Il Signore delle Formiche è il nuovo film di Gianni Amelio, regista da sempre impegnato sui temi sociali e sull’attualità della cronaca italiana. Dopo la sua ultima fatica Hammamet (2020), che vede Pierfrancesco Favino nei panni di Bettino Craxi, Amelio ha presentato in concorso alla 79 Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia un’opera liberamente ispirata al caso Braibanti.
Ad interpretare l’intellettuale è un ottimo Luigi Lo Cascio, che concede un ritratto sobrio e coerente del docente di filosofia che nel 1968 fu condannato a 9 anni per il reato di plagio. A scorrere sullo schermo ci sono numerosi argomenti, dai germi della lotta per i diritti civili all’ignoranza dettata dall’oscurantismo religioso; il tutto legato dalla metafora delle formiche, insetti che il professor Braibanti (morto nel 2014) tanto amava e rispettava. Un film non esente da imperfezioni, soprattutto in fase di sceneggiatura, ma che concede un ritratto amaro di un Paese che ancora oggi, a distanza di oltre 50 anni, si ritrova diviso sui diritti civili.
Ne Il Signore delle Formiche Il caso Braibanti, tra racconto del reale e narrazione
Il Signore delle Formiche è ispirato ai fatti accaduti tra il 1959 e il 1968, quando il professore di filosofia Aldo Braibanti fu messo alla gogna e processato per il suo orientamento sessuale. Gianni Amelio confeziona un film che si pone a metà strada tra il racconto del reale e la finzione scenica, utilizzando molti espedienti narrativi per presentare il fatto processuale e allo stesso tempo la storia d’amore tra il protagonista e il suo giovane allievo Ettore (Leonardo Maltese).
Cambiano anche gli scenari che dalle campagne del piacentino, animate dal fervore artistico del professore ma anche dalla chiusura mentale della provincia, passano ad una Roma che si presenta come libertina e bigotta allo stesso tempo. Amelio mostra così le contraddizioni di un Paese che ancora oggi si divide su molti argomenti, persino sull’amore – parola spesso abusata, utilizzata a sproposito come termine su cui poter imbastire un discorso politico. Braibanti invece fa dell’amore, ideale ma anche fisico, e della libertà di esercitarlo il suo cavallo di battaglia, il motivo per cui vale la pena lottare e persino essere privati della propria libertà.
Luigi Lo Cascio ed Elio Germano, protagonisti-eroi di un dramma storico
Gianni Amelio sceglie Lo Cascio e Germano per interpretare Braibanti e il giornalista Ennio Scribani, un cronista de L’Unità che, quasi per caso, si appassiona al caso e va oltre la mera cronaca risvegliando le coscienze di studenti e operai, che solo dopo qualche anno, animeranno i movimenti del ’68.
I protagonisti, tra i migliori interpreti del panorama italiano, pur avendo modi diversi di esprimere il rigetto verso l’ingiustizia di una legge che non era mai stata applicata prima (pochi anni più tardi venne abrogata e dichiarata incostituzionale), rappresentano il lato più istituzionale de Il Signore delle Formiche. Lo Cascio interpreta un Braibanti che non strizza mai l’occhio al pubblico, ma rimane rigido e inflessibile nelle sue posizioni. Mai vicino ad un’idea di accondiscendenza e forte della sua innocenza, il Braibanti di Lo Cascio non è e non deve essere empatico e in questo sia l’interpretazione dell’attore, che la scrittura del personaggio rappresentano uno dei punti fondamentali del film.
Germano fa altrettanto, interpretando un giornalista sui generis, che somiglia ad un investigatore privato, ma che fa gli interessi di tutti, pubblicando le cronache processuali e definendo all’opinione di partito quali siano i valori per cui combattere. Come Braibanti lotta contro la supremazia del potere patriarcale, Ennio fa lo stesso, rompendo le regole di un partito altrettanto rigido e strutturato.
Il Signore delle Formiche è un buon film, ma lo script è troppo romanzato e confuso
Si comprende la necessità del regista di voler mostrare il volto severo, contraddittorio, borghese e ipocrita della società di quel periodo storico, che sentiva la necessità di un cambiamento, ma concentrare troppi elementi in un solo film, in questo caso non è un punto di forza, ma di debolezza.
Amelio dimostra tutte le sue qualità tecniche, mostrando una regia ineccepibile, seppur di stampo classico. Purtroppo è la sceneggiatura, scritta dallo stesso Amelio insieme a Edoardo Petti e Federico Fava, che mostra troppi orpelli narrativi. Mentre la parte del processo è scritta e diretta in modo magistrale, con un Lo Cascio che mostra tutto il suo talento, la storia d’amore è meno incisiva e troppo romanzata.
Sullo schermo passa di tutto, dai manicomi ad Emma Bonino, che appare in un fotogramma per sottolineare la battaglia che il Partito Radicale ha combattuto per le libertà individuali. C’è la Festa dell’Unità e i festini dei palazzi romani, l’intransigenza politica, i togati e il giovane avvocato calabrese stereotipato. Nonostante queste imperfezioni, il film ha il pregio di attirare l’attenzione su un caso di cronaca che sembra lontanissimo nel tempo ma che, in realtà, tratta tematiche di spiazzante attualità.