Dopo un attento lavoro di ricostruzione di set, costumi, tradizioni e abitudini della famiglia reale, con questo film riesce a liberare – anche se solo in maniera fittizia – la principessa Diana da quelle collane di perle regalate da un Carlo ostile, preziose catene al collo che la vincolavano simbolicamente a una vita fatta di apparenze illusorie, ritmi monotoni e percorsi già stabiliti. Una vita sempre rivolta al passato, nella quale ogni cambiamento rischia di mettere in discussione una monarchia sempre più anacronistica: si deve fare così perché si è sempre fatto così, è la tradizione.
IN SPENCER LADY DIANA COME UNA MODERNA ANNA BOLENA
Nel film il costante paragone con Anna Bolena introduce i temi centrali del film: abuso e violenza. Da un lato la seconda consorte del crudele sovrano Enrico VIII Tudor, perseguitata e punita con la decapitazione, dall’altro una donna fatta psicologicamente a pezzi da suo marito, dai membri della di lui famiglia e dall’attenzione dei media.
Larraín traccia i tratti di una donna progressista e sola nelle sue battaglie contro tutto e tutti – eccezion fatta per i suoi due amati figli William e Harry e la sua aiutante Maggie. Immagina e rappresenta Diana come una presenza cupa e sofferente per quasi tutte le due ore di durata del film. Quasi, appunto, perché la soluzione finale c’è, Larraín la trova: è l’amore. Il film non mette in scena la morte di Diana, non avrebbe potuto farlo. Si chiude, invero, con la purezza di un sentimento totalizzante verso i figli, un momento di commovente normalità e – molto più prosaicamente – con un product placement di primo livello per le alette di pollo di KFC.