È Stata la Mano di Dio, nuovo film autobiografico di Paolo Sorrentino nonché uno dei più promettenti candidati per la stagione dei premi 2022, è in streaming su Netflix dal 15 dicembre 2021 dopo una fortunata uscita lampo in sala, che ha fatto registrare incassi al cinema per una stima record di 7 milioni di euro – secondo Ansa, dato che per la policy del colosso di Los Gatos non esistono dati ufficiali Cinetel.
A capeggiare il cast troviamo il fin qui quasi sconosciuto Filippo Scotti (Luna Nera), talento autentico di cui sentiremo molto parlare, affiancato dagli straordinari Toni Servillo (Ariaferma) e Teresa Saponangelo (Gramigna), nonché dall’ottimo esordiente Marlon Joubert (Romulus). A condividere lo schermo un cast assolutamente maiuscolo – senza eccezioni – che alterna interpreti di grande fama ad altri di nicchia; tutti comunque in stato di grazia. Degni di particolare menzione Luisa Ranieri (Veleno), Ciro Capano (Fortapàsc) e Biagio Manna (Bella e Perduta).
Il nuovo film di Sorrentino per Netflix: Leone d’Argento a Venezia e scelto per gli Oscar 2022
È Stata la Mano di Dio è stato presentato in concorso alla 78. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dove ha vinto il Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria, il Premio Marcello Mastroianni per il suo giovane protagonista Filippo Scotti e due premi Pasinetti del SNGCI, per il miglior film a Paolo Sorrentino e la migliore attrice a Teresa Saponangelo. È candidato inoltre ai Golden Globe e agli European Film Award ed è stato selezionato per rappresentare l’Italia agli Oscar 2022 nella categoria miglior film straniero.
È STATA LA MANO DI DIO, «IL FILM DI SORRENTINO SU MARADONA»
La passione di Paolo Sorrentino per il calcio e per Diego Armando Maradona è nota, tanto che il calciatore ‘appare’ (con il volto di Rolly Serrano) già in un altro film del regista: il meraviglioso e incompreso Youth – La Giovinezza. Quando fu annunciato alla stampa l’inizio delle riprese di È Stata la Mano di Dio, il pensiero corse così immediatamente al gol di mano che il grande campione argentino fece ai danni dell’Inghilterra ai Mondiali del 1986 (da allora noto come mano de Dios).
«Un film di Sorrentino su Maradona», si affrettarono a titolare incautamente molti, ma d’altronde i primissimi titoli sui nuovi progetti di Sorrentino sono sempre fuorvianti: La Grande Bellezza era per molti ‘un film sulla romanità con Sabrina Ferilli’. La mancanza di visione di certa stampa italiana è inversamente proporzionale a quella di Sorrentino, si sa.
Sorrentino a Napoli: È Stata la Mano di Dio è un’autobiografia (in parte) immaginaria
Ovviamente, il riferimento calcistico del titolo è solo un pretesto per inquadrare con un’immagine di grande forza evocativa tanto un punto di svolta del film (e nella vita dell’autore) quanto l’essenza di una città antropologicamente altra. È infatti proprio questo, È Stata la Mano di Dio: una reinvenzione autobiografica di quando Sorrentino perse i genitori a 16 anni e un ritratto partecipato e lontano dallo stereotipo dello spirito di Napoli.
LA TRAMA DI È STATA LA MANO DI DIO
Protagonista di È Stata la Mano di Dio è Fabietto Schisa (l’esordiente Filippo Scotti), un adolescente degli anni ’80 che adora il padre Saverio (Toni Servillo) e la madre Maria (Teresa Saponangelo), ed è legatissimo al fratello Marchino (Marlon Joubert) con cui condivide la passione per il Napoli Calcio. La sua vita, con tutti gli entusiasmi e le fragilità di un teenager, si divide tra i colorati pranzi di famiglia e la timorosa esplorazione – da lontano – del mondo che lo circonda e dei primi desideri.
Proprio quando tutto sembra andare per il meglio, l’improvvisa morte dei genitori costringe il ragazzo a fare i conti con la solitudine di chi ancora non ha un suo posto nel mondo. Fabio dovrà così imparare ad accettare i rischi spaventosi di quella tragica e improvvisa libertà.
PERCHÉ SIAMO A UNA SVOLTA NELLA CARRIERA DI SORRENTINO
È Stata la Mano di Dio, nella filmografia di Paolo Sorrentino, ha una collocazione molto particolare. Arriva dopo il geniale debutto seriale con The Young Pope e il ben più discontinuo The New Pope, ma soprattuto succede alle due parti del brillante ma problematico biopic su Silvio Berlusconi: Loro 1 e Loro 2 – misteriosamente mai arrivato in release domestica in Italia, tanto da far ipotizzare a qualcuno un accordo per non infierire sulle (allora) improbabili ambizioni quirinalizie del Cav.
Detta più chiaramente, nonostante Sorrentino rimanga uno dei più importanti registi contemporanei, il film pluripremiato al Lido arriva nel primo vero momento di ‘arresto’ della sua continua ascesa artistica. Un momento in cui, dopo il trionfo agli Oscar de La Grande Bellezza e la delicata e malinconica parentesi intimista di Youth, l’autore di Napoli sembrava esplorare con alterno successo nuove strade e nuovi linguaggi, finendo però per ripetersi e incappando più che in passato in un certo tepore di critica e pubblico.
La storia vera degli inizi con Capuano e i progetti su Napoli finora mai andati in porto
Eppure, più che un passo in una nuova direzione, per molti versi È Stata la Mano di Dio è un vero e proprio ritorno alle origini per il cineasta. E ovviamente non parliamo di un banale riferimento alla natura autobiografica del progetto, ma di una continuità con dei progetti mai andati in porto che hanno caratterizzato la primissima fase della sua carriera.
Sorrentino, che esordì nel cinema a ventuno anni come assistente alla regia per I Ladri di Futuro (1991) di Enzo Decaro e orbitò nell’ambiente partenopeo a lungo, prima del suo debutto al lungometraggio provò più volte a raccontare Napoli in un film, senza riuscirci (non per colpa sua).
Lo fece con la sceneggiatura Napoletani (ampliamento del mediometraggio Dragoncelli di Fuoco), che nonostante la vittoria al Premio Solinas nel 1997 non divenne mai una pellicola. Ma lo fece di nuovo nel 1998 con il copione scritto a quattro mani con Umberto Contarello La Voce dell’Amore, che trattava della musica neomelodica napoletana ma non fu mai girato. In quegli anni, quanto di più vicino a tale volontà di mettere la sua città natale su celluloide fu il lavoro di scrittura per il film a episodi Polvere di Napoli (1998) di Antonio Capuano. È proprio lì che, insieme a Capuano stesso, ritroviamo anche la Teresa Saponangelo che 23 anni dopo avrebbe dato il volto alla madre di ‘Fabietto’.
SEMPRE LO STESSO (MAGNIFICO) PERSONAGGIO: LA SPIEGAZIONE DELLE COSTANTI DEL CINEMA DI SORRENTINO
Dall’esordio alla regia di lungometraggio con L’Uomo in Più, però, Sorrentino intraprese un percorso artistico netto e in profonda discontinuità con quanto fatto prima. Spaziando tra ambientazioni e suggestioni diverse, iniziò a imperniare le proprie storie su personaggi tutti in qualche modo somiglianti: uomini soli (e spesso sputasentenze e dal carattere respingente), vittime delle proprie scelte, per i quali le emozioni sono pericolose e che partendo da una posizione di privilegio devono affrontare una parabola discendente e non necessariamente redentrice.
Un paradigma umano lungo un’intera filmografia
È il caso di un calciatore vittima di un grave infortunio e di un cantante finito al centro di uno scandalo (L’Uomo In Più), di un broker che fa delle scelte sbagliate (Le Conseguenze dell’Amore), di un usuraio che va in rovina (L’Amico di Famiglia), di uno statista che si sporca le mani (Il Divo), di una rockstar annoiata che vive all’ombra del passato (This Must Be The Place), di uno scrittore che non ha mai bissato il suo grande successo (La Grande Bellezza), di un direttore d’orchestra al fine della vita (Youth – La Giovinezza) e di un miliardario vittima della propria decadenza morale (Loro).
La contraddittorietà e il sovvertimento grottesco delle aspettative, altri elementi costanti della sua narrativa, diventano invece il fulcro primario per l’esperienza con la serialità televisiva.
IN È STATA LA MANO DI DIO FABIETTO È L’OPPOSTO DELL’ANTIEROE SORRENTINIANO
Nel caso di È Stata la Mano di Dio, però, vediamo qualcosa di completamente diverso. In un certo senso c’è sempre una caduta da una ‘posizione di privilegio’: il personaggio principale perde improvvisamente tutta la stabilità e la ricchezza emotiva che gli offriva la sua famiglia, certo. Ma Fabietto Schisa non è carismatico, non ha un punto di vista nitido sul mondo, non ha contraddizioni ma anzi è integro («non disunito») nel suo fragile candore.
Non è vittima delle proprie scelte ma anzi subisce suo malgrado il caso. Non ha mai sperimentato alcuna forma di potere o successo. Quello scioccante momento di rottura di un equilibrio rappresentato dalla morte dei genitori è, soprattutto, un amarissimo inizio. Anziché a una parabola discendente, prelude a un percorso ascendente; alla crescita, alla scoperta, alla realizzazione.
La sorprendente verità che Fabietto rivela sulla psiche di Paolo Sorrentino
Al contempo, però, quello stesso evento catalizzatore è come un interruttore che improvvisamente accende la solitudine nella vita del protagonista. Una solitudine dalla quale, per quanto ne sappiamo, un giorno potrebbe felicemente fuggire. Ma, ipoteticamente, anche una solitudine che potrebbe intrappolarlo in un percorso di trasformazione; una strada che un giorno potrebbe farne uno di quei personaggi che da sempre Sorrentino mette al centro delle proprie opere.
In tal senso È Stata la Mano di Dio diventa interessantissimo se decodificato attraverso la precedente filmografia. Non solo potrebbe essere un’ipotetica storia di origini per il suddetto paradigma umano che Sorrentino esplora da sempre, ma ci dice anche che se l’alter-ego del regista è l’opposto di tutti i suoi altri personaggi, la sua intera produzione filmica è sempre stata una fuga da sé, nonché un’esplorazione del proprio io attuata per contrasto mentre sondava i suoi opposti, avvicinandovisi con le usuali lunghe carrellate che qui al massimo accenna lateralmente ad accompagnare il montaggio dei dialoghi.
SORRENTINO CAMBIA STILE: COSA C’È DIETRO
Con È Stata la Mano di Dio per la prima volta il grande pubblico può guardare un lungometraggio di Sorrentino e arrivare a riconoscersi in personaggi normali, splendidamente ordinari, e non sentirsi respinto da protagonisti alteri, o elitari, o eccentrici. Questa è solo una delle novità che conferiscono freschezza a un film in cui Paolo Sorrentino, deliberatamente, vuole trovare nuove cose da dire attraverso la macchina da presa.
Per il suo film distribuito da Netflix, Sorrentino sembra volersi dare uno slancio e ripartire, in reazione a un periodo di ripetitività la cui stanchezza affiorava ormai sulla superficie della celluloide. Alla fotografia non c’è più il suo storico partner Luca Bigazzi, sostituito dalla talentosa cognata del regista Daria D’Antonio, ma sono cambiati anche scenografo, costumista e produttore. «Lavorare sempre con le stesse persone è una cosa meravigliosa perché si crea una grande famiglia, una grande intesa – ha dichiarato a Repubblica – però si entra anche in una dimensione di routine; stanchezza reciproca… nessuno sorprende più l’altro e volevo ritrovare un po’ di adrenalina. Ho cambiato anche (…) e soprattutto lo stile».
Un nuovo linguaggio di macchina per Paolo Sorrentino: «Spero di ripartire»
In È Stata la Mano di Dio Paolo Sorrentino, che alla scrittura non è affiancato da Contarello ma torna per la sesta volta a firmare da solo lo script di un suo film, vuole evidentemente liberarsi da un linguaggio cinematografico che, seppur straordinario, era diventato quasi una gabbia. Come spiegava nell’ottobre 2021 a Paola Zanuttini nella suddetta intervista: «mi sono stancato, mi sono reso conto che, con dei trucchetti, delle variazioni sul tema, riproducevo le stesse cose alla maniera di me stesso. Ero diventato abitudinario. (…) a un certo punto le immagini finiscono, le consumi tutte e cominci a ripeterle. Stavolta sono completamente diverse». «Speriamo che riparta anch’io».
E che il regista stia cercando di reinventarsi, di guardare al cinema con gli occhi e l’entusiasmo di un ragazzo che sperimenta (un po’ come volle dichiaratamente fare nel 2007 un Francis Ford Coppola ormai esausto con il coraggiosissimo e profondo Un’Altra Giovinezza), è evidente. Meno manierismo, una minore rigidità compositiva, una maggior naturalezza nella messinscena e addirittura criteri completamente diversi nelle scelte delle location (che sono i veri luoghi della sua infanzia).
È STATA LA MANO DI DIO HA DUE DIFETTI CHE SONO ANCHE I PREGI DEL FILM
È Stata la Mano di Dio è un meraviglioso susseguirsi di grandi idee registiche. Non un film perfetto però – come non è perfetta la vita – giacché risente di due elementi che definiscono la stessa essenza della storia ma al contempo inevitabilmente ne penalizzano l’omogeneità.
Le perfette metà di È Stata la Mano di Dio: due storie diverse perfettamente simmetriche
Uno di questi è l’assenza di un climax emotivo più tradizionale, che spiazza lo spettatore e propone una messinscena poco convenzionale del lutto, cui lo spettatore non è abituato. Il momento chiave della pellicola, quello della morte di Saverio e Maria, Sorrentino infatti sembra quasi volerlo raccontare con pudore, rifuggendo un vero crescendo emotivo. A ben vedere, però, il regista evita volutamente un climax ascendente perché quella scena è letteralmente il fulcro del film: lo divide esattamente a metà, spaccando il secondo, e segnando un repentino passaggio da commedia a tragedia.
Un’evoluzione che capovolge le convenzioni del coming of age
L’altro, è l’arco narrativo scomposto ed erratico che ne deriva. Prima dell’evento clou troviamo infatti tutta la grandissima e dolce ironia di cui l’autore intride la prima metà del film, con l’esilarante aggressione alla signora Gentile (un’iconica Dora Romano): la scena più divertente della pellicola, che fa da preciso contrappunto simmetrico a quella della corsa verso l’ospedale, la più drammatica. Da quel momento vaniamo investiti – sempre con grande sobrietà – dal dolore e dallo smarrimento di Fabietto.
Il binario dritto verso il futuro
Quel susseguirsi di incontri ed esperienze casuali diventa infatti un inusuale punto d’arrivo per quello che di fatto è un coming of age, ed è solo l’incontro tra il ragazzo e Antonio Capuano (un meraviglioso Ciro Capano) a riportare metaforicamente e letteralmente la storia su un binario dritto. In quel confronto tra il futuro e il presente, nel passaggio dalla chiusura all’apertura sottolineato dalla location della Piscina Mirabilis di Bacoli, tutto sembra ritrovare un proprio ordine, proprio come accade alle idee di Fabio Schisa.
NAPOLI E ‘O MUNACIELLO: IL SIGNIFICATO DEL FINALE DI È STATA LA MANO DI DIO
Se la vicenda del protagonista del film accende indirettamente una luce su tutti gli altri personaggi di Sorrentino e sul regista stesso, la frase eletta a titolo del film diventa la quintessenza del quel retroterra culturale partenopeo che ha profondamente condizionato l’immaginario dell’autore. «È stata la mano di Dio». Dietro quella frase sibillina con la quale un parente (Renato Carpentieri) si riferisce alla fortuita salvezza di Fabio, attribuendo al contempo un provvidenziale intervento salvifico a Maradona (o a Dio, ma c’è differenza?), troviamo tutto il realismo magico che caratterizza la specificità antropologica della capitale campana.
La simmetria speculare del simbolo
Il film, anche oltre al titolo e seppur senza indugiarvi, non si fa mancare qualche concessione all’allegorismo del quale è intrisa l’arte del regista. La bugia sustanziata che vede Patrizia (una raggiante e intensa Luisa Ranieri) incontrare San Gennaro (Enzo De Caro) in apertura del racconto, se giustapposta alla ‘visione’ che Fabietto ha del munaciello nella stazione di Formia, costituisce un dittico straordinario, che in poche immagini spiega metacinematograficamente la poetica dell’autore. Un’altra conferma della simmetria speculare del film, che si apre con un avvicinamento a Napoli e si chiude con un allontanamento, ma che in entrambi i casi ci fa incontrare il monachello quasi ai confini del mondo di Fabietto.
Cosa significa che «la realtà è scadente»: Sorrentino il visionario
Da una parte abbiamo una tradizione intessuta di folclore e superstizione, che col suo fantasioso pantheon grottesco è stata terreno fertile per l’immaginario Sorrentiniano (in egual misura influenzato dall’immenso Fellini, chiaramente). Dall’altra abbiamo lo sguardo di Fabio / Paolo, che penetra e supera la scadente realtà e sceglie di dar corpo a una sua mitologia, di rivendicare il primato quasi jungiano dell’immagine sulla noiosa fattualità.
Il DNA di Sorrentino non è solo nell’algido rigore che ne ha segnato il linguaggio compositivo altamente stilizzato delle precedenti opere, ma è anche lì, in quella Napoli così lontana dallo stereotipo che ritroviamo in È Stata la Mano di Dio. L’unica città al mondo che poteva conferire attributi sacri a un calciatore – come racconta benissimo anche il premio Oscar Asif Kapadia nel suo magnifico documentario del 2019 Maradona.
È STATA LA MANO DI DIO, LA STORIA VERA DI SORRENTINO: COSA È INVENTATO E COSA È SUCCESSO DAVVERO
Il cinema di finzione è, per definizione, un esercizio artistico anche quando si accosta alla realtà. E non a caso il protagonista della pellicola, che pur condivide moltissimi punti in comune con la biografia di Sorrentino, si chiama Fabietto e non Paolo. Ma cosa c’è di vero nella storia? Quali fatti sono successi davvero?
Dalla morte dei genitori di Sorrentino all’incontro con Capuano: quasi tutto vero
Il cuore del film, la morte per avvelenamento della madre e del padre di Fabietto, è una trasposizione quasi esatta della morte dei genitori di Paolo Sorrentino. I due infatti furono tragicamente vittime di un’asfissia da monossido di carbonio mentre erano a Roccaraso e, proprio come accade nel film, il Paolo Sorrentino sedicenne per puro caso quella volta non li accompagnò, per andare per la prima volta a seguire il Napoli di Maradona in trasferta.
Nel film vediamo l’incontro di Fabietto con Antonio Capuano – regista con cui Sorrentino firmerà a quattro mani la sceneggiatura di Polvere di Napoli. Quel confronto non è accaduto realmente nei termini nei quali lo vediamo nel film, ma è comunque «la combinazione di molte conversazioni che abbiamo avuto, non soltanto lavorando insieme ma anche nel corso della nostra lunga amicizia», dichiara il regista stesso. «Riassume con precisione il tipo di essere umano che è Capuano — un individuo che amo e odio al tempo stesso, perché ha questo suo modo di provocarmi a disvelare me stesso. (…) È bello e raro incontrare una persona come lui, ma implica anche un grosso sforzo per qualcuno come me».
La scoperta del fratellastro segreto, gli scherzi e la zia in pelliccia: vero
Ci sono poi tutti i personaggi ed eventi secondari che contribuiscono al ritratto d’insieme che è È Stata la Mano di Dio, nonché i dettagli che caratterizzano le variopinte coloriture. La Signora Gentile ad esempio è il fedele ritratto della consuocera di una zia del regista, che metteva la pelliccia in estate e si lasciava andare con gran facilità al turpiloquio. È integralmente vera anche la storia del fratellastro segreto scoperto dopo la morte dei genitori; Sorrentino in un secondo momento ebbe anche modo di conoscerlo.
Verissima pure la passione della mamma di Paolo Sorrentino per gli scherzi, così come c’è stato per davvero anche il finto invito di Zeffirelli alla vicina. È accaduto realmente anche l’avvistamento di Maradona in una Panda, con tutta Napoli che si immobilizzò miracolosamente a osservarlo, così come è vero che nel salotto del giovane autore c’erano sempre VHS di Sergio Leone – ma non C’Era Una Volta in America, che il cineasta napoletano vide solo a 20 anni e che è tutt’ora uno dei suoi cinque film preferiti; l’unico non di Fellini.
Sorrentino: la zia sexy e la prima volta con la vecchia baronessa: è una storia vera?
Sono due i personaggi sulla cui aderenza alla realtà si interroga però maggiormente il pubblico: quello della sensuale zia e quello della baronessa; non a caso entrambi protagonisti di due momenti pruriginosi di È Stata la Mano di Dio.
Il personaggio della zia sexy e dalla psiche irrequieta interpretato da Luisa Ranieri non è esistito davvero, o almeno non come persona unica. È difatti l’unione di una zia materna di Sorrentino – non particolarmente avvenente – che raccontava visioni di munacielli e fantasmi, e del fascino erotico esercitato su un sedicenne dalle amiche della sorella e della madre.
La baronessa portata sullo schermo dalla bravissima Betty Pedrazzi, invece, somiglia effettivamente a una vicina della famiglia ma è una rielaborazione di racconti e cose successe a conoscenze del regista. La prima volta di Paolo Sorrentino, come racconta egli stesso, fu infatti molto più tradizionale; ma l’idea di un’anziana che si concedeva come «atto di pura generosità» per aiutare Fabietto a fare un ‘salto nel futuro’ era un ottimo spunto da inserire nello script. Un’idea perfettamente alla Sorrentino, che si innesta meravigliosamente anche in un contesto più verosimile qual è questa storta di autobiografia – parzialmente – immaginaria.
LE DUE PROSPETTIVE DELLO SGUARDO DI PAOLO SORRENTINO
È Stata la Mano di Dio, a conti fatti, è proprio questo: un incontro tra vita vera e immaginazione. Lo è in una prospettiva che guarda al passato, nella quale i ricordi – quelli importantissimi e quelli solo apparentemente insignificanti – si affastellano e si rigenerano nel filtro creativo di un grande autore. Ma lo è anche in una prospettiva che guarda al futuro, poiché con questo film Paolo Sorrentino sembra per la prima volta far davvero i conti con se stesso, quasi consapevole che per lui è arrivato il momento di guardarsi allo specchio e ritrovare la forza per raccontare. Magari con occhi nuovi. È un Sorrentino che si ritrova nel mezzo del suo cammino artistico, come esattamente nel mezzo del film è l’evento che sente il bisogno di raccontarci.
La scena d’apertura di È Stata la Mano di Dio già ci dice tutto
Questa commistione di genio creativo e riflessione autoriferita, in fin dei conti, è già pienamente espressa dalla scena d’apertura di È Stata la Mano di Dio. Così diversa dal solito eppure così familiare. Un ritorno dal mare – come dopo un lungo viaggio – tra le braccia di una Napoli che pochi hanno visto così. Con la trama indistinta delle onde accompagnata dalla musica delle pale di un elicottero prima e di quel «tufff… tufff…» che ancora non sappiamo riconoscere.
Mentre l’occhio del regista vira a seguire con una carrellata aerea laterale l’automobile completamente fuori contesto di San Gennaro (con un movimento di macchina piuttosto somigliante rispetto a quello della corsa in ospedale, che ritroveremo più avanti), il più straordinario montaggio audio che un film di Sorrentino ricordi inizia a introdurci nei piani sfalsati e compenetranti della memoria. Merito di Emanuele Cecere, Silvia Moraes e Mirko Perri.
In poche inquadrature abbiamo tutto: un ritorno al ‘marchio di fabbrica’ della carrellata liberato però dal suo consueto rigore formale, la riproposizione di un’ironia destabilizzante, una presenza divina grottesca, ma anche un ritorno al grembo della madre in armonia e opposizione con un’evidente sete di novità.
Paolo Sorrentino, deus ex machina di se stesso
È Stata la Mano di Dio è proprio questo: un lavoro straordinario in cui il caos – compositivo, emotivo e a tratti anche narrativo – è sorprendentemente un punto d’arrivo. La mano di Dio, o meglio il deus ex machina, o meglio ancora il mechanè, in fin dei conti nel teatro ha sempre significato la necessità di un intervento divino per mettere ordine nel disordine incontrollabile delle esistenze umane. Vale per il Fato che col volto di D10s ha strappato Fabietto alla morte, instradandolo verso il suo domani; ma vale anche per un regista nell’Olimpo del cinema italiano, che scende dalla torre eburnea per aiutare se stesso a rinascere. Per queste ragioni È Stata la Mano di Dio è l’ennesimo film straordinario di uno straordinario regista.