Battle Royale, film cult giapponese con Takeshi Kitano, è a suo modo uno spartiacque nella storia del cinema – almeno di quello di genere. Esistono infatti un prima e un dopo Batoru Rowaiaru (questo il titolo originale). Il lungometraggio del 2000 di Kinji Fukasaku, che in occasione del restauro 4K della director’s cut arriva in DVD e Blu-ray grazie a CG Entertainment dopo un’acclamata release in collaborazione con Beltrade / Barz And Hippo sul grande schermo, ha segnato come poche altre opere l’immaginario di decine di autori cinematografici – e non solo – in tutto il mondo.
QUENTIN TARANTINO E BATTLE ROYALE
Tra questi c’è Quentin Tarantino, che nel 2009 si soffermò a lungo sull’influenza che Battle Royale finì per avere sulla sua carriera: «se c’è un film, tra quelli realizzati da quando ho iniziato a fare il regista, che vorrei aver fatto io, è proprio quello». Qualche anno prima il maestro del pulp aveva omaggiato a suo modo l’opera di Fukasaku, ingaggiando una delle protagoniste, Chiaki Kuriyama, per il ruolo di Gogo in Kill Bill Vol. 1. Recentemente Tarantino è tornato a elogiare il film, da lui ritenuto il vero precursore di tutta una serie di pellicole simili: «sono un grande fan del film giapponese Battle Royale, opera su cui si basa anche Hunger Games. Beh, sarebbe meglio dire che Hunger Games l’ha copiato e distrutto».
Il gioco della morte, da La Decima Vittima di Elio Petri a Battle Royale e Hunger Games
La trama di Battle Royale, basata sull’omonimo romanzo del 1999 di Koushun Takami, ha in effetti più di un punto in comune con la saga americana di Hunger Games (a sua volta tratta dall’omonimo romanzo fantascientifico del 2008 di Suzanne Collins): in un futuro prossimo le dinamiche sociali sempre più incontrollabili vengono regolate con l’introduzione di un «gioco» all’ultimo sangue ma con regole definite. A ben vedere, però, entrambe le storie portano alla mente una fonte decisamente precedente: il seminale sci-fi italiano del 1965 La Decima Vittima, di Elio Petri e con Marcello Mastroianni, che Ennio Flaiano e Tonino Guerra adattarono dal libro del 1953 La Settima Vittima di Robert Sheckley.
LA TRAMA DI BATTLE ROYALE
Battle Royale parte dalla premessa che le autorità giapponesi, preoccupate per la vertiginosa crescita della criminalità giovanile, decidono di varare la Millennium Educational Reform Act, conosciuta anche come BR act. La legge consente l’estrazione a sorte di un gruppo di studenti delle superiori che dovrà partecipare al gioco, la “battle royale” appunto: una spietata gara di sopravvivenza che si svolge su un’isola nipponica controllata dall’esercito.
Tenuti in ostaggio oltre che dai militari anche dal professor Kitano (interpretato da Takeshi Kitano), i ragazzi devono uccidersi a vicenda senza possibilità di scappare o disertare la gara: ogni studente indossa infatti un collare elettronico che esplode se tenta di toglierlo o se entra in una zona proibita dell’isola. Solo l’ultimo sopravvissuto potrà essere eletto vincitore e finalmente tornare a casa. Ovviamente, se allo scadere dei tre giorni durante i quali si svolge il gioco saranno in vita più individui, il comitato supervisore dei ragazzi li ucciderà tutti, facendo esplodere il loro collare simultaneamente.
LA TERRIBILE STORIA VERA CHE HA ISPIRATO BATTLE ROYALE
Fu il figlio del regista Kinji Fukasaku, Kenta, che segnalò al padre il romanzo di Takami come potenziale materiale per un film. All’epoca Kinji aveva quasi 70 anni, era considerato uno dei precursori della New Wave del cinema nipponico e durante la sua carriera aveva girato principalmente film a tema Yakuza, qualche dramma storico e una pellicola fantasy. Molti lo ritenevano decisamente avanti con gli anni per approcciarsi alla storia di Battle Royale, ma quando lesse il romanzo ebbe subito la sensazione di rivivere un episodio della propria adolescenza.
Accade durante la Seconda Guerra Mondiale, quando lui (quindicenne) e i suoi compagni di classe furono obbligati dal governo giapponese a lavorare come operai in una fabbrica di munizioni. Quella stessa fabbrica fu bombardata dagli alleati nel luglio del 1945; i ragazzi non poterono scappare e decisero di ripararsi l’uno sopra l’altro, usando i propri corpi per attutire l’impatto con le bombe. Chi sopravvisse a quella strage fu poi costretto a sbarazzarsi dei cadaveri dei compagni morti. «Era la prima volta nella mia vita che vedevo così tanti cadaveri» disse poi Fukasaku. «Mentre sollevavo braccia e gambe mozzate, ho improvvisamente ‘aperto gli occhi’… tutto ciò che ci era stato insegnato a scuola su come il Giappone stava combattendo la guerra per far prevalere la pace nel mondo era un mucchio di bugie. Non ci si poteva fidare degli adulti».
Il segreto dell’alchimia sul set in un film contro gli adulti
Ecco: questa diffidenza profonda verso il mondo degli adulti è proprio al centro della storia di Battle Royale e spiega uno dei motivi per cui, nonostante il regista avesse quasi 60 in più della maggior parte del suo cast, non ebbe nessuna difficoltà a dirigere il set e ad entrare in empatia con le attrici e gli attori del film. La storia raccontata dalla pellicola e quella personale di Kinji Fukasaku erano segretamente unite da un sottile filo rosso che ne segnava un cammino parallelo ed intergenerazionale, dando vita a un film circondato da un’aurea vibrante e senza tempo, un racconto attualissimo ancora oggi.
BATTLE ROYALE E LA CRITICA ALLA SOCIETÀ GIAPPONESE
Andando più in profondità, Fukasaku riprende nel film un altro tema a lui caro. La diffidenza dei giovani giapponesi non era solo verso il mondo degli adulti, ma nel complesso nell’intero sistema di valori della società nipponica. Al centro del declino economico, sociale e culturale del mondo di Battle Royale c’è infatti una spaventosa etica competitiva, la stessa che ha afflitto il Giappone dal dopoguerra in poi. Una mentalità culturale in cui dominavano un carrierismo aggressivo e una lotta intestina tra gli individui con il solo obiettivo di emergere come cittadini vincenti, ben posizionati da un punto di vista economico e fortemente dediti alla consolidazione della propria bolla sociale.
La perversa etica della competitività nella scuola nipponica
Non è un caso che gli alunni selezionati provengano dalla nona elementare, ovvero quel periodo scolastico in cui gli studenti giapponesi devono competere ferocemente in esami nazionali per l’inserimento nelle scuole secondarie più prestigiose. Battle Royale porta all’esasperazione questa tendenza della cultura giapponese: gli studenti sono costretti a competere con la propria vita, costretti a uccidersi a vicenda, eliminare fisicamente il proprio compagno di classe.
La violenza come un demone
Fukasaku presenta una serie di personaggi che rispondono in diversi modi a questa logica spietata: mentre i protagonisti Shuya (Fujiwara Tatsuya) e Noriko (Maeda Aki) provano ad allontanarsi dall’isola disertando le regole del gioco per evitare di diventare degli assassini, molti degli altri giovani accettano realmente la possibilità di commettere un omicidio pur di salvarsi. Questo è particolarmente vero per i caratteri di Mitsuko (Shibasaki Ko), che uccide molte delle sue compagne per vendicarsi di continue vessazioni subite in passato, e Kazuo (Ando Masanobu), l’unico personaggio che si iscrive volontariamente al gioco per sfogare le sue pulsioni violente e omicide. A causa delle loro estrema adesione alle regole del gioco e alle loro motivazioni tutt’altro che benevole, entrambi questi personaggi sono ‘trasformati in demoni’ dalla messa in scena di Fukasaku, impossessati dallo spirito competitivo di Battle Royale e definitivamente alienati dal sistema valoriale del gioco.
TAKESHI KITANO E L’AMBIVALENZA DEL SUO RUOLO IN BATTLE ROYALE
Questa etica distruttiva è imposta e fatta rispettare direttamente dall’esercito giapponese: la catena di comando è una sorta di struttura ibrida tra scuola e caserma che rimanda direttamente a un’idea militaresca del sistema educativo. L’insegnante Kitano incarna proprio questa nozione di maestro/comandante, una figura che ha un potere totalizzante sui propri studenti e che fin dalle prime scene ‘punisce’ in modo decisamente sproporzionato gli alunni che semplicemente interrompono la ‘lezione’ di presentazione di Battle Royale.
Ma per Fukasaku il problema non sono le singole persone, è il sistema che le trasforma in ‘demoni’, costringendo uomini comuni a diventare assassini. Kitano incarna l’oppressore dunque, ma anche lui è a sua volta vittima. Lo è fin dalle primissime scene in cui viene presentato come un corpo estraneo, una sorta di professore idealista che però viene respinto sia dai suoi studenti che dai suoi stessi figli.
L’umanizzazione di Kitano è poi di nuovo accentuata nel finale, quando mostra la sua vulnerabilità nei confronti di Noriko a cui è molto legato e infine quando svela il quadro con cui ha voluto rappresentare la Battle Royale: un’interpretazione artistica della morte, quasi se fosse lui stesso qui a regredire come uno studente. L’ambivalenza del personaggio di Kitano rappresenta quel settore della società giapponese che ha a cuore più di altri il destino delle nuove generazioni ma non riesce a comprenderle e a comunicare con loro. Cercando di salvarne (inutilmente) una purezza ormai perduta.
LO SCANDALO BATTLE ROYALE
Dietro la sua ‘violenza gratuita’, Battle Royale è quindi un prezioso film di indagine e critica sociale che poneva (e pone tuttora) interrogativi sulla condizione del sistema scolastico, delle nuove generazioni e in generale della società giapponese. Eppure, l’effetto che ebbe quando uscì al cinema fu quello del proverbiale elefante nella cristalleria. Il film fu valutato R15+ e diversi membri della Dieta Nazionale (il parlamento giapponese) affermarono che il film non solo era crudele e sconvolgente, ma anche potenzialmente pericoloso per gli adolescenti perché poteva generare una emulazione della violenza e dei comportamenti antisociali.
Per contestualizzare questo allarmismo è utile ricordare che il Giappone dell’epoca stava fuoriuscendo da un decennio complicatissimo, con la recessione del 1997/98 che vide, tra le altre cose, un’esplosione della criminalità giovanile e un picco nei tassi di suicidio tra i giovanissimi. Anche per questo l’indignazione dei politici, della stampa e delle istituzioni giapponesi nei confronti del film fu tale da ricordare quella britannica nei confronti di Arancia Meccanica di Kubrick, finendo per influenzarne la distribuzione internazionale.
Sulla scia della sparatoria nella scuola Columbine per oltre un decennio il film fu praticamente bandito negli Stati Uniti e in Canada. In Europa ebbe una sorte migliore, ma solo grazie alla distribuzione in home video. In Italia è arrivato nei cinema solo nel 2022, a oltre un ventennio dalla sua uscita in patria.
L’INCREDIBILE EREDITÀ DI BATTLE ROYALE
Nonostante le enormi difficoltà di diffusione verso il grande pubblico, Battle Royale è considerato una delle più importanti opere degli anni duemila e una delle più influenti della storia del cinema. Una miriade di pellicole è stata influenzata dalla narrativa del film, senza contare l’impatto sull’immaginario dei videogiochi contemporanei (si pensi anche solamente a Fortnite). Oltre al già citato The Hunger Games, la pellicola è stata spesso riconosciuta come riferimento narrativo anche in film come The Condemned, The Most Dangerous Game, Kill Theory, Gamer, Kick-Ass, The Belko Experiment, la saga di The Purge – La Notte del Giudizio e Assassination Nation. Ci sono poi una serie di riferimenti che spiegano quanto Battle Royale fosse entrato con il suo immaginario nella cultura pop dell’epoca: dagli omaggi in pellicole come Juno, Thank You for Smoking e Shaun of the Dead all’uso delle riprese del film da parte della rock band The Flaming Lips durante il loro Pink Robots tour.
Squid Game, un Battle Royale per adulti disperati
Più di tutti però è stata la serie Squid Game, con il suo successo planetario, a dimostrare quanto fu pionieristico l’immaginario di Battle Royale. Dopotutto la serie di Hwang Dong-hyuk non fa altro che espandere la critica sociale di Battle Royale, utilizzando lo stesso filone narrativo del death match e sostituendo degli adolescenti tormentati con degli adulti disperati. Ma è innegabile che se Battle Royale fosse uscito oggi, nell’epoca dei social e della trasfigurazione in icone, avrebbe avuto lo stesso ed identico impatto virale della serie di Netflix. Con la differenza che il film di Fukasaku è un capolavoro senza tempo, la serie sud coreana una semplice iterazione derivativa.
La fine prematura di Fukasaku, mentre girava il sequel di Battle Royale
Tragicamente Battle Royale è stato invece l’ultimo film di Fukasaku: morì durante le riprese del sequel, Battle Royale II: Requiem, opera minore che portò poi a termine il figlio Kenta. Dopotutto «la vita è un gioco» dice Kitano in una scena, «quindi combattete per sopravvivere e vedete se valete». Allo stesso modo Kinji Fukasaku in quella sfida che intraprese a 70 anni non solo sopravvisse alle polemiche ma dimostrò di essere un autore dal valore inestimabile, realizzando un’opera immortale per la sua straordinaria capacità di anticipare i tempi e le narrative filmiche. Ritagliandosi, con una sola pellicola, un posticino nell’olimpo dei più grandi registi nipponici di sempre.