Elvis è il primo biopic di Baz Luhrmann, che dopo le sue personalissime trasposizioni di capolavori di maestri della letteratura, da Shakespeare a Fitzgerald, si cimenta con una storia vera, quella del cantante e musicista Elvis Presley. Protagonisti Tom Hanks e uno straordinario Austin Butler, rispettivamente interpreti dell’impresario “colonnello” Parker, e dello stesso Elvis. La narrazione in prima persona è affidata all’agente, che ripercorre dal suo punto di vista il rapporto con il rocker, dagli esordi al grande successo, fino al triste epilogo che tutti conosciamo. Il film è uscito al cinema in Italia il 22 giugno 2022, distribuito da Warner Bros.
Elvis: un biopic in cui il kitsch di Luhrmann incontra lo stile di Elvis e il blues dell’America delle contraddizioni
A distanza di ben nove anni da Il Grande Gatsby e dopo una piccola parentesi televisiva con la serie The Get Down, Baz Luhrmann ritorna con il suo stile e la sua vision scenica presentando, fuori concorso a Cannes 75, il biopic sul cantante di Memphis. Elvis è un film adrenalinico. Corre veloce, come le gambe e l’indole del protagonista, incapace di assaporare lo scorrere di una vita lenta e monotona, propenso all’avventura e alla scoperta, vicino alla comunità afroamericana, con cui è cresciuto libero da pregiudizi.
Il regista australiano divide il film in due atti che possono essere riassunti nell’ascesa e nella caduta di quello che, ancora oggi, è un idolo indiscusso della musica contemporanea, un artista che ha interiorizzato le tante sfaccettature della società americana, facendole proprie e presentandole al grande pubblico. Una persona prima che un personaggio, ed è proprio questo il messaggio che Luhrmann vuole lanciare, ripercorrendo le tappe della vita di Elvis Presley, non in prima ma in terza persona, facendo raccontare gli eventi all’impresario che il cantante di Memphis scelse, al suo esordio, come rappresentante e che non lasciò fino alla sua morte.
Il ruolo di cicerone è affidato a Tom Hanks, ma è chiaro il messaggio che Luhrmann e gli sceneggiatori Sam Bromell, Craig Pearce e Jeremy Doner comunicano, ovvero Elvis non è un biopic qualunque, è un’opera cavalleresca con una precisa iconografia. Ogni personaggio rappresenta una figura ben definita all’interno dello script e allo stesso modo lancia un messaggio al pubblico: Elvis ha un protagonista e un antagonista, un buono e un cattivo, una prigione dorata e un epilogo drammatico. Luhrmann compone tutti gli elementi del racconto in un modo che è lontanissimo dall’essere lineare e quindi legato allo stile che, comunemente, si utilizza per raccontare la vita di un personaggio.
Il regista inserisce la componente storica e culturale di un vetennio che ha segnato una cicatrice profonda negli USA. Mentre nelle esibizioni di Elvis scorrono jazz, gospel e blues, sugli schermi televisivi la cronaca parla degli omicidi di Martin Luther King, di John e Bob Kennedy e di Sharon Tate. Un flusso di immagini, suoni, colori, luci al neon e paillettes che rappresentano lo stile del regista e immergono lo spettatore in un marasma di emozioni contrastanti.
Austin Butler è la vera rivelazione del film, protagonista insieme alla musica di Elvis
L’eroe del ‘poema epico-cavalleresco’ di Luhrmann, pur soccombendo agli eventi, lascia una traccia indelebile del suo passaggio sulla terra: la sua musica, un’eredità che il regista sa bene come inserire e miscelare con gli autori contemporanei. Austin Butler interpreta il protagonista e il suo mood con grandissima convinzione e tra un’esibizione e l’altra il regista inserisce, come in un dj-set, missaggi di brani di Elvis con i Tame Impala e Jack White, brani reinterpretati da rapper, tra cui Vegas di Doja Cat e Tupelo Shuffle di Swae Lee & Diplo, Eminem, Maneskin e il gospel di Rosetta Tharpe (Yola), insieme ai ritmi jazz e blues di B.B. King (Kevin Harrison Jr) e Arthur Crudup (Gary Clark Jr).
Il regista australiano non è certo nuovo a questo tipo di approccio, che caratterizza la maggior parte dei suoi film, ma la rivelazione di Elvis è il protagonnista Austin Butler, conosciuto principalmente per il suo ruolo di Wil Ohmsford nella serie tv The Shannara Chronicles e Tex Watson in C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino. L’attore supera brillantemente una prova non facile interpretando un Elvis sincero, a caccia di fama e pubblico, ma veritiero nella sua musica, dove intesse, attraverso la prossemica, il canto e il ballo, le tanto complesse matasse di una società che ancora oggi fa i conti con gli stessi problemi di cinquant’anni fa.
Il punto debole di Elvis è il ruolo dell’antagonista
Baz Luhrmann sceglie un cast ben delineato, composto principalmente da attori australiani, che interpretano i tanti personaggi che ruotano intorno alla vita privata e professioale di Elvis Presley. Ai grandi ritorni di Richard Roxburgh e David Wenham, si affiancano Olivia DeJonge (The Visit), Dacre Montgomery (Billy di Stranger Things), Kodi Smit-McPhee (Il Potere del Cane) e Luke Bracey (Point Break, Hacksaw Ridge).
Purtroppo ciò che non funziona del film è il ruolo attribuito al colonnello Parker, sia nella sceneggiatura che nell’interpretazione. Raccontare Elvis dal punto di vista del villain, sottrae carisma al protagonista, che diventa una vittima degli eventi, a favore di un insopportabile imbonitore. L’elemento circense rappresenta un tocco caricaturale immotivato, che si aggiunge all’interpretazione di un Tom Hanks nascosto da un pesantissimo trucco scenico, che lo rende a tratti irriconoscibile. Su questo punto il regista di Moulin Rouge, calca troppo la mano, esasperando il lato buffo del personaggio, in un film che già straborda di eccessi. Nonostante questa caduta di stile e l’ostacolo legato alla durata del film (ben 159 minuti) Elvis è un grande kolossal, che coinvolge attivamente il pubblico, dove spicca la passione per la musica, che rappresenta un ponte tra culture e generazioni.