White Building, film del cambogiano Kavich Neang in concorso a Venezia 78 nella sezione Orizzonti, è una coproduzione sino-franco-cambogiana che parte da un pretesto reale: la demolizione del White Building, enorme complesso di case popolari a Phnom Penh risalente agli anni ’60, avvenuta nel 2017.
DI COSA PARLA WHITE BUILDING? LA TRAMA DEL FILM
Il giovane Samnag sogna di diventare un ballerino. Le sue aspettative, però, si scontrano con la tragica realtà della propria vita, oscillante fra i problemi familiari e una casa in via di demolizione.
WHITE BUILDING E LE TRACCE AUTOBIOGRAFICHE
Kavich Neang decide di fondare lo script di White Building su una traccia autobiografica. Infatti, il regista, classe ’68, studia danza ed entra nel cinema solo nel 2013 dirigendo il cortometraggio A Scale Boy. White Building è espressione di questo mondo che gli appartiene e dal quale proviene. Il film, infatti, riporta all’occhio dello spettatore una Cambogia anche dai toni romantici. E lo fa raccontando, almeno nella prima parte, la vita di un ventenne con un sogno nel cassetto.
IL “WHITE BUILDING” COME CORNICE NARRATIVA
C’è un altro importante evento però, di cui il regista parla espressamente nelle interviste e che è fonte di ispirazione. Siamo nel 1963 e due architetti, uno cambogiano (Lu Ban Hap) e uno russo (Vladimir Bodiansky), progettano e costruiscono il White Building, un imponente edificio a Phnom Penh. Dopo il dominio degli Khmer Rossi, molti artisti vengono invitati a occupare il palazzo – e il padre di Neang (uno scultore) è fra di loro. Quell’edificio è ciò che il regista tenta di far rivivere nel suo lungometraggio, costruendo una cornice narrativa storicamente fondata.
IL FILM DI NEANG È UNA BELLA RICOSTRUZIONE, MA NON ECCELLE
Nonostante gli splendidi intenti, la direzione del film è pervasa da una certa banalità, anche per quanto riguarda la direzione della fotografia, a esclusione di qualche sequenza iniziale. Di certo White Building ci trasporta in un universo in cui è tracciato il confine del mondo dei sogni, sfaldato dalle incombenze esterne. Prescindendo da questo sguardo – che in ogni caso non è la solita e monotona critica implicita a un sistema – il lavoro di Neang a momenti sembra una sorta di Step Up ambientato in Cambogia.
WHITE BUILDING E LO SQUILIBRIO STILISTICO
Rimane evidente l’impronta documentaristica ed è forse l’elemento di maggiore squilibrio. Questo, tra l’altro, è un retaggio autoriale che Neang si porta dietro dal 2019, quando a Rotterdam presenta Last Night I saw you smiling nella categoria Bright Future. Il confine sottile fra la grammatica del documentario e quella prettamente cinematografica non funziona e non permette uno sviluppo narrativo compatto. Spesso, infatti, White Building sembra un documentario di antropologia (per carità, meraviglioso!), rinunciando alla creazione del pathos che la storia si prefigge di fornire partendo dall’aspirazione artistica del protagonista. La narrazione è infatti resa difettosa da intromissioni pseudo-etnografiche non dosate.
NEANG E IL SUO BILLY ELLIOT CAMBOGIANO
Il tema dei sogni infranti è bello, certo. Piace anche l’idea di ricontestualizzarlo fuori dalle produzioni iper-commerciali, ma forse era necessario lavorare con più attenzione sullo sviluppo dei personaggi. Come nella celebre storia cinematografica a tutti nota del giovane Billy Elliot, c’è una resistenza della realtà allo slancio ideale del protagonista. Qui, però, cambiano i parametri, anche se, in fondo, è sempre una realtà storica e una condizione esterna che impone il ridimensionamento del sogno. In White Building, questa resistenza passa dalla ricostruzione di un contesto identitario, culturale, sociale ed economico. Nel caso specifico è qui inquadrata la condizione delle famiglie cambogiane costrette a sloggiare dal palazzo in via di demolizione.
WHITE BUILDING: IL FILM CHE COSTRUISCE REALTÁ INFRANGENDO L’IDILLIO
White Building è una storia cruda e reale; così la racconta Neang, senza eccedere nel melodrammatico. È una visione lucida e pulita nonostante la parziale carenza stilistica. Non ci sono gli spettacolari ostacoli tipici del cinema classico, ma solo tanta realtà con cui fare i conti per il giovane Samnag. Doveri familiari, malattia, disagi economici. Da tutto questo passa la rivisitazione della Cambogia in White Building. Un film che osa diventare ripetitivo, proprio come la realtà, mentre il sogno tenta, spesso in vano, di infrangerla.