Madres Paralelas, presentato in apertura del Festival di Venezia 2021 e valso a Penelope Cruz la Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile, segna il ritorno dietro la macchina da presa del celebrato regista e sceneggiatore spagnolo Pedro Almodóvar. Distribuito nelle sale italiane il 28 ottobre 2021 da Warner Bros., il film prende spunto dal tema della maternità per riflettere sulla società intesa tanto sul piano privato quanto su quello storico.
DI COSA PARLA MADRES PARALELAS? LA TRAMA DEL FILM
Janis (Penélope Cruz) è travolta da una relazione con Arturo (Israel Elejalde), antropologo forense che l’aiuterà a dissotterrare da una fossa comune i resti del bisnonno, desaparecido dell’era franchista. Rimasta incinta dell’uomo, la donna conoscerà in ospedale un’altra futura mamma, l’adolescente Ana (Milena Smit), con la quale partorirà lo stesso giorno. Tra le due verrà rapidamente a crearsi un saldo legame, ma degli eventi del tutto inaspettati le travolgeranno dopo quell’incontro.
ANTROPOLOGIA E MATERNITÁ IN MADRES PARALELAS
Madres paralelas si sposta lungo l’asse della ricerca identitaria, intrecciando due linee narrative: la storia personale di Janis (filone principale) e la storia collettiva della riesumazione dei resti dei desaparecidos (filone secondario). Lo script di Almodóvar riesce a perseguire entrambi gli obiettivi, utilizzando l’espediente della ricerca genetica come ricerca genealogica.
ALMODÓVAR DIPINGE L’UNIVERSO DELLA MATERNITÀ, PARTENDO DA UN CAST A PREVALENZA FEMMINILE
Elemento essenziale di Madres paralelas sono i personaggi. Movimenti di identità a volte speculari, a volte oppositivi ma in ogni caso paralleli. I percorsi che segue Almodóvar sono storie tragiche, a cui viene sottratto sempre di più l’elemento del grottesco (stilema tipico del regista). Il binomio antropologia-maternità vede uno sbilanciamento della narrazione sul secondo termine, seguendo la storia di quella Janis così superbamente ritratta dalla Cruz.
Insieme a Janis, si intreccia la storia di Ana ma anche della madre Teresa (Aitana Sánchez-Gijón) – già vista in Io non ho paura e L’uomo senza sonno – e simbolo della madre assente, perché impegnata nella carriera attoriale. Questo universo variopinto della maternità rappresenta un tema caro ad Almodóvar: si pensi, infatti, a Tutto su mia madre. L’emergere del femminile è potente e si rende subito evidente nella scelta prevalente di attrici e una comparsata di pochi attori. Arturo è l’unico personaggio maschile con uno screen time più lungo.
LO STILE DI ALMODÓVAR CHE VA DRITTO AL PUNTO ED EVITA IL SUPERFLUO
Madres paralelas, porta l’attenzione dello spettatore direttamente al fulcro della narrazione. Per questo si spiegano gli scatti temporali e i cambi di sequenze che sintetizzano quasi un cambio scena. I passaggi superflui vengono narrativamente aggirati, mentre viene conferito un tono al conflitto che dilania Janis. Non poche volte, infatti, si assiste a dissolvenze in nero che mostrano l’affievolirsi della luce che chiude sempre sul viso della Cruz. Una scelta di fotografia che sottolinea fragilità, terrore, conflitto.
MADRES PARALELAS: TRA MEMORIA INDIVIDUALE E MEMORIA COLLETTIVA
Madres paralelas, è un’opera sulla “dannazione” della maternità: un ruolo sublime e fragile insieme, meraviglioso e terribile. Il film riesce a restituirlo, operando anche su quel livello di contrasto già citato che estromette la paternità. Madres paralelas, così, ricostruisce le costellazioni familiari e lo fa in un impianto narrativo semplice ed efficace. Almodóvar si getta a capofitto nell’intreccio tra passato e presente, vita e denuncia storica. La ricerca delle radici è l’espediente che ricuce e colma la separazione. Essa riporta a unità la Storia e le storie come, forse, tenta di mostrare l’emblematica sequenza finale.