Rosso (Rojo), film del 2018 scritto e diretto dall’habitué dei grandi festival Benjamín Naishtat (Berlino, Cannes, Locarno, Rotterdam, San Sebastián, Toronto), è disponibile in streaming su CG Digital o in DVD Fil Fouge Media / CG Entertainment.
In noir – premiato per Miglior Regista, Miglior Attore e Miglior Fotografia al suddetto festival iberico – racconta una storia dai toni etici fortemente distorti e che trova collocazione su uno sfondo storico reale. In Argentina, nel 1975, un anno prima del colpo di Stato che cambiò le sorti del paese, Guido (Darío Grandinetti) aspetta sua moglie (Andrea Frigerio) in un ristorante. In quella tacita attesa, uno sconosciuto (Diego Cremonesi) inizia a inveirgli contro, reclamando il diritto di sedersi. Dopo aver acconsentito alla folle richiesta, Guido lo umilia pubblicamente mettendo in moto una perversa spirale di azioni e reazioni che porterà alla morte del giovane impertinente, lasciato nel deserto ad agonizzare. Il protagonista affronterà il suo travaglio fra paura, rimorso e nella cornice delle degenerazioni storico-sociali.
ROSSO (ROJO) PARTE DALLA VALENZA ETICA DEL LINGUAGGIO PER ARRIVARE ALLA DENUNCIA SOCIALE
In Rosso (Rojo), se c’è un elemento che emerge – in una storia che guarda al fenomeno sociale dei desaparecidos – è la natura etico-performativa del linguaggio. Le parole aggressive dell’avvocato in carriera, forte di retorica e dell’eloquio, risultano offensive e rivelatrici. Queste avviano il processo narrativo che assume un ritmo e un tono rovinoso per il protagonista. Guido è trascinato in un’oscura e infida spirale di immoralità, corruzione e conflitto. Così, sulla scia di quel cinema sud-americano che dipinge personaggi isterici e psicotici, conditi da una buona dose di abominio morale, Rosso (Rojo) guarda a prodotti come Storie pazzesche di Szifrón (2014) – in cui tra l’altro compare anche lo stesso Grandinetti – privilegiandone l’inclinazione drammatica. Una condizione che, nel suo complesso, mira a osservare, con implicita denuncia, l’assurdità di un sistema corrotto.
IL FILM DI NAISHTAT CONTRO LE UTOPIE ETICHE
L’argentino Naishtat e il suo D.O.P. Pedro Sotero, favorendo le inquadrature fisse e l’immobilismo, compiono anche una scelta fotografica che risente del conflitto fra il controllo esterno e il tumulto interno generato dal rimorso per un atto che rimane impunito. Il ritorno continuo del pensiero all’evento traumatico, in Rosso (Rojo), fa sì che ogni tentativo di normalizzazione ed evasione assuma sempre il sapore di un’agonia. Il borghesismo e la vita camuffata sono qui messi alla berlina. Sotto quel velo di Maya che cela immoralità e corruzione, la figura dell’avvocato, allo stesso tempo, è marchio sociale del compromesso immorale fra l’individuo e un sistema che può essere manovrato e piegato.
ROSSO (ROJO): EPOPEA DI UN UOMO E DISMORFIE ETICO-SOCIALI
In Rosso (Rojo), lentamente e all’interno delle costellazioni parentali, delle relazioni di amicizia, la verità dell’atto immorale emerge con irruenza, distruggendo la patina superficiale di una dimenticanza impossibile. Nelle sequenze con una musicalità che sospende e rallenta il mondo esterno, seguendo l’inespresso contrasto interiore, il protagonista è obbligato alla condanna del conflitto privato. Negli occhi di Guido si legge una necessità di condanna che lo spazio pubblico deformato non può offrigli. Allo stesso tempo emerge l’idea della convivenza forzata con una crudeltà ancestrale, perché socialmente praticata. In questo mutuo soccorso antropologico sta il nesso di una falsa accettazione della crudeltà umana.
DISVELAMENTO MORALE E FILTRI ROSSI NEL FILM DI NAISHTAR
In Rosso (Rojo) anche la costruzione della scena dell’eclissi solare è un evento astronomico che rivela – scoprendo e coprendo allo stesso tempo – la funzione simbolica di un momento ancestrale. Nel disvelarsi e velarsi del peso della verità, la necessità è quella di denudarsi, di esporsi allo sguardo dell’altro. Uno sguardo cieco che, nella confusione di eventi storici e sociali, permette al colpevole di non essere perseguito. Così, in questo movimento fra l’essere e l’apparire, il filtro rosso degli occhiali usati per osservare l’eclissi diventa il sistema ottimale per ricoprire la realtà di un velo di quietismo solo apparente. In Rosso (Rojo), l’inquietudine che avvia la narrazione è la vita come ricerca, nel continuo confronto con i propri demoni. Questo avviene in quell’interiorità lacerata, dove non esistono filtri per nascondere la verità incombente, sostituita da un meccanismo puro, crudele e perversamente legittimato di rimozione e diniego.