Brian e Charles, commedia che segna il debutto del regista Jim Archer, è stata distribuita nelle sale italiane da Lucky Red e Universal Pictures. Premiato con l’Audience Favourite Award al Sundance Film Festival, il film è l’espansione a lungometraggio dell’omonimo corto e vede co-protagonisti David Earl e Chris Hayward, che firmano anche la sceneggiatura.
DI COSA PARLA BRIAN E CHARLES? STORIA DI UN DEPRESSO CHE COSTRUISCE UN ROBOT
Brian (David Earl) vive isolato nel suo cottage di una piccola cittadina gallese. Ha una passione per le invenzioni, la cui realizzazione è spesso fallimentare. Almeno fino a quando costruisce un robot ricavandolo da una vecchia lavatrice e a cui darà il nome di Charles (Chris Hayward). Intelligenza Artificiale a pieno titolo, Charles inizierà a sperimentare la vita, la conoscenza e il senso dell’autonomia.
IN SINTESI: PERCHÉ VEDERE BRIAN E CHARLES
Brian e Charles è una piccola perla. Un prodotto semplice, efficace, pulito e commovente, che a tratti – e con le dovute differenze – riporta alla mente il bel Lars e Una Ragazza Tutta Sua (2007) di Craig Gillespie. Lontanissimo dalle ciclopiche produzioni commerciali che vanno per la maggiore, Brian e Charles ovviamente non nasce come prodotto mainstream e forse proprio per questo ha un’anima vibrante. Col suo stile sobrio e genuino – come lo sono i suoi personaggi e la sua ambientazione – lascia molto di più nello spettatore.
CIELI GRIGI E FRAGILITÀ NEL FILM DI JIM ARCHER
Un’ambientazione ai limiti della civilizzazione. La quiete di un paesino grigio del Galles. La storia di un uomo che vive di una manciata di relazioni superficiali. Brian e Charles è un pacchetto uniforme, che sfrutta l’unità di tempo e luogo lavorando sulla fragilità di un personaggio a cui è affidato l’intero impianto narrativo e che riesce a generare alti e bassi emotivi.
Brian e Charles è infatti il diario di una confessione. Parte come una sorta di mockumentary in cui Brian ci introduce nel suo piccolo cottage parlando a una telecamera, e racconta delle sue invenzioni. In quella sua genuina semplicità è impacciato, tanto da ispirare tenerezza e compassione.
BRIAN E CHARLES: IL SIGNIFICATO DI UNA STORIA DI EMARGINAZIONE
In Brian e Charles a dominare la scena è proprio David Earl, che recentemente abbiamo visto in After Life (2019-2022). Nella serie di Ricky Gervais interpreta un asociale accumulatore compulsivo, la cui estetica è identica a quella del protagonista di Brian e Charles. Vecchi e ingombranti maglioni, lunghi capelli unti e occhialoni che coprono il viso. Brian è palesemente depresso e solo. Vive una condizione da emarginato e bullizzato.
Questo, tuttavia, non lo scoraggia. È ottimista e crede nelle sue invenzioni. Non si arrende e prende con umorismo i suoi fallimenti. È proprio David Earl che esalta il tono e il valore del personaggio, rendendo Brian grossolano, cringe, comico ma anche potentemente drammatico. Questa complessa sfaccettatura psico-emotiva è retta benissimo dalla prova di Earl. L’attore comunica facilmente con lo spettatore, con quelle rotture di quarta parete che lo vedono ora attonito, ora triste, ora gioioso.
E ALLA FINE ARRIVA CHARLES
A spingere avanti la storia in Brian e Charles è l’arrivo del robot, interpretato da Chris Hayward. Le sembianze sono quelle di un ingombrante e quieto vecchietto di due metri, con papillon, camicia e maglioncino. Un pieno stile british che proietta su Charles ciò che probabilmente Brian vorrebbe essere.
In Brian e Charles, l’intelligenza artificiale – che Brian non sa essere tale, tanto da non saperne pronunciare il nome – è alter ego del protagonista. Lì si condensano sogni, volontà di evasione e riscatto. In fondo, quell’IA potrebbe benissimo essere frutto della una psicosi di un campagnolo depresso e solitario.
LA SPIEGAZIONE DI BRIAN E CHARLES: TRA RELAZIONI DI CURA E INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Senza voler entrate troppo nel merito, l’Intelligenza Artificiale è un tema che costituisce una tacita sotto-trama. Ad intrecciare questi filoni tematici, in Brian e Charles è proprio il valore dell’autonomia, qui estesa a paradigma critico della relazione di cura. Che sia l’IA, che sia un altro essere umano, il rapporto attaccamento-perdita, quello della responsabilità e della presunta autorità del genitore sul figlio rappresentano l’elemento di rottura della relazione di intimità filiale, ma anche una parte integrante del processo educativo. Così, succederà tra Brian e Charles, in quel rapporto padre-figlio, creatore-creatura che così bene rievoca il mito di Frankenstein.
ANDARE E RIMANERE: IL FINALE DELLA COMMOVENTE STORIA DI BRIAN E CHARLES
Al di là di quelli che possono essere riferimenti psicologici ed etici all’IA, Brian e Charles racconta una semplice storia di solitudine e riscatto. Di come il valore di qualcosa o qualcuno nasce dall’attribuzione, dagli incontri e dalle relazioni di autenticità. Brian e Charles è tacitamente molte cose. Tuttavia, ama raccontare non solo la necessità di lasciare andare, ma anche la forza di rimanere.