Drive My Car (Doraibu mai kā), pluripremiato dramma giapponese del 2021 diretto da Ryusuke Hamaguchi, è ora disponibile in DVD e Blu-ray CG Entertainment. Basato sull’omonimo romanzo del 2014 di Haruki Murakami, il film è stato presentato in concorso a Cannes 2021, dove si è aggiudicato tre premi, tra cui miglior sceneggiatura. Drive My Car ha inoltre vinto il premio Oscar al miglior film internazionale, su quattro nomination totali. Fra queste, quella come miglior film lo rende in assoluto il primo lungometraggio giapponese nominato per la categoria.
DI COSA PARLA DRIVE MY CAR? LA TRAMA DEL FILM
Yusuke (Hidetoshi Nishijima) è un attore e regista teatrale. Oto (Reika Kirishima), sua moglie, è una sceneggiatrice. Venendo a sapere dei tradimenti di quest’ultima, Yusuke trascorre le proprie giornate fuori casa, incapace di affrontarla. La morte improvvisa di Oto comporterà una chiusura sempre più problematica per il protagonista.
Due anni dopo, nel tentativo di uscire da questo limbo esistenziale, il protagonista decide di recarsi a Hiroshima per mettere in scena Zio Vanja di Checov (il cui senso di malinconica inerzia ritroviamo pienamente rispecchiato nella pellicola). Yusuke vuole alloggiare lontano dal teatro, perché ama ripassare i copioni mentre guida la sua Saab 900 rossa. Tuttavia, obbligato a non poter guidare, si ritroverà la giovane Masaki (Tôko Miura) a fargli da autista. Riservati e poco inclini al dialogo, i due impareranno a conoscersi lungo il tragitto tra vita privata e rappresentazione.
DRIVE MY CAR: UNA STORIA CHE TOCCA IL CUORE DELLO SPETTATORE
Hamaguchi aveva già concorso per la Palma d’Oro nel 2018 con Asako I & II. Nel 2021 vince anche l’Orso d’Argento al Festival di Berlino per il bellissimo Il Gioco del Destino e della Fantasia. Tuttavia è con Drive My Car che raggiunge l’apice del successo e la fama presso il grande pubblico, grazie a una storia profonda che tocca il cuore e la sensibilità degli spettatori.
UN ROMANZO DI 40 PAGINE DIVENTA UN FILM DI 3 ORE: L’ARTE DI HAMAGUCHI
È Murakami la grande ispirazione del regista. Autore prolifico di best-seller come Kafka sulla Spiaggia (2002) e 1Q84 (2009-2010), suggerisce un soggetto dalla storia semplice ma dalle tematiche complesse. Il romanzo breve di Murakami, infatti, diventa con Drive My Car un film di tre ore piene. Solo i titoli di testa arrivano dopo circa quaranta minuti dall’inizio del film. Ma Drive My Car è un dramma che chiede di rispettare i propri tempi. Hamaguchi ricompensa questa attesa, immergendo lo spettatore in un flusso narrativo calmo e profondo.
DRIVE MY CAR E QUELLA CULTURA NIPPONICA INCLINE AL NOSTALGICO
Il tono che oscilla fra melodramma, nostalgia e senso di colpa è un leit motiv non solo della cinematografia giapponese, quanto in generale di Hamaguchi, che nasce come documentarista e con una particolare inclinazione a questo stile. Temi come sofferenza, morte, incapacità di reagire o dialogare sono al centro di Drive My Car. Una narrazione di incontri, occasioni mancate in una ripetitività quieta e ossessiva che aspetta per esplodere in un dialogato incessante.
DRIVE MY CAR: POCHI EVENTI PER VALORIZZARE I PERSONAGGI
È però la relazione silenziosa il centro di Drive My Car. Una relazione che non si esplicita e che rimane chiusa nel dolore. Lo script, come dicevamo, non è complesso, ma assume un soggetto che focalizza poco l’attenzione sugli eventi, per lasciare spazio ai personaggi. Lo scopo è infatti quello di costruire e disegnare nel dettaglio e impercettibilmente la loro evoluzione interna.
IL FILM-TERAPIA DI HAMAGUCHI CHE USA IL DIALOGO PER CURARE
L’incontro fra Masaki, incaricata di guidare la Saab 900 rossa, e Yusuke è infatti un incontro terapeutico. Nella ripetizione del nesso vicinanza-distanza, apertura-chiusura, la circolarità dialogica fra i due personaggi si ripropone nella circolarità del viaggio intrapreso giornalmente. Drive My Car diventa così una storia che cura, a tratti verbosa e stancante ma profonda. È emblema di un cinema che si oppone al dinamismo mainstream e per questo obbliga al rispetto, al silenzio e all’attenzione.
SPAZIO RIDOTTO E APERTURA ALL’INFINITO PER DRIVE MY CAR
Quiete, sofferenza e raccoglimento dunque i punti forti del film. Non a caso, in Drive My Car lo stesso spazio scenico si riduce all’abitacolo della Saab 900. È un ciclo, una ripetizione, un rito che lo spettatore inizia paradossalmente a richiedere e che crea lo ‘spazio sicuro’ del dialogo terapeutico. In quell’ambiente angusto dell’auto si apre l’infinito della relazione, partendo dalla costruzione di un terreno di incontro con l’altro.
Hamaguchi regala al pubblico un’opera che è pura poesia. Un dramma esistenziale che commuove e ci trasporta sulla scia del rumore sordo di un’auto sempre in moto. Drive My Car senza dubbio è segno di un cinema autoriale raccolto e umile. Una nuova visione poetica che ama raccontare la complessità della vita nella forma più semplice ed efficace possibile.