Leggendo il mero titolo, si potrebbe pensare che Mondocane di Alessandro Celli sia in qualche misura un omaggio al (quasi) omonimo documentario di Gualtiero Jacopetti di primi anni ’60 (il cui titolo è Mondo Cane), un’opera che ha segnato così profondamente il cinema da meritarsi l’assegnazione di un “genere”: i Mondo Movie. Si tratta di documentari che raccontano realtà scioccanti del nostro mondo, tradizioni barbare, improbabili, lontane.
Nel film di Celli presentato alla Settimana della Critica di Venezia 78 invece il titolo si rifà ad un negozio di animali che viene bruciato dai due protagonisti: Mondocane (Dennis Protopapa) e Pisciasotto (Giuliano Soprano). I due giovani amici, cresciuti praticamente orfani all’ombra di un vecchio che li trattava male, vogliono entrare nelle “formiche”, una gang di criminali capitanata da TestaCalda (Alessandro Borghi).
Mondocane affronta il mondo post-apocalittico lavorando benissimo su scenografie e costumi
Mondocane di Alessandro Celli è ambientato in una Taranto in uno stato quasi post-apocalittico, ovvero dopo che la popolazione è stata costretta ad una evacuazione di massa, la quale ha provocato un grande scisma che ha portato i ricchi a vivere a Taranto Nuova e i poveri, i criminali e tutto il mondo “underground” a vivere invece all’interno di ex ospedali, barche malconce ed edifici abbandonati.
Ovviamente far entrare lo spettatore in un mondo sconosciuto comporta un lavoro di world building che passa da tanti fattori: costumi, dialoghi fra personaggi, motivazioni per cui le azioni vengono compiute e magari flashback che raccontano, anche visivamente, quale fosse la situazione prima di un determinato evento che ha cambiato definitivamente la storia.
Mondocane affronta molto bene il racconto del post-apocalittico da un punto di vista di scenografie e costumi. Le inquadrature di Celli si muovono e rapportano benissimo con i lampadari che cadono, i fili che pendono e le rovine di una città a pezzi; un livello di qualità di immagini che verosimilmente ha comportato un grande lavoro in pre-produzione, sia in fase di sceneggiatura che di storyboard. La gang delle formiche però diventa preso credibile, anche e sopratutto grazie alle armi che usa (pistole e fucili comunque diversi da quelli “reali” e inventati ad hoc) e al formichiere, il quartier generale che sembra essere un vecchio parcheggio di un supermercato, grigio e impersonale.
Nonstante l’ottimo comparto visivo, a livello di scrittura Mondocane è insufficiente
Se il complesso lavoro di costruzione di un universo narrativo funziona dal punto di vista degli oggetti, fatica da un punto di vista di scrittura dei personaggi. Tolti i tre principali (Testacalda, Pisciasotto e Mondocane), i deuteragonisti della storia di Alessandro Celli non sono assolutamente all’altezza: hanno motivazioni che non capiamo (e che soprattutto non ci fanno appassionare alla loro sorte), caratteri solo superficialmente definiti e una backstory che non viene mai realmente spiegata nel film. Da dove vengono gli “scagnozzi” di Testacalda? Quale è il loro ruolo? Che tipo di compiti hanno e quale potrà essere il loro ruolo nella storia?
Allo stesso modo, la storia parallela di Barbara Ronchi (che interpreta una poliziotta integerrima e crocerossina) e della bambina interpretata da Ludovica Nasti non è realmente credibile, poiché al di là di una “voglia di giustizia” non riusciamo veramente a comprendere i personaggi.
È proprio una sceneggiatura non abbastanza profonda il problema di Mondocane, un film che comunque parte da un soggetto interessante ma che non riesce mai a costruire dei personaggi a tutto tondo e che siano in grado di essere originali e distaccarsi dagli stereotipi. Non solo: certi passaggi narrativi all’interno del film trovano poca aderenza al contesto. Vediamo una sparatoria con una “gang di africani” che viene solo nominata una volta, ed è utilizzata nel film come generico villain con cui prendersela; o ancora, quando uno della gang delle formiche viene catturato dalla polizia, non vediamo perché questo succeda (di chi sia la colpa, se è merito di uno scatto della polizia, di una spia interna).
Alla fine del film si ha la sensazione di aver assistito a una serie di fatti e accadimenti tipici di storie di supereroi ma che non hanno lo spessore o la profondità necessaria a farci prendere le parti dei protagonisti.
Una cosa è certa: questo tipo di cinema (che non a caso vede spesso dietro le quinte Matteo Rovere, grande produttore e fondatore di Groenlandia) fa bene all’Italia. Storie di fantastico, post-apocalittico, cinema di genere puro che comunque non è mai una delusione totale e continua a migliorare da un punto di vista produttivo, registico e di progettualità.
Mondocane ha evidenti problemi di costruzione dei personaggi e di un immaginario originale, eppure a livello produttivo e visivo il film è ottimo. E questo tipo di cinema, nel nostro paese, anche se con piccoli inciampi, continua a fare buonissimi passi avanti.