The Midnight Club, serie TV horror disponibile in streaming su Netflix, segna il ritorno dietro la macchina da presa del regista e sceneggiatore Mike Flanagan, uno dei più importanti autori del cinema e della serialità televisiva del terrore. Lo show è l’adattamento dai toni più adulti dell’omonimo romanzo per adolescenti del 1994 di Christopher Pike, ma prende anche ampia ispirazione dalla serie antologica canadese Hai Paura del Buio?, che ebbe grande successo internazionale all’inizio degli anni ’90 grazie al canale Nickelodeon.
A ideare la serie insieme allo showrunner Flanagan troviamo Leah Fong (collaborazione nata con The Haunting of Bly Manor) e anche se la prima stagione di The Midnight Club è sostanzialmente autoconclusiva, i produttori esecutivi Flanagan e Trevor Macy hanno già annunciato l’intenzione di proseguire il progetto adattando liberamente gli altri libri di Pike legandoli a quello stesso contesto narrativo. Netflix non ha ancora confermato una seconda stagione di The Midnight Club, ma considerata la fruttuosità della collaborazione tra il regista e autore statunitense e lo streaming service di Los Gatos, è altamente probabile che verrà messa in cantiere.
DI COSA PARLA THE MIDNIGHT CLUB? LA TRAMA DELLA SERIE HORROR NETFLIX
Siamo nel 1994. Brightcliffe è un luogo del tutto particolare: una splendida magione di inizio ‘900 adibita a hospice per malati terminali in età adolescente. Un luogo severo e misterioso ma accogliente, in cui gli sfortunati giovani ospiti hanno l’occasione di trascorrere le ultime settimane della propria vita in compagnia di coetanei, in modo che il dramma della fine incombente sia alleggerito dal cameratismo e dalla condivisione.
Da sempre a Brightcliffe c’è la tradizione del Midnight Club: a mezzanotte i giovani sgattaiolano fuori dalle proprie stanze per darsi appuntamento davanti al caminetto accesso, dove raccontarsi storie paurose in cui la realtà autobiografica si mischia all’immaginazione. Sarà proprio in tale sede che i protagonisti faranno un patto: il primo di loro a morire dovrà dare un segno dall’aldilà.
CAPIRE THE MIDNIGHT CLUB: UNA DICHIARAZIONE D’AMORE PER I LIBRI DI CHRISTOPHER PIKE
Per comprendere un progetto come The Midnight Club non si può prescindere dal materiale di partenza, nonché dalla sua collocazione temporale. Parliamo di un momento storico tra il debutto di Guerre Stellari (1977) e I Predatori dell’Arca Perduta (1981), che avevamo sublimato sul grande schermo decenni di letteratura giovanile di fantascienza e d’avventura, e Harry Potter e la Pietra Filosofale (2001), che avrebbe monopolizzato l’immaginario infantile e young adult legato al fantastico per il decennio a venire.
Parliamo di un decennio, a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90, in cui ha avuto un’improvvisa fioritura la letteratura horror per ragazzi. I capolavori di genere di Stephen King erano in giro già dalla prima metà del decennio precedente, ma mentre il nome dell’autore di Portland diventava sempre più il punto di riferimento di un certo tipo di narrativa del terrore, principalmente rivolta agli adulti ma amatissima anche dagli adolescenti, si andavano affermando anche altri due scrittori che, partendo dagli stessi punti di riferimento tematici, si rivolgevano a un target più giovane: Stine e Pike.
La spiegazione del legame tra Flanagan e la letteratura horror per ragazzi (ma non solo)
R.L. Stine, che avrebbe scalato le classifiche con le prolifiche serie di Fear Street e Piccoli Brividi, si rivolgeva in particolare con la seconda saga soprattutto ai lettori molto giovani; mentre Christopher Pike, che monopolizzava intere sezioni delle librerie con una sterminata serie di romanzi dalle copertine colorate ed evocative, aveva trovato una formula per parlare ai lettori adolescenti senza eccedere nella cupezza dei toni ma trattando tematiche adulte.
È proprio con Pike che Flanagan, che è del 1978, si avvicinò al mondo dell’horror come lettore, ed è proprio The Midnight Club che il regista proverà ad adattare in lungometraggio come suo primo student film. Flanagan ha fatto di tutto per portare Pike sullo schermo, con incredibile rispetto e determinazione, per fare di The Midnight Club una serie che adattasse non solo l’omonimo romanzo ma incorporasse elementi da molti altri libri del narratore. Una serie che si adattasse ai tempi e alla visione del regista senza tradire quella originale, che avesse per protagonisti dei teenager ma trattasse con profondità temi adulti e comuni a un pubblico più maturo.
MIKE FLANAGAN, L’AUTORE CULT AMATO DA TARANTINO, KING E FRIEDKIN
Mike Flanagan non è conosciutissimo al grande pubblico, eppure è autore di progetti di grandissimo successo, da horror ‘commerciali’ ma comunque eleganti come Oculus, Somnia e Ouija a progetti più particolari come Hush, Il Gioco di Gerald e Doctor Sleep. C’è poi la sua produzione seriale, che annovera eccellenze come l’antologia Netflix inaugurata con The Haunting of Hill House o la folgorante miniserie Midnight Mass.
Flanagan, che vanta ammiratori d’eccezione come Quentin Tarantino, Stephen King o William Friedkin (il regista de L’Esorcista), ama citare e rielaborare i cliché dell’horror, ibridandoli tra loro e padroneggiandoli con grandissima eleganza ma senza paura di sconfinare anche in qualche trovata consapevolmente kitsch.
Cosa rende speciale Flanagan? La gentilezza e l’elemento del lutto nell’horror
Mike Flanagan, nato a Salem (quella Salem) e grandissimo studioso amatoriale di religioni pur essendo ateo, è più di ogni altro il regista che riesce a dare una dimensione profondamente emotiva all’horror. Con gli anni ha infatti progressivamente affinato una poetica della morte in cui agli elementi horror legati a dipartite traumatiche e violente, si accompagnano sempre riflessioni non banali sul lutto (decisamente inusuali nel cinema di genere) e l’idea del trapasso come presenza essenziale nella vita. In poche parole, il suo è un cinema di genere profondo, in cui ai topoi del terrore si accompagna uno sguardo amorevole verso la nostra caducità.
LA STRUTTURA A SCATOLE CINESI DI THE MIDNIGHT CLUB
The Midnight Club ha una struttura narrativa inusuale: a una trama orizzontale principale, che segue la permanenza nell’hospice di un gruppo di ragazzi ormai prossimi alla morte (chi con il cancro, che con la leucemia, chi con l’AIDS), si alternano numerose trame verticali, cioè quelle delle storie raccontate dai protagonisti nelle loro riunioni notturne. A dare ulteriore profondità al tutto, vi sono misteri che emergono lentamente e che hanno a che fare con l’ingombrante passato dell’edificio.
La vera peculiarità della serie Netflix è però nell’eterogeneità particolarmente evidente dei toni: la vicenda principale ha ovviamente forti coloriture drammatiche e una considerevole carica emotiva, mentre i racconti sono spesso caricaturali, giocosi, eccessivi.
Oltre la superficie kitsch di quei racconti che riflettono l’immaginario di un gruppo di teenager dei primi anni ’90, però, soggiacciono dei piccoli trattati di psicologia che affrontano tematiche di grande importanza e fanno trasparire in filigrana le vite non facili che stanno per esser interrotte.
IL SIGNIFICATO DI THE MIDNIGHT CLUB, IL DECAMERONE DI FLANAGAN
Nel Decameron di Giovanni Boccaccio dieci giovani si intrattengono raccontandosi storie per sfuggire alla morte, che ha la forma della peste nera che imperversa a Firenze. La stessa identica cosa fanno gli otto ragazzi di The Midnight Club, che però dalla morte – scritta nei loro volti – non possono evadere e allora vi scendono a patti rappresentandola.
Stavolta però non c’è spazio per il pruriginoso: i corpi comunque sono continuamente presenti, sì, ma nella loro fragilità. Se Boccaccio raccontava di fortuna e natura, Flanagan esplora il destino ineludibile e l’amorosa cura reciproca; se lo scrittore trecentesco ci raccontava i valori del vecchio mondo aristocratico e della nuova borghesia mercantile, lo showrunner di The Midnight Club crea invece un’opposizione tra i disvalori dell’egoismo e del rifiuto e i valori della ‘famiglia’, qualsiasi cosa essa sia.
La spiegazione del perché The Midnight Club mette lo spettatore davanti a uno specchio
Le goffe e banali storielle tra l’horror e l’autobiografico raccontate dai componenti del club diventano così un ritratto di quel mondo da cui si stanno isolando prima di esserne strappati. Ma soprattutto, la scelta di Flanagan di raccontare il raccontare è una celebrazione del significato stesso della serie; una dichiarazione d’amore per lo storytelling.
The Midnight Club ci mette davanti a noi stessi. Nella vita, percorso ineluttabile verso la sua stessa fine, tutti inganniamo la paura della morte fruendo di storie, film, serie TV, libri… Amplifichiamo il nostro vissuto con la narrazione. Le storie ci mettono a confronto con chi non siamo per ricordarci chi siamo, siamo stati o potremmo essere. Prima che non saremo più.
SEGUONO SPOILER
LA METAFORA DELLA SETTA PER RACCONTARE L’ELABORAZIONE DEL LUTTO
La presenza di molteplici misteri, alcuni dei quali ‘secondari’, non è una novità nella scrittura di Flanagan, e da un certo punto di vista Brightcliffe Hospice è a tutti gli effetti una casa infestata che avrebbe potuto essere ospitata nel franchise The Haunting. Brightcliffe però, più che mai, è un contenitore di storie, un palcoscenico su cui mettere in scena un immaginario quantomai frastagliato. Poiché The Midnight Club nasce di fatto per diventare un’antologia delle storie di Christopher Pike, le numerose linee narrative finiscono per intersecarsi o avvicinarsi.
Tra i misteri ‘secondari’, quello su Julia Jayne in cui Flanagan gioca in realtà a carte scoperte, quello dei due anziani fantasmi (che rimane per ora irrisolto) e quello di Paragon, una setta legata alla mitologia greca che avrebbe sfruttato particolari snodi energetici sui quali è stata costruita la villa. Nell’ottica della tematica principale, quella cioè dello scendere a patti con la morte, è particolarmente interessante la profondità che lo showrunner riesce a dare al tema della negazione del proprio destino.
LA SPIEGAZIONE DEL FINALE DI THE MIDNIGHT CLUB
Il tema dell’ostinata ricerca di una cura miracolosa, della non accettazione di una condanna a morte che porta a sperimentare assurdi rituali, ci parla tra le righe della naturale e legittima tendenza di molti malati terminali a voler provare di tutto, anche le ‘terapie’ alternative più bislacche, nel vano tentativo di fuggire alla morte. Al contempo, alla luce degli sviluppi di trama, ci dice anche che spesso dietro a promesse miracolose si nascondo malintenzionati senza scrupoli. È così che il finale della serie, nonostante l’illusione data da remissioni improvvise o evocazioni magiche, finirà per coincidere con la fine della vita di (quasi) tutti i ragazzi: il senso della filmografia di Flanagan è sempre stato quello di metterci davanti alla morte come presenza da accettare senza paura.
Il finale di The Midnight Club è altresì un finale aperto, perché rivelando che anche la direttrice di Brightcliffe ha il simbolo di Paragon tatuato sulla nuca, promette future rivelazioni su un personaggio la cui natura al momento è del tutto imperscrutabile. Il mistero irrisolto più importante è quello dei due fantasmi di un’anziana donna che «ha fame» e dell’altrettanto attempato uomo – interpretato da William B. Davis, l’indimenticato Uomo Che Fuma di X-Files. Sappiamo che i due hanno sviluppato una connessione esclusiva con Ilonka e Kevin, e che secondo Natsuki potrebbero essere entità che si nutrono degli anni non vissuti dai giovani. Ma il dato interessante è un altro.
Chi sono i due fantasmi? Che rapporto hanno con la setta?
Non ci sono ancora risposte definitive ovviamente, ma un paio di dettagli rivelano qualche prima spiegazione su questi spiriti. Come scopriamo da un ritaglio di giornale appeso nell’ufficio della direttrice, i due sono in realtà Stanley Oskar Freelon, imprenditore del legno che ha edificato Brightcliffe nel 1901, e sua moglie Vera, che come ci dice il giornale ha curato personalmente ogni dettaglio delle decorazioni della magione. È proprio uno di quei dettagli a chiarirci che la coppia era più legata ai riti di Paragon di quanto non venga dichiarato: nella prima puntata, quando Ilonka arriva nella casa, vediamo con chiarezza che nel rosone della vetrata centrale dell’androne è raffigurato lo stesso ‘labirinto’ disegnato sul pavimento dello scantinato.
THE MIDNIGHT CLUB È MOLTO PIÙ DI UNA SERIE HORROR YOUNG ADULT
Alla luce di quanto detto, The Midnight Club non nasce per avere la stessa solennità e gravità dei toni di Hill House e sarebbe pertanto un grave fraintendimento confrontarla con quelle stesse atmosfere. Siamo di fronte a una serie straordinariamente intelligente e dalla grande profondità, che ci racconta il ruolo delle storie nelle nostre vite, abbattendo la parete del metacinematografico e al contempo dicendoci molto del ruolo avuto dei libri di Pike nella formazione di un’intera generazione.
La tensione, ovviamente, non è quella che ci aspetteremmo da un horror da manuale (anzi, Flanagan si prende gioco non poco della pratica del jumpscare), l’immaginario dei racconti intorno al fuoco è volutamente naïf e i canoni narrativi sono molto più vicini a quelli del drama. La prima metà della stagione è interamente dedicata alla preparazione di quello che verrà, e se fa un eccellente lavoro nel costruire empatia con i giovani protagonisti al contempo risente di un passo che ha qualche certezza (si sarebbe potuto fare probabilmente a meno della puntata numero 4).
La spiegazione del significato finale di The Midnight Club sta nella vita e nei suoi tabù
Gli episodi 6 e 7, meravigliosamente diretti da Axelle Carolyn e scritti con grande sensibilità rispettivamente da Chinaka Hodge (Snowpiercer) e Jamie Flanagan (Hill House, Midnight Mass), rappresentano probabilmente il picco emotivo della stagione, complice l’incisiva interpretazione del personaggio di Anya. L’esordiente Ruth Codd, ex TikToker scelta da Flanagan anche per il successivo progetto Netflix The Fall of the House of Usher (in uscita nel 2023), è infatti il vero fulcro di un cast di ottimi attori.
The Midnight Club non è perfetta, eppure rimane un esempio illustre di narrativa di genere. Quella che, per i più distratti, potrebbe essere una semplice serie horror young adult, è infatti invece anche un omaggio ai codici del genere, una celebrazione sensibile e profonda della vita e una riflessione sulle storie del terrore. Come sempre con Flanagan, non è la morte a fare paura ma sono lo smarrimento e il dolore che la precedono. Ancora una volta l’autore di Salem ci regala una visione unica di cosa sia l’horror, che parla soprattutto a chi abbia avuto la sfortuna di conoscere da vicino il lutto e la malattia, in cui il mistero principale rimane il tabù della morte.