The House, prodotto dalla casa londinese Nexus Studio e rilasciato in streaming su Netflix, è un horror animato in stop-motion co-diretto dai registi belgi Emma de Swaef e Marc James Roels. Tra i voice actor in lingua originale Helena Bonham Carter (Suffragette, 2015; Enola Holmes, 2020; Harry Potter, 2007-2011; The Crown, 2019-2020), Matthew Goode (Match Point, 2005; The King’s Man – Le origini, 2021), il cantante Jarvis Cocker e Paul Kaye (Game of Thrones, After Life).
DI COSA PARLA THE HOUSE? LA TRAMA DEL FILM
Diviso in tre episodi, il film racconta la storia del rapporto fra una misteriosa casa e i suoi inquilini passando attraverso tre momenti storici. Protagonisti delle inquietanti storie sono pupazzi, topi e gatti antropomorfi.
THE HOUSE: GENERI DIVERSI PER UN’OPERA COMPLETA
Il film di de Swaef e Roels lavora su un intreccio tematico complesso, avvalendosi di registri appartenenti a generi differenti: commedia, thriller, drammatico. Un film che non si impone limiti, ma che necessità di una versatilità stilistica per raccontare il rapporto tra storia, uomo e senso dei luoghi.
THE HOUSE USA BENE LO STOP-MOTION PER METTERE IN SCENA UN PLOT ENIGMATICO
L’uso dello stop-motion riporta il filone dell’animazione su un terreno ultimamente poco praticato. Abbandonando il disegno bidimensionale o la CGI, The House mostra la propria potente semplicità e forza malinconica. Di fatto, l’espediente narrativo – soprattutto nella prima storia che ripropone uno stile neo-gotico propriamente ottocentesco – è quello di un mistero che avvolge una casa/maniero.
L’enigma narrativo di The House ha quindi origini note. La follia, la paura, l’assurdo diventano i temi portanti della prima storia, trascinandosi anche in quelle successive. Eppure è sempre l’aspetto tecnico dello stop-motion che avvolge a nostra percezione, senza stancare la visione e creando un’atmosfera dalle tinte surreali.
THE HOUSE: UN MIX DI COMPETENZE CINEMATOGRAFICHE CHE INSCENA L’ASSURDO
Il valore di The House è dovuto all’intreccio equilibrato fra tecnica, soggetto, sceneggiatura e musiche. Una combinazione vincente che lo porta a configurarsi come un prodotto di nicchia. Complice è proprio l’animazione come possibilità di inscenare l’impossibile. Per questo The House riesce a toccare momenti assurdi dai toni burtoniani – tra i quali una sorta di danse macabre di scarafaggi (seconda storia).
LO STILE GOTICO E IL RAPPORTO TEMPO-NARRAZIONE CHE RICORDANO THE HAUNTING
La vera protagonista di The House è esplicata nel titolo stesso: la casa. La maledizione del vecchio maniero gotico è qui proposta attraverso una differenziazione fra epoche, misurando le modalità di risposta dei vari momenti storici a eventi soprannaturali e apparentemente insensati.
Un tema trito e ritrito, soprattutto se pensiamo al recente The Haunting, in cui i loop temporali mutano in intelligenti loop narrativi. Andando a ritroso e tracciando dei paralleli, The House riscrive a modo suo il tema dei luoghi maledetti dalla memoria – già messo in scena da Lowery con il suo splendido A Ghost Story (Storia di un fantasma) del 2017.
VIRTÚ E PIACERE, ANIMALITÀ E UMANITÀ IN THE HOUSE
Un gioco squallido quello che ci gioca The House nel suo criptico e stratificato insieme di significati. L’atmosfera della casa ci accompagna verso il lento abbandono di ogni raziocinio. I suoi abitanti vengono maledetti quando barattano la virtù con il piacere, per poi essere costretti alla totale privazione dell’identità (come avviene figurativamente nella prima storia).
The House è un’opera polivalente che usa l’estetizzazione del macabro per raccontare la corruttibilità umana. Una scelta di stile che riporta a facilmente a Poe e che mette nero su bianco il senso di una regressione dall’uomo all’animale. Un ciclo vitale e vizioso in cui il topo è scacciato dal gatto e il gatto dall’uomo, ipotizzando una circolarità narrativa che dalla fine procede verso l’inizio. Un lavoro continuo di creazione e distruzione, velata dall’assurdo e sospesa nel tempo. Tuttavia, questa è una condizione dalla quale probabilmente ci si può risollevare – come mostra un inaspettato e aperto finale.