Anni Sessanta: una donna contesa da due uomini e una Thailandia divisa tra dittatura militare e ribellione comunista. Sono i due piani su cui Jakrawal Nilthamrong sviluppa il suo ultimo lavoro, Anatomy of Time (Wela il titolo originale), presentato nella sezione Orizzonti nell’edizione numero 78 della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
ANATOMY OF TIME, TRA DIMENSIONE PRIVATA E PUBBLICA
Il film segue la vicenda sentimentale di Maem, una giovane donna corteggiata da un umile e mite conducente di risciò e da un intraprendente ufficiale dell’esercito, disposto a tutto pur di averla. Alla fine sarà proprio l’ufficiale a diventare suo marito, grazie a soprusi e abusi compiuti approfittando del suo ruolo e dell’uniforme. Negli ultimi anni di vita Maem sarà impegnata ad assistere il marito malato e immobilizzato in un letto d’ospedale. I flashback della donna descriveranno allo stesso tempo l’evoluzione della sua storia personale e quella della Thailandia oppressa da una dittatura che si era insediata in seguito a un golpe militare.
IL RUOLO DEL TEMPO NEL FILM DI JAKRAWAL BILTHAMRONG
L’anatomia del tempo che dà il titolo ad Anatomy of Time viene messa in relazione prima alle dinamiche sentimentali di una donna poi a quelle di una coppia, all’interno della quale il tempo aumenta le distanze con cui era già nato il rapporto, se non addirittura a sovvertire i destini anche quando sembravano scontati. Dal punto di vista registico il film è molto curato e la dilatazione dei tempi scenici non è una sorpresa per un lavoro che sin dai titoli di testa si presenta con il sottofondo sonoro del ticchettio delle lancette di un orologio, ripetute nel corso dei 118 minuti di proiezione insieme allo scorrere dell’acqua. Immagini il cui codice simbolico è facilmente decodificabile, così come quelle dell’infanzia di Maem e del rapporto con suo padre, un orologiaio che mette a punto la “meccanica” del tempo e le impartisce lezioni di filosofia.
In questa parte del lavoro del regista thailandese sono apprezzabili dal punto di vista estetico diverse scene in cui i primi piani si soffermano su particolari che danno il senso della lentezza che pervade il film e soprattutto del tempo “necessario” per ogni tipo di azione e relazione.
LA FOTOGRAFIA DEL REGISTA DI MANTA RAY NON SALVA LO SCRIPT DI ANATOMY OF TIME
La debolezza di Anatomy of Time è però la sceneggiatura firmata dallo stesso regista. Lo script presenta con tutta evidenza più di qualche vuoto narrativo che non viene mitigato neanche dalla messa in scena formalmente molto ben curata, grazie anche all’ottima fotografia di Phuttiphong Aroonpheng (regista del bellissimo Manta Ray, premiato a Venezia in Orizzonti nel 2018). L’impressione è che la storia si disperda in tanti, forse troppi, rivoli senza prendere mai una vera e propria direzione. A ciò si aggiunge una simbologia che vacilla tra il platealmente scontato e l’incomprensibilmente criptico. Così che anche il finale si presterà a tante interpretazioni che non aiuteranno ad uscire dalla sala con la sensazione di aver visto qualcosa di indimenticabile.