Dopo aver ottenuto consenso internazionale con Clash, pellicola che nel 2016 ha aperto Un Certain Regard a Cannes, il regista e sceneggiatore egiziano Mohamed Diab presenta in concorso nella sezione Orizzonti del Festival di Venezia 2021 il suo nuovo film, Amira. Tra genere e cinema d’autore, il lungometraggio offre uno sguardo inedito su una zona del mondo di cui si parla molto ma la cui complessità non sempre emerge.
AMIRA: NEL FILM DI VENEZIA 78 LA VITA DI UNA RAGAZZA PALESTINESE VIENE STRAVOLTA DA RIVELAZIONI IMPROVVISE
Amira (Tara Abboud) è una ragazza diciassettenne che vive in Palestina assieme alla madre Warda (Saba Mubarak) e alla famiglia del padre Nawar (Ali Suliman), un combattente detenuto in carcere da prima che lei venisse al mondo. La ragazza, nata grazie al contrabbando del seme del padre dalla prigione, non ha infatti mai visto il genitore se non dietro alle sbarre di un carcere israeliano, ma è cresciuta venerandolo per la sua fama di ‘eroe’ della causa palestinese. Quando i genitori tenteranno di darle un fratello con un nuovo concepimento a distanza, una rivelazione del tutto imprevista la costringerà in una situazione estremamente difficile.
MOHAMED DIAB E UN LINGUAGGIO DI MACCHINA ASCIUTTO MA PIENO DI IDEE
Arrivato al terzo film da regista, Mohamed Diab con Amira realizza un’opera estremamente matura mescolando genere e cinema d’autore con grande equilibrio, e mostrando un piglio sicuro nella gestione della macchina da presa.
La scelta di optare per l’utilizzo della camera a mano è decisiva nel dettare il ritmo della pellicola, mentre lo stile asciutto rimanda immediatamente ai contesti che vediamo continuamente nei telegiornali. Nonostante questo non mancano soluzioni visive ricercate e interessanti idee narrative, che diventano funzionali nel caricare di un’emotività sempre discreta vicende che a tratti rischierebbero di essere ordinarie, elevandole all’universale.
AMIRA, TRA CINEMA SOCIALE E GIALLO
La sceneggiatura, anch’essa opera di Diab, è uno dei punti di forza di Amira. Il lungometraggio, nella sua struttura, sfrutta gli stilemi del giallo, prendendo anche come punto di riferimento il cinema mediorientale (soprattutto quello di Asghar Farhadi, l’autore premio Oscar de Il Cliente) e la tragedia greca – in particolare il ciclo tebano sofocleo.
Le rivelazioni che si susseguono nel corso del film, così come l’evoluzione dei personaggi, vengono gestite dal regista in maniera quasi esemplare non facendo mai calare il ritmo narrativo; certo, non tutto funziona alla perfezione (nella parte finale qualche sbavatura c’è) ma lo script, nella costruzione e nell’intreccio, è talmente pregno di idee da far dimenticare qualche mancanza.
LA QUESTIONE ISRAELO-PALESTINESE E L’INCREDIBILE PRATICA DEL CONTRABBANDO DI SPERMA
A Mohamed Diab sicuramente non manca né il coraggio né l’ambizione: Amira infatti tocca una moltitudine di temi, anche molto scomodi agli occhi di un occidentale. Innanzitutto mette in scena luci e ombre della questione palestinese, ritraendo un popolo dilaniato da un’insanabile ferita sociale. Senza fare sconti a nessuna delle parti, mostra infatti il dramma palestinese di un territorio e un’identità martoriata, ma al contempo denuncia la prima conseguenza della risoluzione 181: un odio cieco e indiscutibile verso qualunque israeliano.
Altrettanto interessante è la questione relativa al contrabbando di sperma dei carcerati per la fecondazione assistita, pratica insospettabilmente frequente nel paese mediorientale. Oltre ad essere uno spunto di discussione di per sé sorprendente, crea una sorta di analogia tra la storia personale di Amira, concepita attraverso questa pratica (la madre della ragazza era vergine), e il paese che si vuole abbia dato i natali a Gesù Cristo. Nessuna “immacolata concezione” mette al riparo un individuo o una società dall’ambiente che lo circonda, soprattutto se c’è di mezzo un conflitto sanguinoso che va avanti da quasi ottant’anni.
Infine, ma non meno importante, è la tematica della questione femminile, diventata sempre più centrale nel cinema: in un luogo dove l’emancipazione delle donne è più difficile da raggiungere, i personaggi più umani, forti e sfaccettati sono proprio quelli di Amira e di Warda (interpretate splendidamente da Tara Abboud e da Saba Mubarak).
IL REGISTA DI AMIRA VERSO MOON KNIGHT, LA NUOVA SERIE MARVEL PER DISNEY+
La pellicola conferma il talento di Mohamed Diab, uno degli autori più interessanti del panorama mediorientale; non è un caso che si siano accorti di lui gli americani, dato che sarà il regista di alcuni episodi della serie Marvel Moon Knight con protagonista Oscar Isaacs – in lavorazione per Disney+). Amira, per come è stato realizzato, è un film in grado di poter essere apprezzato da qualunque tipo di pubblico, da quello più esigente fino a quello più votato al cinema generalista. Saremmo felici se il concorso di Orizzonti gli riconoscesse i suddetti meriti.