America Latina, presentato in concorso al Festival di Venezia 2021 e disponibile in home video The Apartment / Vision / CG Entertainment, segna il ritorno sul grande schermo dei Fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, dopo il promettente esordio di La Terra dell’Abbastanza e la folgorante prova di Favolacce – premiato alla Berlinale con l’Orso d’Argento per la sceneggiatura. Ancora una volta i fratelli romani scelgono come protagonista uno strabiliante Elio Germano, stavolta calato in una storia – forse d’amore – che dalle lande di una desolata Latina si espande fino ad assumere caratteri quasi esistenziali.
AMERICA LATINA: FABIO E DAMIANO D’INNOCENZO TORNANO A DIRIGERE ELIO GERMANO DOPO FAVOLACCE
America Latina segue le vicende di Massimo (Elio Germano), un dentista di Latina sposato e con due figlie. La sua vita è senza crepe: un buon lavoro, una bella casa e una famiglia che gli vuole bene. Il passato che si è lasciato alle spalle non è dei più rosei, ma il futuro, per Massimo, sembra ormai indirizzato verso una vita tranquilla e felice.
La serenità di Massimo non è però destinata a durare a lungo. In un giorno qualunque, scendendo nello scantinato della casa di provincia in cui vive, Massimo si ritroverà faccia a faccia con una ragazzina legata e imbavagliata, gemente di paura e carica di una furia pronta a mettere in difficoltà la tanto agognata stabilità della sua vita.
LA SPIEGAZIONE DI AMERICA LATINA SECONDO I FRATELLI D’INNOCENZO: «UN THRILLER, COME TUTTE LE STORIE D’AMORE»
America Latina è stato presentato per voce dei registi stessi come: «una storia d’amore, e come tutte le storie d’amore quindi un thriller». Il risultato finale però, più che ad un thriller, si avvicina ad un noir psicologico. Un noir all’italiana, quasi, e in questo senso andrebbe precisato un nuovo noir all’italiana. I due giovani cineasti capitolini, classe 1988, hanno talento da vendere e una buona conoscenza della macchina cinema, che permette loro di riuscire a sperimentare coi generi, ibridandoli in un gioco di citazioni filmico/letterarie interessante e mai banale: Polanski, Argento, Kubrick, Sofia Coppola e persino Stevenson si mescolano in un vortice chiaro e definito volto a creare l’ambientazione perfetta per la storia del film.
IN AMERICA LATINA ELIO GERMANO INCARNA L’ESSENZA DI UNO SCRIPT IL CUI SIGNIFICATO È NELL’INCERTEZZA
Il punto di forza di America Latina, oltre all’ambientazione del film e alla sua cura tecnico-formale (la fotografia di Paolo Carnera è ancora una volta notevole), sta nella caratterizzazione del personaggio principale. La sceneggiatura, firmata a quattro mani dai registi, ci presenta sin dall’inizio Massimo come un uomo integro, di solidi valori, ma allo stesso tempo lascia intravvedere un passato difficile di dipendenze e di abusi – solo apparentemente risolti.
Il Massimo della finzione filmica è un uomo profondamente innamorato di sua moglie (Astrid Casali) e delle sue figlie (Carlotta Gamba e Federica Pala), ma che nei meandri della sua anima cela ancora i graffi e le ferite di una marcata alienazione sociale. Un personaggio, magnificamente interpretato, che porta in sé contraddizioni abbastanza interessanti da agganciare l’attenzione dello spettatore già dalle prime scene.
LA SPIEGAZIONE DI AMERICA LATINA TRASPARE NEL LINGUAGGIO DI MACCHINA CANGIANTE
Al contrario della coralità che aveva caratterizzato il precedente Favolacce, qui l’indagine del film è tutta su di lui; un uomo come tanti, attanagliato dal dubbio sia nei confronti di sé stesso sia in quelli della vita che conduce. È proprio il germe di quest’insicurezza che, al momento della scioccante scoperta della ragazzina nello scantinato, deflagrerà in un’insicurezza che porterà mettere in discussione ogni convinzione.
Col procedere della storia, sarà sempre più evidente la debolezza sulla quale Massimo ha costruito quell’immagine da maschio alfa. Il protagonista annaspa sempre più evidentemente e i costanti cambiamenti della sua caratterizzazione e il perpetuo stato di agitazione che egli vive sono molto ben tradotti dalle scelte di regia dei Fratelli D’Innocenzo, che al terzo film sono già riusciti a creare uno stile identificativo forte per il loro cinema – si pensi alle scene del rito della cena o alle allegorie legate al concetto di casa.
AMERICA LATINA, IL SIGNIFICATO FINALE STA NELLO SMARRIMENTO DELLE COORDINATE
Con l’approssimarsi della risoluzione della storia, il mondo di America Latina si farà sempre più privo di coordinate, catapultando lo spettatore in un’atmosfera che trasla con successo sensazioni tra Shining e Rosemary’s Baby nella realtà provinciale di Latina – operazione il cui esito era sulla carta tutt’altro che scontato.
Viste queste premesse, ci si rende conto che America Latina non è un film facilmente razionalizzabile. Al contrario, lo spettatore dovrà lasciarsi andare e farsi travolgere dal caleidoscopio narrativo per poter apprezzare il film fino in fondo; dovrà immedesimarsi in Massimo e, vestendone i panni, accettare l’inaffidabilità degli eventi e della loro rappresentazione. L’unico dubbio da cui lo spettatore potrà sentirsi libero è quello sul talento di Damiano e Fabio D’Innocenzo, che con il loro terzo film si impongono definitivamente tra gli autori più interessanti del nuovo cinema italiano, in patria e all’estero.