Matrix 4. Per molti anni, più di un ventennio, nessuno avrebbe mai scommesso sulla realizzazione di Matrix Resurrections. La spiegazione dietro tale scetticismo era ovvia: misurarsi con un capolavoro è un esercizio estremamente rischioso e la storia – che a ben vedere poteva essere considerata perfettamente autoconclusiva già dopo il primo Matrix del 1999 – era stata definitivamente chiusa al termine della trilogia originale. Le stesse registe e sceneggiatrici Lana e Lilly Wachowski avevano più volte dichiarato pubblicamente di non voler tornare sul progetto.
La Warner Bros. però non aveva mai smesso di vedere in quel franchise una potenziale gallina dalle uova d’oro, e negli ultimi due decenni, ogni anno, tornava a contattare le autrici per proporre loro la realizzazione di una nuova iterazione di quell’universo narrativo. Si era discusso di un reboot diretto da Zak Penn, poi di un prequel su un giovane Morpheus con Michael B. Jordan e quindi di un sequel diretto. Ma quel ritorno al mondo di Matrix era fuori discussione. Almeno fino a quando un evento traumatico nella vita delle registe non ha indirettamente portato a Matrix Resurrections (o semplicemente Matrix 4).
MATRIX 4 «UN’IDEA REPELLENTE»? LA SPIEGAZIONE DEL RITORNO DI NEO È DIETRO UNA SERIE DI LUTTI PER LE SORELLE WACHOWSKI
Lilly, nel corso degli anni, non ha mai veramente cambiato idea verso un ulteriore sfruttamento della saga. La sua posizione è sempre sostanzialmente rimasta quella che esplicitava in un’intervista del 2015: «un nuovo film di Matrix è un’idea particolarmente repellente in un periodo in cui gli studios preferiscono puntare su seguiti, reboot e adattamenti anziché su materiale originale». E infatti, in Matrix 4 non c’è traccia della sua firma, né alla regia né alla sceneggiatura.
La resurrezione secondo gli sceneggiatori di Sense8
Per Lana invece, c’è stato un punto di svolta che ha vinto ogni resistenza. Quando nel 2019, nell’arco di pochi mesi, sono scomparsi entrambi i genitori e un suo carissimo amico, «riportare in vita Neo e Trinity è sembrato qualcosa di naturale». Un ‘ritorno a casa’, a due presenze che erano lì in attesa di confortarla, e che ha deciso di riabbracciare dopo un’unica (e si vede) notte insonne nella quale ha scritto la storia del nuovo film di Matrix.
Su quell’idea ha poi lavorato per trasformarla in uno script finito insieme a David Mitchell (autore del romanzo Cloud Atlas) e ad Aleksandar Hemon, lo stesso duo con il quale aveva firmato a sei mani Amor Vincit Omnia, episodio finale della serie Netflix Sense8.
SEGUONO SPOILER
MATRIX 4: LA TRAMA SPIEGATA IN MODO SEMPLICE E LINEARE
Thomas Anderson (Keanu Reeves) è il programmatore di un celeberrimo videogioco di vent’anni fa. Il gioco raccontava di un eletto che scopre di vivere in una simulazione del mondo reale dopo che le Macchine hanno preso il controllo del pianeta e coltivano gli umani come fonte di energia. Da allora Thomas ha la delirante impressione che anche la sua vita sia una simulazione, ma tiene a bada le allucinazioni e la depressione con le pillole blu prescritte dal suo Analista (Neil Patrick Harris).
Al contempo però Thomas non abbandona del tutto l’idea che i fatti del videogioco siano accaduti davvero, tanto che sta facendo un esperimento. Ha creato un modal, cioè un software nel quale un’intelligenza artificiale di sua creazione denominata Morpheus (Yahya Abdul-Mateen II) viene lasciata operare liberamente in un ‘mondo fittizio’ per vedere se riesce a capire da sola di essere al centro di una simulazione.
Di che parla Matrix Resurrections?
Quando Morpheus, apparentemente in carne e ossa, si presenterà nell’ufficio di Thomas Anderson per salvarlo, sarà chiaro che anche il mondo di Thomas è una simulazione. Neo accetterà così ancora una volta la pillola rossa e, aiutato dall’esterno da Bugs (Jessica Henwick), si risveglierà e andrà a cercare Trinity (Carrie-Anne Moss) per combattere insieme a lei questa nuova versione di Matrix.
Si scoprirà che, sessant’anni dopo il sacrificio originale di Neo per sconfiggere la prima Matrix, è stata proprio l’intelligenza artificiale nota come l’Analista a riportare in vita la coppia per creare una nuova versione della simulazione. Sono infatti loro il principale ‘carburante’ di questo nuovo mondo illusorio, ma nel frattempo le macchine si sono divise in fazioni e alcune intendono aiutare gli umani ‘risvegliati’ a costruire un mondo migliore.
(la versione dettagliata della trama, con tutti gli eventi in ordine cronologico, la trovi alla fine di questa pagina)
MATRIX RESURRECTIONS NON È SOLO «UN FILM IRONICO E META-CINEMATOGRAFICO SULLA PRATICA DI SEQUEL E REBOOT»
Alcune delle cose che sentirete dire più frequentemente su questo film è che Matrix 4 è “un film ironico”, “una consapevole critica alla pratica di sequel e reboot” e “una storia d’amore”. Nulla di sbagliato, sia chiaro, ma limitarsi a leggere secondo questi codici Matrix Resurrections è estremamente limitante, perché il film vuole essere molto più profondo. Purtroppo – proprio come accadde per i due sequel originari, scritti a quattro mani dalle Wachowski – anche questa volta lo script è così compiaciuto nel suo ermetismo da risultare appena comprensibile ai più.
Le affinità elettive al posto dell’eletto
Il copione infatti ha il merito di proporre una storia estremamente ambiziosa e complessa, ma pecca gravemente per l’incapacità di renderla facilmente intellegibile – o almeno intuibile – allo spettatore. Proprio come il primo Matrix, questo nuovo film è un racconto sulla predestinazione, che però non è declinata nella figura messianica dell’eletto, ma nell’idea delle affinità elettive.
La componente sentimentale quindi soppianta quella cristologica, ma il richiamo ineludibile dell’amore che passa attraverso il risveglio diventa una chiara metafora della scoperta dell’identità sessuale e sentimentale. Non a caso entrambe le sorelle Lana e Lilly sono passate attraverso un processo di transizione di questo tipo, giacché ai tempi di Matrix Revolutions (2003) ancora erano conosciute come i fratelli Larry e Andy Wachowski.
LA SPIEGAZIONE DELL’ESPEDIENTE NARRATIVO DELLA ‘MESSA IN ABISSO’
Allo stesso modo, come accadeva nel primo capitolo, anche in questo abbiamo quella che in narratologia si chiama mise en abîme (in Italiano messa in abisso): un gioco di specchi tra più piani narrativi che si compenetrano. Se nella trilogia originale ci spostavamo avanti e indietro con una certa difficoltà tra due mondi rispecchiati – quello della simulazione e quello reale – in Matrix 4 il labirinto della storia si sposta ai confini con l’ingestibile. Abbiamo infatti almeno quattro piani narrativi uno dentro l’altro: il modal, che è ‘dentro il videogioco’, che è dentro la simulazione, che è dentro il mondo reale. E, come vedremo più avanti, probabilmente anche quello che sembra il mondo reale è a sua volta un altro modal concepito dall’Analista.
Il vero senso dietro la meta-narrazione
Non è tutto così ‘semplice’, però. Infatti il piano narrativo della simulazione stavolta non solo somiglia al mondo reale, ma ha riferimenti metacinematografici al mondo dello spettatore. Si parla esplicitamente della trilogia originale come di un’opera di finzione, ci si interroga su cosa ne abbia decretato il successo e si parla delle pressioni della Warner Bros per un sequel.
Quest’invenzione narrativa di abbattimento della quarta parete permette ovviamente alla regista di fare una denuncia (un po’ ipocrita) su una cattiva pratica dell’industria dell’intrattenimento contemporanea – alla cui pigrizia, a differenza della sorella, certo non si sottrae. Ma, soprattutto, ha un altro obiettivo: serve per espandere in una nuova direzione il tema della simulazione, vero cuore del franchise di Matrix.
MATRIX RESURRECTIONS E LE RADICI DEL FRANCHISE DI MATRIX, TRA ANTI-CONSUMISMO E MILLENIUM BUG
Nel mondo di Matrix la simulazione è sempre stata simbolo di una stratificazione di significato ricca e polimorfa. Il messaggio della scoperta di sé è ovviamente il più lapalissiano e viene dalla plurimillenaria tradizione dello γνῶθι σαυτόν, ma la critica sociale del primo film delle Wachowski incarna anche le paure di fine millennio (quando si credeva che il Millenium Bug potesse riportarci all’età pre-tecnologica) e porta in grembo quella critica al consumismo che tanto risuonava nella sensibilità di quegli anni. La stessa che era stata anticipata nelle tematiche e nell’espediente filmico della realtà illusoria dal magistrale Carpenter di Essi Vivono nel 1988
Dal fiorire del movimento no global alla celeberrima scena del catalogo Ikea in Fight Club, quel mondo pre-internet 2.0 così ben incarnato nel primo Matrix veicolava messaggi politici di grande forza, che erano però radicati in una visione prettamente occidentale della realtà e che sarebbero invecchiati rapidamente anche per quello spartiacque storico che fu l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 – e per la rivoluzione social di un decennio più tardi.
La filosofia della simulazione: i filosofi e millenni di ipotesi prima di Matrix 4
Eppure, quel dubbio così apparentemente avveniristico avanzato dai Andy e Larry Wachowski nel film originale non era nulla di nuovo nella sostanza. Quello sull’affidabilità del reale è uno dei temi ricorrenti nella storia del pensiero umano. Dal mito platonico della caverna alla riduzione fenomenologica di Edmund Husserl, dal velo di Māyā induista al sogno della farfalla di Zhuāngzǐ, dal genio maligno di Cartesio ai cervelli in vasca di Hilary Putnam, la filosofia si è sempre misurata con l’ipotesi dalla quale prende le mosse la trama fantascientifica di Matrix.
PERCHÉ IL NUOVO FILM MATRIX RESURRECTIONS FATICA AD ESSERE CONTEMPORANEO
Nonostante riferimenti così antichi, il primo film di Matrix era fortemente figlio del suo tempo. Le ragioni del suo incredibile impatto sull’immaginario collettivo non sarebbero infatti comprensibili se avulse da quella specifica cornice storica, anche perché negli anni successivi la tecnologia avrebbe cambiato il mondo in modi allora inimmaginabili.
Nel 1999 internet come lo conosciamo non esisteva. Ci si connetteva a passo di lumaca dal computer di casa per trovare una quantità ridicolmente ridotta di contenuti, organizzati peraltro malissimo e quasi impossibili da trovare. Google era nato solo un anno prima ma ancora versava nel più totale anonimato. La privacy era un valore assoluto e ci si presentava sul web sempre dietro pseudonimi. La tecnologia aveva ancora un qualcosa di esotico. Il primo iPhone e YouTube sarebbero arrivati solo 7 anni più tardi.
Il presente di oggi, per certi versi, supera il futuro del Matrix del 1999
Oggi invece non solo abbiamo perso l’idea di privacy ma abbiamo addirittura abbracciato la post-verità (che però non riecheggia nella nuova sceneggiatura nonostante si presterebbe benissimo); la maggior parte delle nostre interazioni sono da remoto, ci siamo abituati alla virtualizzazione della risposta emotiva propria delle reactions, abbiamo un rapporto pavloviano con i like e misuriamo la visibilità con i social network.
Ma questo è ancora niente: l’ubiquitous computing e l’internet of things sono ormai realtà, i big data sono il nuovo oro e siamo sulla soglia dell’interazione post-umana del metaverso. Forse la nostra vita non è una simulazione, ma come profetizzava il situazionista Guy Debord in La Società dello Spettacolo (1967): «tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione».
SIAMO DAVVERO IN UNA ‘MATRIX’? LA SCIENZA ODIERNA E L’IPOTESI (CONCRETA) DELLA SIMULAZIONE
Ma in fondo, chi l’ha detto che la nostra vita non sia davvero una simulazione? E se la nostra stessa esistenza fosse una bugia? È proprio sulla probabile assurdità di questo postulato che si basa una reale teoria scientifica – presa sempre più sul serio – secondo la quale ci sono ragionevoli possibilità che viviamo in una sorta di Matrix.
Parliamo dell’Ipotesi della Simulazione (o Simulation Theory), resa celebre nella sua attuale forma da Nick Bostrom all’inizio degli anni 2000. Il filosofo svedese è partito dalla postulazione di un semplice quanto sconvolgente trilemma, che pone come alternativa tre affermazioni ai limiti dell’assurdo, una delle quali deve però essere ‘necessariamente‘ vera.
Perché «è molto probabile che viviamo in una simulazione»?
Ecco le tre alternative poste dallo studioso. O la frazione di civiltà di livello umano che raggiunge un livello post-umano (il che implica la capacità di avviare una simulazione ad alta fedeltà del propri antenati) è molto vicina allo zero; o la frazione di civiltà post-umane che sono interessate ad avviare una simulazione ad alta fedeltà della propria storia evolutiva, o di sua variazioni, è molto vicina a zero; o la frazione di tutte le persone che condivide la nostra esperienza vitale e che vive in una simulazione è molto vicina a uno. In poche parole: è molto probabile che viviamo in una simulazione.
Neil deGrasse Tyson, Elon Musk e la simulation theory
Chiaramente le teorie di Bostrom hanno acceso immediatamente il dibattito scientifico, trovando le valide motivazioni di alcuni detrattori ma anche sponde possibiliste autorevolissime in alcuni dei più illustri scienziati del nostro tempo.
Non sono mancati neanche sostenitori di grande popolarità che hanno portato alla ribalta il simulation argument: il popolare astrofisico e divulgatore Neil deGrasse Tyson (prima di convertisti per il doomsday argument di J. Richard Grott) ha detto che «le possibilità che viviamo in una simulazione sono 50 e 50», mentre il magnate del tech Elon Musk ha dichiarato che «c’è una possibilità su miliardi che viviamo nella realtà base», motivando poi l’affermazione proprio con gli studi di Bostrom.
PERCHÉ FARE DI MATRIX UN VIDEOGIOCO HA UN PROFONDO SIGNIFICATO PER LA TRAMA DI RESURRECTIONS
Questa lunga digressione tra filosofia e scienza è fondamentale in realtà sia per capire il significato di Matrix Resurrections che per comprenderne i limiti cinematografici. Ricollegandoci al suddetto trilemma di Bostrom, dobbiamo infatti porci una domanda: perché mai qualcuno dovrebbe voler avviare una simulazione della realtà?
I motivi sui quali riflette la scienza sono sostanzialmente due, e nessuno ha a che fare con «campi sterminati dove gli esseri umani non nascono, vengono coltivati»: se esistesse la simulazione sarebbe a fini di studio o a fini ricreativi. In poche parole si tratterebbe di uno strumento di analisi storica o di un videogioco.
Matrix 4, in modo poco evidente, cambia radicalmente il concept alla base della prima trilogia
È proprio la componente videoludica che assume tutt’altra importanza in Matrix 4, diventando parte integrante della storia anche in modo decisamente forzato (va bene la sospensione dell’incredulità, ma pretendere che gli spettatori accettino che un videogioco di oltre 20 anni fa potesse essere perfettamente fotorealistico è piuttosto autoindulgente).
Innanzitutto, per la prima volta in quell’universo narrativo, la simulazione non è più solo una sorta di stato allucinatorio per coltivare al meglio le ‘batterie umane’: può anzi diventare uno svago per il suo utilizzatore finale, un’esperienza consapevole per chi vi si immerge e una forma d’espressione per il suo creatore.
In secondo luogo, se gli eventi della prima ascesa di Neo (quelli della trilogia del ’99/’03) nonché il modal in cui viene fatto perfezionare il nuovo Morpheus sono di fatto videogiochi, lo spettatore potrebbe essere portato a pensare che anche la nuova Matrix, in qualche modo, possa essere un videogioco. Non solo: l’intera vicenda del film potrebbe essere pura finzione, comprese le parti che crediamo ambientate nel mondo reale (quello post-apocalittico dei ‘ribelli’). E non parliamo per assurdo: gli indizi che lo indicano sono in realtà molti.
UNA TEORIA SU MATRIX RESURRECTIONS: ANCHE NEO È INTRAPPOLATO IN UN MODAL E TUTTO IL FILM È AMBIENTATO NELLA SIMULAZIONE?
L’assunto di base per Matrix Resurrections come per ogni altro film della saga è che la realtà è inaffidabile. Figuriamoci pertanto se possiamo prendere per oro colato l’apparente spiegazione che viene data agli eventi del film, e che potrebbe essere ribaltata da episodi futuri. Per ora, l’unica cosa che possiamo fare è analizzare gli indizi, e stando a questi la trama potrebbe riservare più sorprese di quanto non sembri a una prima distratta visione.
L’incognita più grande riguarda ovviamente Neo. Sappiamo che il corpo del protagonista è stato resuscitato attraverso la biotecnologia, per poi essere immerso in una vasca e trasferito in Matrix come Thomas Anderson. Sappiamo anche che l’Analista, tramite cambiamenti di codice, ha applicato innumerevoli modifiche alla simulazione e che al contempo ha tenuto sotto controllo l’eroe ‘imprigionandolo’ in una gabbia di manipolazione mentale e continua incertezza.
Tante versioni di Matrix: che significato ha il fatto che Neo sia intrappolato in un loop continuo?
Sappiamo anche che Neo ha cambiato diversi volti, che ha provato diverse volte inutilmente a volare da un grattacielo (probabilmente ‘morendo’) e che ci sono voluti molti tentativi perché l’Analista trovasse un equilibrio tra Thomas/Neo e Tiffany/Trinity.
Sappiamo addirittura che un precedente incontro nel (presunto) mondo reale tra Neo e Trinity ha sortito lo stesso effetto che abbiamo visto dentro la simulazione: un’esplosione luminosa che scaturisce dalle loro mani e che, nonostante i poteri di quello che era una volta l’eletto, non ha molto senso si manifesti in quel modo fuori da Matrix. Nel ricordare quel momento, l’Analista parla inoltre deliberatamente di «simulazioni».
In poche parole, Thomas/Neo è intrappolato in un loop. Ma non si tratta di una ripetizione ciclica che genera e annulla se stessa, come accadeva alle prime sei versioni di Matrix (quelle dei primi tre film): è invece una reiterazione continua il cui soggetto è ogni volta più consapevole. E cos’è un modal, se non proprio questo? Anche quello che Neo crede essere il mondo fuori da Matrix è parte del modal?
PERCHÉ MORPHEUS È GIOVANE? COS’È UN MODAL?
Per rispondere a questa domanda, dobbiamo innanzitutto chiarire nel dettaglio cosa sia un modal, e il modo migliore per farlo è spiegare la sfuggente figura del nuovo Morpheus.
Un software modale – o modal – è un ‘ambiente circoscritto’ le cui regole e limiti di funzionamento iniziali sono decisi da un programmatore, che poi vi ‘cala’ un’intelligenza artificiale inconsapevole del proprio scopo. L’IA viene quindi messa in condizione di migliorarsi da sola, imparando, attraverso un’infinita serie di tentativi ed errori, i propri obiettivi e le strategie migliori per raggiungerli.
È il principio che viene normalmente associato a quello che spesso sentite definire come machine learning. Ed è proprio questo quello che succede in Matrix Resurrections a Morpheus.
Morpheus non è Morpheus. Il ruolo del machine learning in Matrix 4
Quindi, tanto per iniziare, il nuovo Morpheus non è Morpheus (o almeno non quello che conoscevamo; quello di Laurence Fishburne). È semplicemente una IA per le cui caratteristiche Thomas Anderson si è ispirato ai vecchi Morpheus e Agente Smith; due figure che l’hanno aiutato a diventare Neo. Il nuovo Morpheus, giorno dopo giorno, anno dopo anno, arriva a capire da solo di essere in un modale e di essere colui che dovrà aiutare Thomas a diventare Neo.
IL NUOVO NEO IN REALTÀ È UN SOFTWARE ‘SENZIENTE’ E NON LO SA?
Qui il discorso si fa interessante. Perché i parallelismi tra il nuovo Morpheus e il nuovo Neo (perché il Neo risorto è di fatto un nuovo Neo fabbricato ad hoc) sono molti. Il film dissemina gli indizi senza clamore, ma vediamo che sia il nuovo Morpheus che Neo condividono esattamente i medesimi luoghi e le medesime esperienze che vengono mostrati quando il film spiega la vita all’interno del modal.
Lo stesso diner, la stessa palestra e lo stesso specchio. Non è una smoking gun, ma tutto – quantomeno – suggerisce che anche Neo potrebbe non essere un umano, bensì ‘un senziente’. Un algoritmo dentro un programma, al quale non corrisponde una persona reale. Sarebbe un bel colpo di scena.
IL SIGNIFICATO DELL’ANALISTA SPIEGATO: PERCHÉ IL NUOVO VILLAIN NON È UN NUOVO ARCHITETTO
Qualunque sia la natura del nuovo Neo, sembra non esserci dubbio su chi sia il responsabile dei suoi patimenti: l’Analista magnificamente interpretato dal Neil Patrick Harris di How I Met Your Mother. Sembra. Perché in realtà, come chiarisce lo stesso personaggio, per mettere in atto la sua visione ha sempre dovuto aspettare le decisioni dei ‘piani alti’. L’Analista è quindi un demiurgo, ma non un motore immoto. Il potere decisionale che ha ridato vita a Neo per imprigionarlo di nuovo risiede dunque altrove, anche se per ora non abbiamo altre informazioni a riguardo.
Il paradosso di un sadico che gode dei conflitti pur disinnescandoli
L’Analista è quindi un personaggio la cui natura è ancora tutta da chiarire. Dotato di una forte personalità, che lo rende più affine alle ‘anomalie’ Neo e Smith che all’Architetto della trilogia originale, è infinitamente più potente di Neo (tanto da rivolgere contro di lui il bullet time) ma può essere messo in difficoltà dall’Agente Smith.
Vede i suoi piani fallire per degli errori di valutazione, non per una debolezza intrinseca. È chiaramente un manipolatore ma, rispetto al precedente creatore di Matrix, dichiara apertamente di divertirsi a disporre a suo piacimento della simulazione.
In poche parole, l’Analista è un gatto che gioca col topo, e a livello simbolico e narrativo è anche ovviamente una figura che mantiene lo status quo disinnescando i confitti. Simbolicamente, l’opposto del cambiamento e quindi dell’automiglioramento (qui il riferimento autobiografico della regista è evidente). Senza dubbio il migliore dei nuovi personaggi.
IL NUOVO AGENTE SMITH, CHI È E CHE OBIETTIVI HA?
Una delle scelte più discutibili di Matrix Resurrections, invece, è quella di cambiare radicalmente l’Agente Smith, rendendolo un personaggio completamente diverso da quello magneticamente interpretato nella trilogia originale da Hugo Weaving. Anche se, a differenza di ciò che accade con Morpheus, il ‘nuovo’ Smith è il vecchio Smith: lo stesso identico personaggio, ma con un aspetto diverso.
Tanto per iniziare, chiariamo senza tema di smentita il primo vero motivo dietro questo cambiamento molto poco convincente: le Wachowski avrebbero di nuovo voluto Weaving in scena per l’iconico personaggio, ma l’attore non era disponibile. A impersonare l’anti-Neo per eccellenza troviamo quindi il solitamente ottimo Jonathan Groff (Mindhunter, Hamilton), che fa del proprio meglio ma ha un centesimo del carisma dell’originale.
L’Agente Smith, da perfetta nemesi, è diventato un battitore libero di dubbia utilità e senza carisma
Il risultato è che Smith, ormai un’anomalia «tenuta al guinzaglio» dall’Analista, non ha più una vera ragione per contrastare l’eroe ma vuole semplicemente vendicarsi di chi l’ha relegato in quella posizione, rivendicando quel desiderio di affermazione dell’individualità che è così connaturato nel personaggio. Ha un arco narrativo sostanzialmente indipendente da quello del protagonista, il che rende anche del tutto pretestuosa e poco motivata l’insoddisfacente scazzottata che i due hanno nel film.
LA POCHEZZA REGISTICA DI LANA WACHOWSKI IN MATRIX RESURRECTIONS È EVIDENTE
È proprio partendo dalla sorprendente modestia delle scene d’azione che arriviamo a parlare di quanto sia profondamente deludente il lavoro dietro la macchina da presa di Lana Wachowski. Il Matrix del ’99 non era un film qualsiasi: è stato uno dei film più influenti della storia del cinema sia nel genere fantascienza sia nel genere action.
Uno spartiacque capace di segnare un prima e un dopo, la cui freschezza è irriproducibile ma il cui nuovo sequel avrebbe comunque richiesto una maggiore cura nella confezione. Matrix Resurrections non è un brutto film in senso assoluto (anche se per molti aspetti ci va vicinissimo), ma questo sequel, in questo modo, sicuramente non valeva la pena di farlo.
L’azione in Matrix e il bullet time, strumento creativo ineguagliato
Fermiamoci anche solo alla realizzazione delle scene di combattimento. Matrix era un capolavoro del cinema action, ma l’azione in Matrix 4 è molto al si sotto degli standard contemporanei. La grandezza delle scene d’azione della prima trilogia, nonostante gli evidenti limiti di VFX che creavano movimenti delle articolazioni ‘gommosi’, stava prima di tutto nella reinvenzione del bullet time a opera di John Gaeta, ovviamente.
Non si pensi però che quella di creare un anello di reflex che ‘bloccassero’ il tempo fosse un’invenzione (solo) tecnica: era prima di tutto un’invenzione creativa. Se quindi per Matrix Resurrections nessuno aveva la presunzione di aspettarsi particolari innovazioni tecnologiche, era invece lecito sperare di rimanere stupiti da un approccio innovativo nel linguaggio di macchina – cosa di cui non c’è traccia. La soluzione dell’Analista che cammina nel tempo ‘congelato’ (idea contraddittoria, anche perché comunque Neo riesce ad ascoltare in tempo reale) non è nulla che non abbiamo già visto in 4 Ristoranti di Alessandro Borghese. Un po’ pochino.
Matrix e i combattimenti poco spettacolari di Resurrections
Se poi vogliamo limitarci agli stunt e alle coreografie, il lavoro fatto nel 1999/2003 dal coordinatore degli stunt Glenn Boswell e dal coordinatore per gli stunt delle arti marziali Chad Stahelski (nel frattempo diventato regista della saga di John Wick) era a dir poco memorabile, ma in Matrix 4 anche l’uso del confronto fisico è molto ridotto (e questo non sarebbe necessariamente un male) e viene messo in scena in modo decisamente poco spettacolare.
La mancanza di Stahelski e Boswell si sente e il lavoro del tandem composto da Jonathan Eusebio, stunt coordinator esperto ma normalmente più a suo agio con gli scontri a fuoco, e dal poco esperto Joshua Grothe (Sense8) non regge lontanamente il confronto.
MATRIX 4 E UNA SCENEGGIATURA CON GLI STESSI PROBLEMI DEI FILM DEL 2003
Un altro problema decisamente serio di Matrix Resurrections è quello più strutturale di uno script verboso, labirintico e pieno di buchi di trama.
Anziché porsi in continuità con la perfetta sceneggiatura del primo film, che pur essendo estremamente complessa rimaneva immediatamente comprensibile, questo nuovo film eredita tutti i difetti dei copioni ai limiti dell’incomprensibile del 2003. Il problema ovviamente, ancora una volta, non è l’ambizione di portare sul tavolo concetti filosofici o un linguaggio settoriale, ma l’evidente difficoltà di restituirli in modo intuitivo nella materia cinematografica.
Cosa definisce il DNA di un film di Matrix?
In una divertente e intelligente scena di Matrix Resurrections vediamo un brainstorming negli uffici della Warner Bros, dove si ragiona su quale fosse la ricetta che ha decretato il successo di Matrix. Le ipotesi messe sul tavolo sono molte e apparentemente contraddittorie: la mindless action, il mind porn, il bullet time, le metafore…
In effetti l’universo di Matrix, nella sua geniale ricchezza, riesce ad essere tutto questo. Prima di tutto, però, il mondo di Matrix ci parla dell’ascesa di un eletto e del rapporto tra illusione e realtà, avendo come stella polare l’idea che la verità è libertà.
L’ELETTO E LA VERITÁ COME LIBERTÀ: DUE PRINCIPI ‘TRADITI’
Per questo nuovo episodio, Lana Wachowski si prende il rischio di cambiare il focus narrativo; la qual cosa rappresenta uno sforzo di rinnovamento più che apprezzabile ma anche un possibile limite alla storia. L’idea dell’eletto viene completamente abbandonata, vanificando la trilogia originale. La regista e sceneggiatrice, come dicevamo, vuole raccontare l’amore come predestinazione, e per farlo reinventa in modo piuttosto forzato il personaggio di Trinity – con una strizzata d’occhio al politicamente corretto.
Se la prospettiva di coppia diventa il centro dell’universo
Il rapporto tra verità e libertà è ancora presente, seppur in modo diverso. La verità non è più un bene assoluto, ma diventa un bene individuale. La storia abbandona infatti la grande scala e l’epica dello scontro tra umani e macchine, per diventare un percorso sentimentale di liberazione.
Un’idea interessante che però scricchiola quando ci rendiamo conto che l’operato di ogni personaggio in gioco sembra essere quasi esclusivamente in funzione di una questione di respiro relativamente modesto. Ciò non toglie che il primo atto incentrato sulla salute mentale di Thomas Anderson è geniale e dal sapore freschissimo, collocandosi tra i più alti momenti della saga.
L’elemento fantascientifico: un enorme potenziale (per ora) sprecato
Unitamente a tale ribaltamento della prospettiva, la Wachowski non manca comunque di proporre grandissimi spunti fantascientifici, che restano però del tutto involuti e appena accennati. La collaborazione coi senzienti, il ‘corpo fisico’ dei software e la discrepanza tra identità reale e DSI (digital self-image) sono tutti elementi straordinari ognuno dei quali avrebbe potuto reggere da solo un intero film, e che invece vengono usati come coloriture di poco conto.
SQUADRA CHE VINCE NON SI CAMBIA? LA WACHOWSKI DISSENTE
È normale – e anzi salutare – che, a un ventennio di distanza dall’originale, Matrix Resurrections rivendichi una propria identità. Le opere migliori somigliano ai propri autori e in questo caso l’adozione di nuove soluzioni narrative e nuovi filoni tematici rispecchia inevitabilmente il bagaglio di esperienze accumulato nel frattempo da Lana Wachowski.
È quindi anche comprensibile che, dopo così tanto tempo, la regista abbia voluto cimentarsi con collaboratori diversi da quelli del passato (un po’ come ha fatto il nostro Paolo Sorrentino in È Stata la Mano di Dio). Purtroppo però le nuove energie coinvolte nel progetto sembrano non avere lo stesso talento o una visione vagamente affine a quella di chi li ha preceduti.
Lana caccia tutti. Per Matrix 4 la Wachowski fa piazza pulita di chiunque avesse contribuito alla prima trilogia
La prima trilogia di Matrix aveva un carattere fortissimo. Anche estetico. Ieratica; stilosa; underground; grintosa; meditativa; con una composizione del frame spesso rigorosa; con un impressionante numero di inquadrature iconiche; legata a doppio filo con l’immaginario dei fumetti; con dei codici cromatici ben precisi. Un carattere necessariamente vincolato a quel contesto storico, ma che oggi sarebbe stato facilmente aggiornabile.
Matrix Resurrections, però, quel carattere lo ricorda appena e in compenso non ha una personalità vera con cui sostituirlo. E probabilmente perché dietro la macchina da presa non c’è quasi più nessuno di quelli che avevano lavorato alla prima trilogia.
La co-regista e co-sceneggiatrice Lilly Wachowski si è volutamente tenuta fuori, lo sappiamo. Ma qui sono cambiati direttore della fotografia, montatore, costumista, compositore, VFX artist, coordinatori degli stunt e così via. Lana Wachowski ha fatto piazza pulita, forse alla ricerca di energie nuove e nella speranza di non ripetersi, ma questo nuovo Matrix, nel suo apprezzabile essere diverso, non è altrettanto ben riuscito. Riflettere su quanto i suddetti collaboratori fossero stati decisivi nel confezionare un pezzo di storia del cinema – che evidentemente non era solo farina del sacco della regista – sarebbe stato utile.
MATRIX 4 SPIEGATO: COSA FUNZIONA E COSA NO
Matrix Resurrections, a ben vedere, era un film ‘condannato’ in partenza. Condannato a misurarsi con un predecessore che ha fatto la storia del cinema di genere (e non), condannato a rileggere un immaginario che ha segnato un’epoca. E molte cose – più di quante non fosse lecito sperare – funzionano.
Keanu Reeves e Carrie-Anne Moss, ad esempio, sono semplicemente perfetti. Neil Patrick Harris è magnificamente in parte e si lascia finalmente dietro l’ingombrante maschera di Barney Stinson (che invece riecheggiava involontariamente in L’Amore Bugiardo – Gone Girl di Fincher). I pur bravi Jessica Henwick, Jonathan Groff e Yahya Abdul-Mateen II, invece, risentono negativamente della scrittura piatta o confusa dei loro personaggi.
L’intollerabile abuso, quasi amatoriale, degli spezzoni dei vecchi film
Il problema, però, rimane la visione regista di Lana Wachowski. Anche al netto dei problemi sopra citati, è una follia girare un film nel quale si riciclano ogni tre secondi spezzoni dei vecchi film. C’è un limite anche alla meta-narrazione. I flashback potevano almeno in parte essere rigirati (ormai le tecnologie di de-aging unite al deep fake danno risultati eccellenti): dei punti di vista diversi di quelle vecchie scene non avrebbero dato la pigra sensazione di un amarcord piatto e derivativo. Ma no; la Wachowski inserisce quella gran copia di spezzoni con una mano grezza, ai limiti del dilettantesco.
IL GIUDIZIO FINALE: MATRIX 4 E LA SPIEGAZIONE DI UNA SPLENDIDA CAPORETTO
In conclusione Matrix Resurrections è un film coraggioso nel tentare di riscrivere l’identità del franchise, che però fallisce proprio in quella scommessa. Un lavoro che ha il pregio di non cercare il fan service ma il grande limite di citare continuamente e maldestramente la vecchia trilogia. Matrix 4 è un film ‘anticlimatico’, privo di carisma, visivamente piatto. La storia è confusa, il finale demenziale, l’antefatto troppo laborioso, gli spiegoni infestanti.
Il nuovo Thomas Anderson sull’orlo della crisi è interessantissimo, ma la risoluzione di tutta la premessa è forzata e i personaggi hanno motivazioni debolissime. L’insieme non ha l’epica del blockbuster né l’eleganza di un Black Mirror.
Troppa carne al fuoco quindi, troppi elementi inutili ad appesantire l’ordito narrativo e troppe informazioni importanti date quasi per scontate. Sorprendentemente le scene d’azione sono amaramente deludenti, col povero Neo che al massimo del suo splendore si produce in tristi spintoni d’aria dalle mani. Addirittura i costumi sono mediocri (Morpheus veste come un Timothée Chalamet che non ce l’ha fatta e il Merovingio pare uscito da Fantaghirò). E poi c’è il creature design, con il robot-manta con gli occhioni che sembra venire da un crossover con Dragon Trainer e il robot-stecco che avanza dagli scarti di Men in Black.
Detto questo, Matrix Resurrections avrebbe tutte le carte in regola per essere un disastro totale. Eppure, in qualche modo veramente misterioso, a tratti riesce anche a risultare affascinante. E non per schadenfreude.
LA TRAMA DI MATRIX 4 – RESURRECTIONS SPIEGATA NEL DETTAGLIO IN ORDINE CRONOLOGICO
Di seguito un’elencazione sommaria dei principali eventi del film, in ordine cronologico, per aiutarvi a districarvi nei labirinti dello script del nuovo film di Matrix.
1) Dopo Matrix 3: il sacrificio di Neo e la pace tra uomini e macchine
L’antefatto. Alla fine della vecchia trilogia Neo si sacrifica per distruggere l’Agente Smith e ne consegue la pace tra uomini e Macchine. Negli anni successivi Morpheus diventa il leader degli uomini liberi, ma le troppe disconnessioni di esseri umani da Matrix comportano una scarsità di risorse energetiche per le Macchine.
2) L’ascesa di una nuova minaccia: macchine contro macchine contro uomini
Scoppia una guerra tra le Macchine per il controllo dell’energia in esaurimento. Intanto l’Oracolo, programma che in passato aveva aiutato gli uomini, li avvisa che sta nascendo una nuova minaccia (l’Analista), ma Morpheus sottovaluta i suoi moniti. Zion cade, ma sempre più programmi (i Senzienti) si uniscono agli umani convinti che una convivenza pacifica sia possibile. Viene fondata la città IO, di nascosto dalle Macchine nemiche.
3) Neo e Trinity vengono resuscitati, l’Analista avvia la nuova Matrix
La Macchine nemiche mettono in atto il piano dell’Analista: dopo innumerevoli tentativi viene risuscitato Neo e poi (compreso come fosse la sua forza propulsiva) viene resuscitata anche Trinity. I due vengono collegati a una nuova versione di Matrix. Saranno necessari innumerevoli tentativi per trovare la ‘giusta distanza’ tra i due, in modo da evitare «risultati disastrosi» per Matrix.
Le Macchine nemiche attuano una purga per eliminare o rimodulare alcuni programmi pericolosi, ‘cancellando’ anche l’Oracolo.
4) La nuova Matrix: Thomas designer di videogame, Tiffany madre di famiglia
Nella nuova versione di Matrix, gli eventi dell’ultima ascesa di Neo contro le Macchine vengono spacciati per un celebre videogioco, il cui creatore è Thomas Anderson. Thomas, a vent’anni dal quel suo successo professionale, è tormentato dalla sensazione di vivere in una simulazione proprio come il suo alter ego videoludico e ancora non ha mai conosciuto la sua musa, una madre di famiglia con una passione per le motociclette, di nome Tiffany.
5) Thomas Anderson e le sedute dall’Analista
L’Analista gli somministra continuamente pillole blu (chiamate Ontolofloxin) per mantenerlo schiavo della sua fragilità. Thomas non lo sa ma ha un aspetto diverso (e piuttosto ridicolo), che è mutato più di una volta, mentre l’Analista continuava ad attuare cambiamenti alla simulazione per tenere Neo dentro. L’Agente Smith in qualche modo esiste ancora ma è stato ‘intrappolato’ nel ruolo di capo/socio di Thomas e reso ‘dormiente’.
6) Thomas Anderson crea un modal
Thomas, attanagliato dai dubbi sulla sua realtà, avvia come esperimento un modal, cioè un software di machine learning al centro del quale mette un’intelligenza artificiale ispirata a Morpheus e Smith (le due forze che lo trasformano in Neo nel videogioco). Nel modal vengono ripetuti in loop alcuni eventi del videogioco, leggermente modificati, per far sì che l’IA apprenda autonomamente dai propri ripetuti errori.
7) Il nuovo Morpheus incontra Bugs
Il ‘nuovo Morpheus’, che non ha niente a che fare con quello vecchio, dopo numerosi tentativi diventa consapevole della sua natura e del suo scopo. Viene aiutato da Bugs, un’umana ribelle che è alla ricerca di Neo dopo averlo visto nella simulazione (per un bug di Matrix) e che entra nel suo modal da una ‘porta aperta’. Pur essendo solo un algoritmo, Morpheus viene ‘estratto’ da Matrix attraverso una nuova tecnologia che dà corpo ai software e si schiera con gli umani.
8) Morpheus e Bugs estraggono Neo, Smith torna operativo
Morpheus prova a reclutare Thomas, ma nel momento in cui Neo prende coscienza di sé, anche Smith – da sempre anomalia a lui opposta e complementare – torna ‘in vita’ emergendo dall’identità del socio di Thomas e lo uccide. L’Analista ripristina appena in tempo la simulazione, ma Bugs, a un secondo tentativo, riesce a far accettare a Thomas la verità: lui è Neo. L’eroe viene estratto da Matrix e nel mondo reale ritrova Niobe a capo della nuova resistenza umana.
9) Neo si confronta con Smith; l’Analista spiega il suo piano
Dopo un giro di presentazioni e spiegazioni su cosa è successo dopo la sua morte, Neo scopre che Trinity è ancora viva e decide di provare a estrarla da Matrix. La prima volta che rientra nella simulazione per farlo, si imbatte però in Smith, che nel frattempo ha perso interesse a combattere Neo e vuole solo vendicarsi dell’Analista. Dopo aver momentaneamente sconfitto Smith, quando ha quasi raggiunto Tiffany, Neo viene però fermato dall’Analista, che gli spiega con dovizia di particolari tutto il proprio piano. Neo torna nel mondo reale per confrontarsi urgentemente con le inutili beghe interne della resistenza umana.
10) Sati sbuca fuori dal nulla per aiutare Neo e gli umani
Sati, software che in passato già aveva aiutato Neo e che fino ad ora aveva invece apparentemente scelto di collaborare con l’Analista, interviene per aiutare la causa dei ribelli e spiega a Neo come rientrare in Matrix per salvare Trinity. Sati spiega anche che l’Analista non ha ancora resettato Matrix perché, troppo sicuro di sé (e apparentemente un po’ pirla), è convinto di poter ricattare Neo e prevedere il suo comportamento.
11) Neo e Trinity riuniti, Smith sconfigge l’Analista: royal rumble al Simulatte
Neo parla finalmente con Tiffany, che capisce di essere in realtà Trinity. Mentre nel mondo reale Bugs e Sati preparano l’estrazione del suo corpo dalla vasca, nella simulazione parte una mega-scazzottata da bar e Smith si allea in modo del tutto insensato inaspettato con gli eroi, mettendo momentaneamente fuori gioco l’Analista, prima di trasformarsi in un inoffensivo barista.
12) Neo e Trinity prendono il controllo di Matrix
Neo e Trinity fuggono dagli agenti in ‘modalità sciame’ e volano via (o meglio, è solo Trinity a volare) per poi ritrovarsi nel mondo reale. Nel finale li rivediamo in Matrix. L’Analista non può più fermarli, ma i due scelgono di apportare solo minime modifiche alla simulazione. Tutta questa fatica per capire che, alla fine, si campa meglio in Matrix?
Matrix Resurrections è stato distribuito nelle sale italiane il 1 gennaio 2022 da Warner Bros., mentre in America è uscito anche in streaming su HBO Max il 22 dicembre 2021.
immagini ©Warner Bros.