Inizialmente le prime sequenze di Rodeo ci fanno pensare di trovarci di fronte ad un nuovo episodio del cinema ‘neorealista’ francese, quello che richiama subito le atmosfere dei fratelli Dardenne (e in particolare del loro Rosetta). Ma in realtà l’opera prima di Lola Quiveron, presentata nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2022 e vincitrice del Premio Speciale della Giuria al 40° Torino Film Festival, sa prendere quasi subito un’altra strada, guardando di più a modelli tutt’altro che scontati. Parliamo delle giovinezze fragili e impulsive di Nicholas Ray, degli emarginati idealizzati da Léos Carax, dello stile dinamico e banditesco di Fast & Furious. Ecco, come da titolo, Rodeo è a tutti gli effetti un western urbano, con le motociclette al posto dei cavalli e le banlieue al posto della frontiera. Ma più di tutto è il racconto di una cow-girl che irrompe dentro ad un gruppo di cow-boy.
Una ragazza tra i motociclisti: la trama di Rodeo
La cow-girl in questione si chiama Julia (Julie Ledru): perennemente nei guai, sbattuta fuori di casa dalla madre e vittima del furto della sua motocicletta – un oggetto verso cui nutre una passione viscerale. Julie però ha un’abilità innata: inventa truffe su eBay per rubare moto messe in vendita online. Non passa dunque molto che si trova di nuovo in sella, finendo per frequentare un gruppo di motociclisti (tutti uomini) che passano il tempo tra acrobazie da brivido, fuggendo quando è necessario dai blitz della polizia.
Il garage da dove arrivano i bikers è nelle mani di Domino, che lo gestisce direttamente dalla prigione. Quando Julie gli mostrerà la sua abilità nel rubare le moto, diventerà un membro fisso della gang su due ruote. Un ragazzo del gruppo, Kais (Yanis Lafki), la prenderà sotto la sua ala protettrice, ma altri bikers come Ben (Louis Sotton) e Manel (Junior Correia) finiranno per non fidarsi completamente di lei. Julie, che nel frattempo ha fatto amicizia con la moglie di Domino Ophelie (Antonia Buresi), proverà a farsi rispettare, fino al proporre al gruppo l’idea di una rapina audace ed acrobatica: rubare motociclette da un furgone in corsa.
Rodeo, un film sulle motociclette e una spiritualità ribelle
Fin dalle primissime scene Quiveron spinge sull’acceleratore e ci catapulta in modo frenetico in una narrazione che non dà punti di riferimento precisi. I primi piani stretti e il dinamismo della macchina a mano rendono bene l’idea di essere ‘già in corsa’ e la stessa introduzione di Julie – sguardo allucinato e occhi scavati – ci racconta poco o nulla di lei: non ne conosciamo il passato, il contesto sociale e gli istinti che la muovono; non diversamente dalla tipica figura solitaria e senza radici di un western classico.
Iniziamo a conoscerla lentamente, scoprendo l’incredibile unicità e il magnetismo di un personaggio femminile che intreccia la propria vita con l’ambiente maschile (e machista) di una gang di motociclisti. Che venga accettata o respinta come corpo estraneo, Julie però non si fa mai addomesticare: anzi, finisce per plasmare la tribù con le sue gesta e i suoi slanci temerari, grazie anche un ribellismo che non è fine a se stesso ma dentro al quale scorre un’intrigante corrente spirituale, quasi mistica (dopotutto è originaria della Guadalupa).
Eppure nel suo atteggiamento sprezzante da amazzone in bilico tra la vita e la morte si intravede un altruismo quasi primitivo: come quando costruisce quel rapporto – certamente ambiguo – con la moglie di Domino, Ophélie; una connessione tra donne sole e incomprese e che mai per un attimo sfocia nel puro sentimentalismo.
La cinetica del movimento di Rodeo
Anche perché non c’è tempo: Rodeo, soprattutto nella seconda parte, è una corsa al cardiopalma, che usa incredibili acrobazie come punteggiature narrative, ideate e coordinate da un veterano come lo stuntman Mathieu Lardot (uno che ha lavorato su Jason Bourne, Spectre e vari Mission Impossible). La scelta della regista di reclutare veri motociclisti piuttosto che attori professionisti rende crudo e affascinante il modo con cui racconta una sottocultura delle periferie francesi, sviscerando i suoi riti, i suoi luoghi e i suoi ritmi – ovviamente con le hit di musica rap e hip hop.
Dopotutto Quiveron ha trascorso anni a indagare una comunità clandestina di motociclisti a nord di Parigi (materiale che aveva già ispirato il suo cortometraggio Au Loin, Baltimore) e che conosca bene quel mondo si vede e si sente. Ma in generale il suo film è pienamente contemporaneo perché emerge come esperimento quasi unico nel panorama francofono: attento alla cinetica del movimento e alla plasticità del metallo e della macchina, in una poetica del corpo trasformato che finisce quasi per ricordare Titane ma senza cadere nella trappola dell’elucubrazione e del manifesto politico.
Il debutto cinematografico di Lola Quivoron è dunque così singolare, elettrizzante e spericolato che finiamo per accettare anche il finale non scontato. Ma è dalla capacità di ibridare epica e dolore che nascono i miti: Rodeo ne ha generato uno che sarà difficile dimenticare.