Il Potere del Cane (The Power of the Dog), film Netflix di genere drammatico con ambientazione western, vede il ritorno dietro la macchina da presa di Jane Campion, regista e autrice già premio Oscar nel 1994 per la sceneggiatura di Lezioni di Piano. Tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Savage del 1967, il lungometraggio è stato premiato al Festival di Venezia 2021 con il Leone d’Argento per la miglior regia e ai Premi Oscar con la statuetta sempre per la direzione – a fronte di ben 12 nomination.
Il prestigiosissimo cast principale di Il Potere del Cane (The Power of the Dog), che si è guadagnato candidature all’Academy nella sua interezza, è composto da Benedict Cumberbatch (1917), Jesse Plemons (Sto Pensando di Finirla Qui), Kodi Smit-McPhee (The Road) e Kirsten Dunst (Il Diritto di Contare).
DI COSA PARLA IL POTERE DEL CANE? STORIA DI UN WESTERN ATIPICO
Montana, 1925. Phil (Benedict Cumberbatch) e George Burbank (Jesse Plemons) sono i proprietari di un ranch. Quando incontrano Rose (Kirsten Dunst) e suo fratello Peter (Kodi Smit-McPhee) la relazione fra i Burbank entra in crisi. Mentre George inizia la propria vita coniugale con Rose, Phil sviluppa un rapporto equivoco con Peter.
IL POTERE DEL CANE È UN FILM INTRINSECAMENTE AMBIGUO
Il Potere del Cane (The Power of the Dog) è un western ibrido. Non rispetta i canoni del genere ma diventa una sperimentazione partendo dalla combinazione tra thriller e drammatico. Non ci sono sparatorie e con-simili, ovviamente, quanto una storia essenziale seppure complessa. Jane Campion, infatti, dirige un film volutamente ambiguo che mira a rappresentare un mondo condizionato dalla repressione e che soffre di fronte alla paura della liberazione.
GRANDI INTERPRETAZIONI NEL FILM DI JANE CAMPION
Il Potere del Cane (The Power of the Dog) ha come punto di forza i quattro attori che costruiscono lo spazio scenico. Dinamiche relazionali compromesse e articolate sono al centro di un rapporto equivoco fra due coppie di fratelli. Così, vediamo il burbero e rude Phil in parte diffidente, in parte geloso dell’arrivo di Rose. Allo stesso tempo il giovane Peter, dai modi effeminati, si trova a dover subire le angherie di un mondo in cui non si riconosce, nonché le strane attenzioni di Phil.
IL ROZZO E IL FINE NEL FILM DI JANE CAMPION
La Campion, attraverso l’espediente scenografico delle distese desertiche americane in cui si convive con la morte e l’animalità, racconta un tema universale che oppone natura e cultura. Infatti, ne Il Potere del Cane (The Power of the Dog), George è raffinato mentre Phil è rozzo. In un modo che, a differenza di quanto non accadesse nel meraviglioso I Fratelli Sisters di Audiard, suggerisce anche un rapporto non solo con la propria parte femminile, ma con la propria identità sessuale. Il nuovo ambiente che costruisce George con la sua famiglia è fatto di ricercatezze e inviti a cena. Phil, al contrario, vive al di fuori, quasi allo stato brado. Tuttavia, la Campion vuole dire qualcosa sul personaggio di Cumberbatch senza imporsi, arrivando così a rappresentare una condizione sofferta. Di fatto, per lo spettatore è facile accorgersi di atteggiamenti contrastanti che agitano l’animo del cowboy.
IL POTERE DEL CANE: LA REGIA FEMMINILE CHE RIPLASMA IL GENERE
Il tocco di raffinatezza neIl Potere del Cane (The Power of the Dog) è il vero elemento che cerca una nuova prospettiva sul western. Qui sta l’importanza della regia femminile per un genere da sempre confinato e associato al maschile. La mescolanza fra femminilità e mascolinità è incarnata sempre dal protagonista Phil, nella sua contraddittorietà. La fuga nella vita rozza diventa un modo di gestire una sessualità confusa. Il Potere del Cane (The Power of the Dog) è certo un trionfo woke che, tuttavia, custodisce un sobrio modo di negoziare con la tradizione del genere western, proprio partendo dalla sensibilità di una regia femminile.
IL POTERE DEL CANE: UN’OPERA SENZA ECCESSI
Il potere del cane vince perché è un film essenziale, ponderato, semplice. Non è un manifesto pubblico di rivendicazione di genere ma un’opera che elabora con eleganza una verità storica. Sa farlo grazie al talento di Cumberbatch – fragile e rabbioso insieme – e alle espressioni ambigue di Smit-McPhee. Sa farlo con uno script non posticcio ma frutto di un’elaborazione pensata e senza degenerazioni forzate nel politically correct. La Campion sceglie bene anche la direzione della fotografia, permettendo di ri-osservare quei panorami imposti dalla tradizione western, trasformandoli in spazi aperti dai toni romantici.
JANE CAMPION VINCE CON UN FILM TANTO DURO QUANTO VERO
Il Potere del Cane (The Power of the Dog) racconta timore e tremore di un’epoca. Il senso di paure vissute e di esistenze condizionate, di vite inespresse. Racconta di disperazione e morte, di violenza tacita e violenza esplicita, di animalità e umanità.
Jane Campion cuce insieme tutto questo, presentando una storia senza sbavature, contenuta e dagli intenti chiari. Denuncia e descrive ma senza eccessi. Apre e chiude il suo film con uno stile che lascia sottilmente intendere senza esplicitare, proprio come inespressa è quella condizione di silenzio rappresentata da personaggi.