Zalava, film iraniano di Arsalan Amiri, è stato presentato alla 36. SIC a Venezia 78, dove ha vinto il Gran Premio Settimana Internazionale della Critica e il Premio Fipresci. Come co-sceneggiatore Amiri aveva condiviso i meriti per il premio conferito a Nahid nel 2015 in Un Certain Regard, a Cannes 68, e dopo una lunga collaborazione con Ida Panahandeh, Zalava è il primo lavoro autonomo di cui firma la regia.
Di cosa parla Zalava? La trama del film
Nel 1978, nel piccolo paese di Zalava, in Kurdistan, gli abitanti sono convinti che un’oscura presenza si aggiri tra loro. Il sergente della cittadina (Navid Pourfaraj), arresta per frode l’esorcista (Fereydoun Hamedi) impegnato nello scacciare il demone. A discapito dello spirito di razionalità del sergente stesso, tuttavia, le cose prendono una piega inaspettata.
Lo spirito razionale in Zalava: “Il mio lavoro è arrestare persone, non demoni”
Zalava è un film medio-orientale dalla forte vocazione internazionale. Nutrendosi di alcuni stereotipi tipici dell’horror soprannaturale – tema su cui torneremo in conclusione – li ricontestualizza nel Kurdistan degli anni ‘70. La cittadina infestata, un protagonista inflessibile e una love story che nasce a margine degli eventi. Tutti elementi che, se combinati con le credenze popolari, rendono trasversale il tema dell’esorcismo e le sue implicazioni in termini di fede e superstizione.
Zalava: la resistenza della superstizione contro l’impero del razionale
L’ambientazione tra i vecchi ruderi del piccolo villaggio arroccato sono elemento di originalità dell’opera. Grazie a questi non c’è bisogno di inventare le storie, ricostruire le location
per rendere l’effetto di culture sperdute. In Zalava, i piccoli borghi del medio-oriente rappresentano gli ultimi custodi di una cultura di confine, che resiste alla mentalità imperante della razionalità occidentale. Rispetto al funzionamento complessivo di quel piccolo mondo, le sue istituzioni si mostrano idiosincratiche rispetto al modello dominante.
La possessione come psicosi collettiva in Zalava
In questa cornice, l’espediente narrativo per Zalava è un presunto demone che porta caos e scompiglio. In quei luoghi incapsulati nel tempo di cui accennavamo, esiste un legame con l’animismo primitivo. Protagonista reale è, in fin dei conti, la psicosi popolare che si manifesta come cecità della superstizione. Ora, che questo non sia oggetto di giudizio di valore da parte del regista è chiaro. Di fatto, persiste solo la volontà di rappresentare una condizione antropologica.
Zalava porta allo scontro inevitabile fra mentalità
Su questo complesso psicosi-superstizione-provincialismo si incentra dunque Zalava. Da una parte Amiri rappresenta il rito come palliativo psicologico e simbolica liberazione dal male. Dall’altra parte, la presunzione della risoluzione razionale trasborda nel mancato rispetto del credo di un popolo, nella pretesa di esportare il migliore dei modelli possibili di pensiero (razionale), schiacciando quello magico. Da questo scontro inevitabile sorge la risoluzione tragica della narrazione.
Zalava, Anvari e l’uso dei cliché dell’horror occidentale
Temi interessanti, questo è certo, ma Zalava nonostante tutto è ben lontano dall’essere un film perfetto. L’insieme, a dispetto dell’ambientazione inusuale (che pur ricorda gli esiti ben più interessanti dell’britannico-iraniano Babak Anvari di Under The Shadow), ripropone sostanzialmente percorsi ben consolidati dell’horror occidentale e non si sottrae a tutta una serie di paradigmi che ne minano l’originalità.
Tutto ciò, insieme a dialoghi non sempre brillantissimi e a scelte di scrittura a tratti troppo forzate, non va comunque a nocumento delle aspirazioni del film. I cliché del cinema Occidentale diventano infatti – proprio come in Anvari – un pretesto per avvicinare alla nostra sensibilità una realtà per molti aspetti distante.