Tre Piani, il nuovo film di Nanni Moretti, è arrivato nelle sale dopo una deludente esperienza festivaliera a Cannes e senza (apparentemente) l’hype che normalmente verrebbe associato all’uscita di un film di un mostro sacro come Moretti.
NANNI MORETTI, L’AFFRONTO DI TITANE E QUEI TRE PIANI SENZA ALCUNA TENSIONE NARRATIVA
Ripartiamo proprio dalla Croisette, dove ha trionfato un’opera di grande carattere come Titane di Julia Ducornau (qui la nostra recensione di Titane), che pur con i dovuti distinguo si colloca orgogliosamente nell’alveo del cinema di genere. Il film di Nanni Moretti vive esattamente sulla riva opposta rispetto a Titane, e sembra rifuggire ogni elemento di genere pur insito nel materiale d’origine.
La bellezza del libro dell’israeliano Eskhol Nevo, da cui è ‘liberamente’ tratto il film omonimo Tre Piani, sta infatti anche nella sua capacità di raccontare la paura, la paranoia e il dolore come si fa nel cinema di genere: instillando sospetti in chi legge, disseminando informazioni in modo parziale al lettore mano a mano che procede la storia e portando chi fruisce l’opera a vivere le paranoie, le intenzioni e le contraddizioni dei suoi personaggi.
L’ultima opera di Nanni Moretti non ha alcuna intenzione di “abbassarsi” a questo livello, quello dell’opera di genere. Perciò la sceneggiatura riprende fedelmente i fatti raccontati da Nevo nel libro, senza però il piacere di analizzare fra le righe, di presentare le motivazioni dei personaggi. Ciò che resta è un’opera deludente e anonima, che si presenta molto più come una semplice messa in scena di fatti piuttosto che un’analisi sul perché succedono.
TRE PIANI ABITATI DA UN CAST CHE VA DA SCAMARCIO ALLA BUY
Tre Piani racconta la storia di tre famiglie di un condominio borghese romano. Al primo piano vivono Lucio (Riccardo Scamarcio), la moglie Sara (Elena Lietti) con la piccola figlia di sette anni, Francesca. La bimba spesso viene data in custodia a due anziani dirimpettai che le fanno da babysitter: Giovanna (Anna Bonaiuto) e Renato (Paolo Graziosi). Una sera la bimba si perde con Renato e Lucio e, nonostante Francesca dica il contrario, comincia a sospettare che sua figlia sia stata molestata dall’anziano.
Al secondo piano troviamo invece Monica (Alba Rohrwacher), una neo mamma spaventata e annoiata dalla sua solitudine, dato che il marito Giorgio (Adriano Giannini) è spesso via per lavoro.
Al terzo piano vive poi una coppia di giudici: Vittorio (Nanni Moretti) e Dora (Margherita Buy), insieme ad Andrea (Alessandro Sperduti), il figlio di vent’anni. Quest’ultimo, una sera, investe e uccide una donna, per poi chiedere ai suoi genitori di aiutarlo a ottenere una pena più morbida.
LOST IN TRANSLATION: DA TEL AVIV A ROMA LA STORIA PERDE SIGNIFICATO
Nel Tre Piani di Moretti, l’ambientazione si sposta da Tel Aviv a Roma, senza che però la capitale o il contesto italiano siano in alcun modo un fattore all’interno del racconto, laddove invece per Nevo le coordinate geografiche erano importanti e ben presenti. Nel romanzo dello scrittore israeliano, la società e la cultura del suo paese hanno infatti un peso notevole nel modo in cui i protagonisti agiscono e sopratutto pensano e riflettono su ciò che succede.
Moretti, invece, anziché ragionare in modo analogo, decide di ambientare la vicenda in un anonimo palazzo borghese che potrebbe trovarsi tanto a Roma quanto a Firenze, a Torino, a Parigi. Gli inquilini del palazzo diventano borghesi nel momento in cui vediamo le loro case, dove i dettagli dei mobili o dei loro studi denotano il loro stato sociale. Tuttavia, senza che esso in alcun modo abbia una parte attiva nel film.
Non c’è, insomma, dentro la versione cinematografica di Moretti, la voglia di raccontare un paese (o banalmente una città) e una porzione di società, al contrario di Nevo. E questo fattore non fa altro che impoverire il film, i personaggi e le motivazioni che stanno dietro alle loro azioni.
LA SECONDA PARTE DELLA CARRIERA DI NANNI MORETTI COMINCIA CON UN GRANDE FALLIMENTO
Quella tratta da Eshkol Nevo è la prima sceneggiatura “non originale” di Moretti , per la realizzazione della quale hanno collaborato Valia Santella e Federica Pontremoli. Una sorta di ‘esordio’, dal quale era lecito aspettarsi un’opera diversa da tutto ciò che c’è stato prima. In parte è così: via l’ironia, la componente autobiografica, il racconto per episodi o situazioni e il richiamo all’attualità. Tutti elementi del cinema di Moretti che hanno contribuito sensibilmente, seppur in diversa misura e combinazioni alterne, a decretarne il successo.
Ciò che resta è la telecamera fissa, una recitazione ‘inerte’ (il personaggio di Moretti fa involontariamente ridere nel film, purtroppo a più riprese) e una cura formale troppo superficiale per un’artista di questi livelli. Tre Piani non è diretto bene (le reazioni dei protagonisti, teoricamente rabbiose o dolorose, sono sempre solo accennate o goffamente interpretate), è scritto in modo grossolano poiché non è capace di caratterizzare al meglio i personaggi e sopratutto di raccontare qualcosa. Al film di Moretti manca terribilmente un centro, un nucleo, una direzione.
LE DUE COLPE DI MORETTI, CHE UCCIDONO OGNI POTENZIALE DI TRE PIANI
In conclusione, Tre Piani è un film anonimo e freddo, nel quale Moretti non sembra saper bene cosa raccontare oltre ai meri fatti presenti nel libro. Ci sono due ragioni per questo buco nell’acqua.
In primo luogo, il romanzo di Nevo è diviso in tre parti ben distinte, con cesure fra un episodio e l’altro e nessuna correlazione fra di essi, mentre Moretti invece decide di raccontare in continuità i tre episodi. Nel romanzo ci si muove fra flashback e racconti del presente, mentre nel film si opta per due ellissi narrative di cinque anni che mandano avanti la trama, senza dare la giusta attenzione al suo svolgimento.
Le scelta stilistica di Moretti, dunque, comporta una uniformità di stile fra i diversi episodi, come se avessero un unico narratore. Mentre nell’opera di Nevo, invece, ogni episodio viene raccontato tramite diversi espedienti dai protagonisti che lo hanno vissuto, arricchendo i fatti accaduti con riflessioni, giustificazioni del proprio operato e tentativi di scuse. Non solo: isolare gli episodi permette anche di affrontarli con stili molto diversi, con un lessico appropriato ad esprimere le intenzioni e le sensazioni dei protagonisti.
In Tre Piani di Moretti scompare tutto ciò che rende splendido il libro di Nevo, facendo di un grande romanzo un racconto banale, piatto e dozzinale che non va mai in profondità, non si interroga mai su ciò che racconta e sulle persone che compiono determinati gesti.