Guardando The Bear, serie TV di Hulu che per il mercato italiano è disponibile in streaming su Disney+, non si può fare a meno di pensare a come l’ecosistema mediatico mondiale sia pieno di programmi sulla cucina e soprattutto sugli chef: dalle varie declinazioni di Master Chef ai vari format con Gordon Ramsey, passando per il successo spaventoso dello show di Anthony Bourdain e senza dimenticare l’antesignano Iron Chef. Negli anni, dunque, abbiamo imparato a conoscere la cucina, intesa qui come luogo dove si produce qualcosa di tangibile.
I cooking show funzionano perché hanno tendenzialmente in comune due ingredienti fondamentale: i giudici e la tensione. I primi sono esperti dell’arte culinaria chiamati a sentenziare spietatamente e talvolta addirittura a umiliare i concorrenti; la seconda è fondamentale per il ritmo e ha una sua liturgia fatta di riti di passaggio (il pressure test, a esempio) e costanti iconografiche (il famigerato grembiule nero). Gli chef giocano a fare i maestri dispotici e severi, un po’ antagonisti e un po’ aiutanti secondo il tropo del poliziotto buono e del poliziotto cattivo, mentre i concorrenti sono gli eroi che devono superare le avversità e conquistare un premio.
THE BEAR, LA SERIE TV IN STREAMING SU DISNEY+ IN CUI IL MONDO DEGLI CHEF INCONTRA UNA CUCINA QUALSIASI
Una cosa ci è chiara, sulla cucina: c’è chi comanda e guida e chi esegue. È proprio da tale consolidata consapevolezza che si sviluppa quello splendido prodotto che è The Bear.
Il protagonista Carmen Berzatto – interpretato dall’ottimo Jeremy Allen White di Shameless – è uno chef di incredibile successo che vive a New York e lavora nella cucina di uno dei più importanti ristoranti al mondo. Dopo il suicidio del fratello, “Carmy” deve tornare nella sua città natale, Chicago, per gestire la paninoteca di famiglia, il The Beef: uno dei tanti ristoranti italo-americani a conduzione familiare della città. Carmy è uno Chef (con la C maiuscola) ed è un capo: due cose a cui i dipendenti del The Beef non sono per nulla abituati.
Su quella tensione – che racconta il nuovo che si impone a forza sul vecchio, il singolo che deve tenere le redini del gruppo – gira tutto The Bear. Ogni fotogramma, per tutte le nove puntate da trenta minuti della serie, racconta una corsa contro il tempo diversa: il ristorante che perde soldi quindi esser rimesso in piedi in fretta, le pietanze sui fornelli che rischiano di bruciare, i fornitori da pagare, i prestiti con gli strozzini da onorare.
LA SPIEGAZIONE DI THE BEAR: IL RUOLO DELLO CHEF E LA CUCINA DOCUMENTATI COME LUOGO DI LAVORO FRENETICO
Nella rappresentazione mediatica dei ristoranti, specialmente quella degli show sugli chef stellati, la cucina viene rappresentata come un santuario, un luogo di culto dove si producono miracoli con oggetti complessi. The Bear prende quel paradigma e lo abbatte, ambientando la maggior parte della serie all’interno di una minuscola cucina del centro di Chicago.
Ogni servizio del The Beef è uno ‘shitshow’: coltelli che non tagliano, materie prime sprecate, urla, pasticceri perditempo, pane troppo secco. Per prepararsi per il ruolo, Allen White ha girato diverse cucine per imparare dagli chef veri come funziona quel luogo di lavoro. Non solo: per interpretare Carmen White ha effettivamente imparato a cucinare. Tutti i particolari sulle mani del protagonista – ad esempio mentre taglia la verdura – inquadrano le mani di un uomo concentrato a fare rapidamente una mirepoix senza mozzarsi un dito.
Il risultato è che le scene di cucina di The Bear sembrano un documentario su una brigata poco funzionale. Perché in cucina, mentre si è presi dai passaggi delle preparazioni, non c’è tempo di guardarsi negli occhi, elaborare discorsi articolati. Da qui il lessico di questa serie che funziona così bene: i «fuck» e «shit» sono un rumore bianco che accompagna le altre parole, mentre tutti urlano più degli altri per farsi sentire. È probabilmente la prima volta che un processo così difficile da filmare viene invece ripreso in modo così naturale, verosimile, coinvolgente.
IL SIGNIFICATO DI THE BEAR TRA MACHISMO, FRAGILITÀ E CULTURA DEL SUPERLAVORO DEI RISTORANTI STELLATI
Per preparare la sua parte, Jeremy Allen White ha pensato ai tatuaggi che porta sulle braccia e sulle mani. Ognuno di essi ha in realtà un significato che i fan della serie possono decifrare – una sorta easter egg, di cui su Reddit si discute approfonditamente, soprattutto svelandone i legami videoludici. I tatuaggi contribuiscono, secondo un’idea peraltro vetusta e superata, a dipingere Carmy come un duro.
Il protagonista di The Bear entra nella cucina del The Beef senza aprire alcuna linea di dialogo. Si impone continuamente sugli altri urlando e insultando il prossimo. La cucina è il suo regno e Carmy non ha altro nella vita: niente amici, relazioni, affetti. Passa tutto tutto il suo tempo fra bolle, registri e preparazioni perché così ha imparato dai suoi mentori. In un flashback, infatti, vediamo Carmy che viene insultato e umiliato davanti a tutti da parte di uno chef stellato.
Le cucine stellate sono rappresentate come ambienti tossici e iper-competitivi che portano le persone che vi lavorano a continui esaurimenti nervosi. Carmy è un ragazzo in perenne burnout che per anni – confessa in un episodio – vomitava prima di ogni servizio per la tensione. Tutto deve essere perfetto, immacolato, al livello più alto possibile e ciò porta i dipendenti a essere succubi e vittime del cinismo e dell’egocentrismo dei proprietari dei ristoranti.
IL FINALE DI THE BEAR, LA STAGIONE 2 E IL SENSO DI UNA STORIA DI CAMBIAMENTO
White è bravissimo a interpretare questa doppia faccia di Carmy: dispotico ma di successo in cucina, fragilissimo e con una vita privata devastata. In questo ricorda la parabola dello chef de Il Sapore del Successo, interpretato da Bradley Cooper e ispirato da Anthony Bourdain. Per Carmen, infatti, la tensione, la fretta, le scadenze e la pressione sono la droga che lo tiene in piedi e gli permette di avere un’energia quasi inesauribile. Per questo quando non cucina e resta a casa si deprime, rischia di dare fuoco all’abitazione scordandosi le padelle sui fornelli e non è in grado di concepire una vita al di fuori del ristorante.
The Bear è un trionfo dalla prima all’ultima scena. Ma è su questa che dobbiamo concentrarci: un finale con molte implicazioni. Perché è un cambio di scenario cruciale, un “mezzo” che Carmy si ritrova senza aver fatto fatica. È come se quel finale fosse frutto di una magia, una preghiera, un sortilegio; tuttavia, questa sensazione d’incanto è foriera di presagi: solitamente quando al cinema vediamo i protagonisti ottenere qualcosa senza fare fatica, immaginiamo le ripercussioni.