Encanto, 60° lungometraggio animato Disney distribuito nei cinema il 24 novembre 2021 e in streaming su Disney+ dal 24 dicembre, è diretto da Byron Howard e Jared Bush e co-diretto da Charise Castro Smith (già sceneggiatrice per The Haunting of Hill House). Encanto, frutto di un lavoro stratificato e di alto livello tecnico, rilancia il connubio fra animazione e musical momentaneamente abbandonato dal precedente Raya e l’Ultimo Drago. Le voci originali dei personaggi sono di Stephanie Beatriz, María Cecilia Botero, Olga Merediz, Wilmer Valderrama, mentre nella versione italiana troviamo Margherita de Risi, Diana del Bufalo, Luca Zingaretti e Alvaro Soler.
Encanto è preceduto da Far from the Tree (Lontano dall’albero), un cortometraggio animato che ritorna sulla tecnica di disegno bidimensionale. Un piccolo lavoro nostalgico e che guarda al complesso rapporto tra genitori e figli, partendo dalla storia di due procioni.
DOPO ZOOTROPOLIS TORNA LA COPPIA HOWARD-BUSH
Byron Howard aveva già portato in casa Disney un Oscar nel 2017 con Zootropolis (che contava anche Bush fra gli sceneggiatori e nella codirezione). La coppia Howard-Bush, oggi, permette di assaporare con Encanto un altro buon prodotto dopo Raya e l’ultimo drago (2021), ma che da quest’ultimo si discosta tornando su una formula cinematografica nota. Di fatto Raya, con Bush come produttore esecutivo, aveva risollevato la curva della crisi disneyana (ve ne abbiamo parlato qui).
DI COSA PARLA ENCANTO? LA TRAMA DEL FILM
Tra le montagne della Colombia, in un piccolo paese circondato dalla natura (Encanto appunto), vive la famiglia Madrigal. Ogni suo membro ha un potere/talento speciale che riceve quando compie 5 anni, tranne Mirabel. Quando questa scopre che il paese è in pericolo, toccherà a lei metterlo in salvo insieme alla sua casa e alla sua famiglia.
COME NASCE ENCANTO? FAMIGLIA, DIVERSITÀ E INTERCULTURA
Encanto non solo riunisce Howard e Bush, ma insieme a loro anche il produttore Clark Spencer. L’idea di base che motiva il progetto è di raccontare i temi della famiglia e della diversità. Per combinare questi aspetti, si punta a un’ambientazione precisa: la Colombia. Non è una coincidenza quella di scegliere la terra natia di Gabriel Garcia Marquez che ha fatto dell’ibridazione tra magia e realismo il tema portante delle sue opere – che si avverte tutto in Encanto. L’attenzione, dunque, ricade su una terra che ispira tradizione, raccoglimento e sospensione.
ENCANTO:UN PROGETTO CHE PARTE DAL 2018 CON UN VIAGGIO IN COLOMBIA
Nel 2018 Howard, Bush e Lin-Manuel Miranda si recano in Colombia per assorbirne l’atmosfera; per questo la riproposta di un nucleo culturale non è, ovviamente, lasciato al caso. Gli autori esportano letteralmente questo modello antropologico con le sue credenze, la sua natura e i suoi ritmi musicali nel film. Inoltre, per rispettare e rispecchiare la complessità culturale è stata istituita la Colombian Cultural Trust. Com’era avvenuto per Oceania e per Raya e l’ultimo drago, si compone un team di esperti di cultura, di musica e addirittura di botanica perché nessun dettaglio sfugga all’architettura complessiva del nuovo progetto.
CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ CON I CLASSICI DISNEY
Lo sviluppo disneyano che procede dalla Golden Age e arriva a Raya ed Encanto si dissocia sempre più dal “C’era una volta” fiabesco. Siamo qui in uno spazio preciso che permette di osservare un’altra cultura, senza spostarsi in dimensioni eteree, astoriche e atemporali. Il valore sociale e politico dell’opera Disney è dato dal creare una fiaba in una realtà storica concreta– da cui quell’ibridazione fra magia e storia che necessariamente passa dal folklore e dalle credenze popolari.
I crismi della fiaba classica, seppure riplasmati, li ritroviamo nel film. Tuttavia, siamo immersi in contesti reali dove l’immaginario esplode aprendo lo spazio del verosimile (qui gioca un ruolo fondamentale la casa dei Madrigal). La nuova linea disneyana sta rendendo questa storicizzazione sempre più dettagliata, con un cura quasi maniacale nel riproporre le sfaccettature di una determinata cultura – e in Encanto questo lavoro si nota tutto.
ENCANTO: IL MIX DI COMPETENZE PER UN PRODOTTO LINEARE E PROFONDO
Di per sé non è semplice trasporre una cultura, intrappolarla in poco più di un’ora e mezza su uno schermo e per di più seguendo le tecniche di animazione; soprattutto non è semplice farlo oggi, quando un film può essere facilmente tacciato di creare stereotipi. Encanto, senza scadere in banalità e divertendo, conferma il valore di quell’insieme di competenze che esplodono in un prodotto finale semplice e allo stesso tempo profondo – anche se con i suoi problemi, ma ci torneremo dopo.
ENCANTO: UN FILM D’ANIMAZIONE A RITMO DI MUSICA COLOMBIANA
Un’eco disneyana di vecchia data si avverte nella scelta di rendere Encanto un musical. I personaggi cantano, danzano e – insieme a loro – la cura del dettaglio dell’animazione digitale fa sì che anche il vestiario – oltre che gli elementi architettonici (tegole, pavimento e simili) – muova a tempi di musica. Ancora di più, questo rende il film di Howard e Bush un lavoro completo, oltre che articolato. Per questo, Encanto è primariamente un’esperienza ritmica.
COCO E CARLO VIVES FRA LE NOTE DI ENCANTO
In totale, Encanto presenta 8 canzoni originali scritte da Lin-Manuel Miranda – questi aveva collaborato con Bush anche in Oceania. Di certo, la storia professionale di Miranda non è di basso profilo: è lui il creatore di Hamilton – musical plurinominato e premiato agli Emmy, disponibile su Disney+ e che vi abbiamo consigliato qui.
A comporre la colonna sonora troviamo Germaine Franco che aveva già deliziato il pubblico con Un poco loco e Proud Corazón in Coco – si ricorda che nel film del 2017, premiato agli Oscar, l’ambientazione è quella messicana. In Encanto, la canzone Colombia, Mi Encanto è interpretata dal cantautore e attore Carlos Vives, pluri-vincitore del Grammy. Tutto ciò, purtroppo, è parzialmente penalizzato dal doppiaggio italiano delle canzoni, come sempre non all’altezza (ricordate il caso de Il Ritorno di Mary Poppins?
GLI OCCHI, SPECCHIO DELL’ANIMA: ANIMARE LE EMOZIONI IN ENCANTO
Come sempre, però, la “buona” opera disneyana non rinuncia a conferire uno sfondo tematico forte a un insieme di scelte scenografiche, coreografiche, stilistiche piacevoli all’occhio. Tra la ricerca di colori caratterizzanti, personaggi ben profilati e uno script lineare, Encanto entra nel vasto campo delle costellazioni familiari. Penetra nelle profondità delle relazioni, di quei ruoli che finiscono per diventare etichette. Questo elemento è reso ed esasperato dai superpoteri (talenti) della famiglia Madrigal.
Bisogna, però, stare attenti agli scivolamenti di generi e tematiche. Encanto, infatti, non è un film sui supereroi e non ci sono cattivoni da sconfiggere. Lo scopo è restituire personaggi tridimensionali dalla sfera emotiva polimorfa tanto da renderli profondamente normali. Alessandro Jacomini, direttore della fotografia e illuminazione, sostiene che molto del lavoro di grafica e animazione si focalizza sul rendimento degli occhi. Sono proprio questi che permettono di far trasparire la complessità emotiva senza doverla esplicitare.
PICCOLI E GRANDI SISTEMI DI DIVERSITÀ IN ENCANTO
Se Anna Karenina si apriva sentenziando “Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”, questo è un motto che trova spazio in Encanto. La diversità – oltre che nel macrocosmo della Colombia come crocevia culturale – è declinata nel microcosmo delle relazioni familiari. Se da un lato esiste la “pecora nera” (Bruno) di cui “non si deve parlare” (da cui il titolo di una delle canzoni e che, a quanto pare, ha poco a che fare con il “Silenzio, Bruno” del recente film Pixar Luca), il reale valore dell’imperfezione lo si ritrova nella protagonista, Mirabel.
“SIAMO TUTTI MIRABEL”: IL MOTTO DI ENCANTO
Più volte, registi, sceneggiatori, produttori gravitano intorno al motto che è il punto nevralgico del film: “Siamo tutti Mirabel”. Encanto è una fiaba paradossale che mette al centro chi, invece, non si sente “centrato” bensì lontano dalla propria cultura, dalla propria famiglia. Encanto diviene magicamente un invito ad auto-osservarsi, ad accettare la condizione di normalità senza cedere all’omologazione. La mise en scene è dunque un processo di individuazione che si attua indipendente dalle abilità (i poteri magici dei Madrigal). Nessuno è veramente speciale, eppure ognuno ha un ruolo preciso e può decidere di realizzare se stesso.
LA NUOVA LINEA DISNEY E I PROBLEMI DI ENCANTO
Se la chief creative officer Jennifer Lee aveva posto le basi per una nuova era, Encanto non sostiene bene l’impresa. C’è una nuova linea di azione che, a tratti, si esplica in un femminismo disneyano di seconda ondata (i Madrigal sono a tutti gli effetti un matriarcato). Eppure, l’operazione è chiara: rappresentare, rivalutare, riscrivere ma senza eccedere – e questo forse porta a ripiegare verso i porti sicuri dei classici disneyani.
ENCANTO HA QUALCHE PROBLEMA E FATICA A CARICARE EMOTIVAMENTE LO SPETTATORE
La ricetta di base, infatti, non si discosta dal grande obiettivo Disney: muovere lo spettatore a un’empatia profonda con i personaggi. Il problema è che Encanto non favorisce il tipico coinvolgimento, talvolta esplicitando troppo i contenuti e producendo una banalizzazione nello script. La presa emotiva, di fatto, è meno forte di altri lavori meno compositi di Encanto.
L’ultima fatica di Howard e Bush è tecnicamente complessa, musicalmente godibile, visivamente d’impatto ma fa marcia indietro rispetto a Raya e l’ultimo drago, rifugiandosi in una struttura classica. Probabilmente sarà questa eccedenza del focus attentivo dei filmmaker su aspetti visivi, grafici, musicali che lascia indietro la sceneggiatura.
CON ENCANTO DISNEY PROCEDE CON LA CREAZIONE DI ARCHETIPI
Nonostante tutto, Encanto non lascia indietro nessuno tra gli spettatori. Se Mirabel non è la figura che più vi aggrada, di certo troverete qualcuno in cui, nel suo piccolo arco narrativo, riuscirete a riconoscervi. Quando Disney produce anteponendo l’idea alla commercializzazione, lo fa con uno scopo: creare nuovi archetipi per l’immaginario collettivo. E la famiglia Madrigal è uno di questi: una famiglia per tutte le famiglie; un particolare e, insieme, un universale.