Gli Spiriti dell’Isola (The Banshees of Inisherin), qual è la spiegazione del film? Il nuovo straordinario lavoro di Martin McDonagh che fa seguito al grande successo di Tre Manifesti a Ebbing, Missouri, segna il ritorno del pluripremiato commediografo, regista e sceneggiatore britannico-irlandese. Nel cast la coppia di attori Colin Farrell (The Batman) e Brendan Gleeson (la saga di Harry Potter), che aveva già diretto in In Bruges nel 2008. Dramma grottesco con venature di commedia presentato al Festival di Venezia, candidato a 9 premi Oscar e vincitore di 3 Golden Globe, è la storia di un’amicizia infranta, che vive perfettamente anche solo nella dimensione denotativa. In realtà il lungometraggio è però anche e soprattutto una metafora il cui profondo significato si nasconde tra numerosi simboli. Sul mercato italiano è stato distribuito nei cinema dal 2 febbraio 2023 senza una release in streaming contemporanea. Vi consigliamo caldamente di recuperarlo in versione originale, perché stavolta adattamento e doppiaggio fanno un torto davvero irreparabile al film.
LA TRAMA DE GLI SPIRITI DELL’ISOLA, IL FILM DEGLI OSCAR 2023
Siamo nel 1923, sull’immaginaria isola di Inisherin (nome che significa «isola irlandese»), un minuscolo pezzo di terra al largo della costa occidentale dell’Irlanda. Il mansueto allevatore Pádraic Súilleabháin (Colin Farrell) rimane sconvolto quando scopre che il suo migliore amico, l’inquieto Colm Doherty (Brendan Gleeson), ha deciso, di punto in bianco, di non volerne più sapere di lui. Pádraic, confuso e devastato, tenta goffamente di ricucire un rapporto intorno al quale gira praticamente tutta la sua vita, ma Colm è irremovibile.
L’uomo dichiara granitico – ma poco convinto – che il suo antico sodale non gli ha fatto nulla di male ma non gli piace più, al punto da volerlo completamente tagliar fuori dalla propria vita. Aggiunge anche che per lui è arrivato il momento di dedicare la propria esistenza a un fine nobile: comporre musica che gli sopravviva e lasci un segno nella storia. A niente servono i tentativi di rappacificazione da parte di Siobhan (Kerry Condon), sorella di Pádraic, e di Dominic (Barry Keoghan), ragazzo semplice e dalla vita difficile. Mentre nella piccola comunità si propaga il caos per una situazione totalmente inaspettata e inedita, Colm decide di minacciare Pádraic con uno scioccante ultimatum: se continuerà a infastidirlo o proverà anche solo a parlargli, sarà costretto a compiere un atto scellerato e irreparabile.
LA TRILOGIA DE GLI SPIRITI DELL’ISOLA
La costruzione dell’architettura narrativa de Gli Spiriti dell’Isola (The Banshees of Inisherin) dimostra tutta la sua grandezza drammaturgica di McDonagh nello scrivere storie in cui il grottesco è destinato a diventare tragedia; una tragedia in cui sopravvive sempre una sorta di non-sense delle azioni e delle intenzioni. Qui, ancora di più, siamo nei dintorni del teatro di Samuel Beckett e non a caso la storia de Gli Spiriti dell’Isola nasce un ventennio fa, come terzo episodio di una serie di spettacoli teatrali di McDonagh – la Trilogia delle Isole Aran – che includeva The Cripple of Inishmaan e The Lieutenant of Inishmore. Opere che riprendevano l’immaginario e i topoi narrativi del folklore irlandese, una delle più grandi ossessioni del regista.
Il film arriva dunque da quel primo McDonagh, da un autore teatrale che ancora non aveva conosciuto il cinema (avrebbe debuttato sul grande schermo solo nel 2008) e il cui approccio letterario-centrico sopravvive anche nella celluloide; non solo nella caratterizzazione dei personaggi, tutti straordinari, ma in ogni dettaglio strutturale di quello che vediamo.
GLI SPIRITI DELL’ISOLA NON È UN FILM SULL’AMICIZIA
I greci definivano quattro tipi di amore che una persona può provare per un’altra. Quello tra amanti, Eros, quello che i genitori provano per i propri figli, Storge, lo slancio affettivo nobile e incondizionato, Agape, e infine il tipo di amore che unisce gli amici, Philia. Apparentemente, il nuovo film di Martin McDonagh, esplora quest’ultima forma relazionale, assumendo le sembianze di una vera e propria ‘tragedia sull’amicizia’, contaminata con le tipiche venature pirandelliane con cui l’autore londinese ci ha abituato negli anni.
Ma è, appunto, solo un’apparenza, perché a vederlo bene Gli Spiriti dell’Isola (The Banshees of Inisherin) è molto di più di un dramma esistenziale sull’intimità spezzata. Piuttosto, è un manifesto universale sugli archetipi umani, una dolorosissima ballata sulla finitezza della vita, sulla noia e sulla genesi del conflitto. Una riflessione su come quell’idea di amicizia possa espandere il proprio respiro fino a legare interi popoli nel mutuo legame che li cementa – o su come eventi irragionevoli possano minarla irreparabilmente.
Gli Spiriti dell’Isola, il caos secondo Martin McDonagh e il ruolo delle donne
Il punto focale di Gli Spiriti dell’Isola (The Banshees of Inisherin), cioè la decisione di Colm di mettere fine alla sua amicizia con Pádraic, non ha conseguenze solo per quest’ultimo ma è un avvenimento straordinario che rompe l’equilibrio dell’intera isola, come se tutti i ruoli precostituiti fossero messi fuori posto. Qui arriviamo a un altro tema caro a McDonagh: il modo con cui un singolo problema possa propagarsi e generare caos nell’intera comunità da cui ha avuto origine (esattamente come in Tre Manifesti a Ebbing, Missouri).
A fare i conti con l’amicizia infranta dei due protagonisti sono anche, in modo indiretto ma decisivo, altri due personaggi. Lo ‘scemo del villaggio’ Dominic impara a cercare la propria indipendenza proprio grazie ai confronti con Pádraic, mentre Siobhán si ritrova a dover badare ad un fratello a cui è caduto il mondo addosso, rischiando di rinunciare al suo sogno di emanciparsi attraverso la sua passione per i libri e la letteratura.
Insomma, la sorella del protagonista è una donna a cui si chiede di rinunciare alla propria intelligenza solo perché è costretta a vivere in un mondo di uomini. Il suo sarà l’unico personaggio a uscire di scena positivamente prima che tutta la faccenda diventi davvero pericolosa. Un accenno alla capacità razionale delle donne di disertare il conflitto prima che degeneri e alle aspettative che la società ha nei loro confronti. Un altro personaggio con cui il pubblico finirà per empatizzare, un’altra ‘pedina’ che diventerà, a suo modo, protagonista della propria storia.
LA SPIEGAZIONE DEL SIGNIFICATO DE GLI SPIRITI DELL’ISOLA
Gli Spiriti dell’Isola (The Banshees of Inisherin), come anticipavamo, mette in scena le sofferenze legate a un’amicizia infranta per raccontare altro, e cioè la guerra. Una guerra vicinissima, sulla costa appena al di là di un brevissimo tratto di mare, eppure remota, intuibile solo nei resoconti epistolari o dalle esplosioni che ogni tanto si intravedono in lontananza sulla terraferma. Il conflitto che fa da sfondo alle vicende del limbo di Inisherin è la prima guerra civile irlandese, scoppiata tra chi aveva sostenuto il trattato dello Stato Libero d’Irlanda sotto il controllo della Gran Bretagna e chi invece riteneva che l’Irlanda potesse essere libera solo se si fosse sottratta per intero dal dominio britannico.
Gli Spiriti dell’Isola, la Guerra Civile Irlandese e la guerra in Ucraina
Uomini che avevano combattuto dalla stessa parte ora si stavano combattendo l’un l’altro, uccidendosi senza troppi convenevoli. Una vicenda che ci porta indietro esattamente di 100 anni, messa nero su bianco da McDonagh un ventennio fa, adattata a film a partire dal febbraio 2020, e che però gode tristemente di una straordinaria attualità. Tutte le metafore e i simboli del film potrebbero infatti adattarsi perfettamente a un conflitto successivo all’inizio della produzione della pellicola e nato – per ragioni molto diverse – dall’invasione russa dell’Ucraina. Uno scenario bellico che, come in molte altre guerre passate, vede costretti a darsi battaglia su fronti contrapposti popoli legati da un vincolo fraterno. È anche questa la potenza universale del grande cinema, risultare sempre attuale.
SEGUONO SPOILER sulla trama de Gli Spiriti dell’Isola e sul finale e il suo significato.
I SIMBOLI E LE METAFORE DE GLI SPIRITI DELL’ISOLA SPIEGATI NEL DETTAGLIO
«Perché sta succedendo? Non era meglio quando combattevamo insieme?» si chiedono due astanti del pub di Inisherin mentre leggono un quotidiano con le ultime notizie dall’Irlanda trucidata dal conflitto. La rottura tra Colm e Pádraic, tanto improvvisa quanto irrazionale, mette in allegoria proprio questa insensatezza che divide chi aveva un legame apparentemente insolubile. Ad esser degno di nota, però, è il modo in cui un grande autore decide di traporre sul piano visionario i temi della storia, introducendo il poetico paradosso delle dita tagliate.
Perché Colm si taglia le dita della mano ne Gli Spiriti dell’Isola?
Per convincere Pádraic dell’intransigenza del proprio rifiuto di ogni legame, Colm, che pur ammette di stimare ancora l’amico, lo minaccia di automutilarsi in caso di ulteriori contatti – minaccia cui darà seguito. Questa estremizzazione profondamente teatrale, messa in scena con suggestiva noncuranza del realismo, sottolinea la natura profondamente autolesionista di un conflitto fratricida. Colm si priverà della possibilità di dedicarsi al violino pur di tener lontano l’amico che lo ‘distraeva’ dal suonare, e Pádraic finirà per danneggiare irrimediabilmente l’uomo di cui voleva solo il bene. Il perfetto esempio di un ‘gioco’ in cui, comunque vada, perdono tutti.
Gli Spiriti dell’Isola e il significato finale del simbolo della musica
Se quello delle dita amputate è il tratto più evidentemente visionario della sceneggiatura, non mancano però altri elementi di incisiva importanza. A partire proprio da quella musica per cui Colm dice inizialmente di voler sacrificare il precedente legame con Pádraic. McDonagh introduce nello script l’elemento dell’ambizione di Colm di creare un’opera immortale che gli sopravviva al pari delle composizioni di Mozart (eventualità decisamente improbabile) per raccontare in realtà i grandi ideali e le promesse di fare la storia che i potenti hanno sempre strumentalizzato per portare i popoli a uccidersi reciprocamente in guerra.
Non è un caso che quando Colm ha finito di comporre la melodia intitolata proprio Gli Spiriti dell’Isola (The Banshees of Inisherin), quel luogo diventerà lo scenario di una serie crescente di disgrazie. A farne le spese, indirettamente, anche il puro Dominic (Barry Keoghan), incarnazione di un animo semplice e impotente destinato ad esser costantemente vittima degli abusi di chi il potere lo detiene, il padre poliziotto.
Il desiderio di Colm – ‘allergico’ al potere costituito, come del resto Pádraic – di realizzare quella musica in fin dei conti potrebbe solo rispecchiare la volontà di un uomo di lasciare un segno, di provare a superare l’anonima e noiosa vita confinata su un’isola e ambire a una sorta di immortalità dello spirito. Ma questo slancio che lo porta a rinunciare a quel che si ha (e si è) per ambire a qualcosa di più è anche il peccato originale destinato a portare caos, conflitti e sangue. Una poetica che ricorda, confermandolo e confutandolo al contempo, il verghiano ideale dell’ostrica.
Gli animali de Gli Spiriti dell’Isola: la spiegazione del senso del cane e dell’asinello
Nella realtà rurale che fa da sfondo a Gli Spiriti dell’Isola (The Banshees of Inisherin), il rapporto dei protagonisti con gli animali assume poi un significato particolare, che ha lo scopo tanto di definire meglio due caratteri compatibili ma agli antipodi quanto di rafforzare la metafora sulla guerra. Il cane, elegante e simbolo dell’intelligenza, e l’asino, goffo e associato all’immaginario dell’ottusità, incarnano perfettamente alcuni dei tratti che definiscono i rispettivi proprietari, Colm e Pádraic. Sono bestie fedeli, per definizione innocenti, verso le quali i protagonisti nutrono sentimenti di innata empatia e che nonostante la barbarie di un’amicizia trasformatasi in inimicizia risultano comunque intoccabili. Nell’economia della storia, quei compagni animali sono anche la metafora che cala nel conflitto il tema delle vittime innocenti, incolpevoli per natura e che dovrebbero esser riconosciute come tali anche dai contendenti. Ovviamente, tali valori non salveranno la povera Jenny, ‘vittima collaterale’. Una soluzione narrativa brillante e asciutta, che introduce un ulteriore spunto nel copione pur senza aggravarlo troppo degli elementi pietosi e ricattatori che sarebbero inevitabilmente derivati dal ricorrere – ad esempio – alla scelta di inserire nella storia dei bambini al posto delle adorate bestie.
Chi è l’anziana donna? Il mito delle banshee spiegato e il ruolo ne Gli Spiriti dell’Isola
Ne Gli Spiriti dell’Isola (The Banshees of Inisherin) non manca nemmeno un riferimento alla magia e al folklore legato alle origini del regista. Le banshee, citate nel brano di Colm e quindi nel titolo del film, sono le “donne delle fate” (questo il significato etimologico del termine): spiriti femminili che si aggirano per i desolati paesaggi irlandesi e scozzesi presagendo il destino e la morte con i loro lamenti. Il film sembra materializzare questo mito nell’anziana signora McCormick (Sheila Flitton), considerata quasi come una “strega” da buona parte della comunità locale. La donna è una portatrice di profezie di svenuta ironicamente evitata con improbabili sotterfugi, ma poco importa che sia effettivamente una presenza soprannaturale o solo una vecchia signora inquietante. Quel che conta è che gli uomini non vogliono saperne nulla dei suoi avvertimenti e anzi cercano più o meno educatamente di ignorarla. Le conseguenze delle nostre azioni spesso sono tutt’altro che imprevedibili, eppure preferiamo far finta di non vederle.
GLI SPIRITI DELL’ISOLA È ANCHE UN WESTERN SULLA NOIA
La costruzione formale del film di McDonagh è un altro aspetto estremamente rilevante del film, che rafforza in modo significativo il portato della sceneggiatura. Il primo grande impatto che abbiamo con Gli Spiriti dell’Isola (The Banshees of Inisherin) è nella costruzione articolata del mondo in cui è ambientata la vicenda di Pádraic e Colm. Un luogo tanto affascinante quanto inospitale, che alterna le sinuosità delle colline con la durezza delle scogliere di granito. Un luogo primitivo, ancestrale, che palpita di presenze magiche e misteriose ma anche un’ambientazione ideale per un dramma sulla noia, con i suoi abitanti costretti ad una vita pigra ed inerte, tra la cura degli animali e discorsi vacui davanti a una pinta di birra.
Una rappresentazione quasi dicotomica dell’isola che sembra già presagire il destino drammatico a cui stanno dando incontro i due protagonisti del film. E mentre il direttore della fotografia Ben Davis (al fianco del regista da 7 Psicopatici e dietro molti cinecomic Marvel) cattura la bellezza selvaggia di questo luogo sospeso nello spazio e nel tempo, McDonagh si rifà esplicitamente al lavoro di John Ford e Sergio Leone utilizzando soprattutto le inquadrature dal basso e quelle attraverso le porte e le finestre, ricorrendo alla grammatica visiva del western che così bene si adatta a quel luogo. Dopotutto i due ‘cowboy’ solitari ci sono, i paesaggi mozzafiato pure e nel saloon del paese (il pub) si suona e si litiga come nel far west.
Gli Spiriti dell’Isola e la polarizzazione come elemento scenografico
La polarizzazione destinata a diventare conflitto è un elemento di worldbuilding anche nelle scenografie degli interni: ogni cosa “parla”, niente è lasciato al caso. Le stesse case dei due protagonisti, Colm e Pádraic, sono state pensate per riflettere i caratteri dei due personaggi: Pádraic ha una casa modesta, a un piano, che consente agli animali che alleva di entrare e di fargli compagnia (un’eco delle cose in cui crede: la natura, le cose semplici della vita, e via dicendo). Al contrario, Colm risiede in una casa a due piani con vista sull’oceano, con il piano inferiore pieno di dispositivi meccanici, maschere e altre reliquie che denotano una visione più consapevole della complessità del mondo.
La distanza dell’animo sempliciotto e genuino di Pádraic da quello più ambizioso e tormentato di Colm finisce per diventare quasi abissale all’interno del pub del paese, i cui spazi sono stati progettati proprio per mettere in risalto non solo una lontananza emotiva tra i due, ma anche fisica e materiale, consentendo inquadrature in cui si evidenziando, di volta in volta, geometrie sociali diverse (solitudini, alleanze, conflitti).
L’incredibile cast capitanato dagli attori Colin Farrell e Brendan Gleeson ne Gli Spiriti dell’Isola
Che dopotutto Gli Spiriti dell’Isola (The Banshees of Inisherin) sia un film che contiene due tensioni centrifughe è così chiaro che, come ha ammesso McDonagh, ogni personaggio rappresentato – non solo i due principali – può essere il vero protagonista della propria storia, della propria direttrice di vita e dei propri desideri. Il congegno è diabolico, perché lo spettatore finisce per empatizzare e identificarsi con Colm o con Pádraic non tanto in base a quello che succede (la rottura è così disordinata ed astratta che è impossibile individuare chi ha ragione e chi ha torto) ma per quello che rappresentano i due caratteri.
Da questo punto di vista sia Colin Farrell (che dall’incontro col Lanthimos di The Lobster e Il Sacrificio del Cervo Sacro ha avuto una crescita artistica clamorosa) che Brendan Gleeson sono superlativi. Gli attori, entrambi meritatamente candidati ai premi Oscar 2023 insieme a Keoghan e Condon, sembrano quasi riprendere un discorso interrotto nel primo lungometraggio di McDonagh, In Bruges. Già allora il personaggio di Gleeson, Ken, era affascinato dalla storia, dalla cultura e dai musei della città belga, al contrario il Ray di Farell ne era immune nel suo scetticismo un po’ ottuso. Quegli stessi tic umani sono portati all’esasperazione ne Gli Spiriti dell’Isola, evidenziando le sfumature più assurde ed ironiche di questa strana coppia e lasciando spazio soprattutto a Colin Farell di valorizzare la sua irresistibile vena tragicomica, recitando la parte del semplicione, quello che non riesce a capire quello che sta succedendo (e perché sta succedendo proprio a lui), in una tenerezza che sfocia meravigliosamente nel patetico.
IL SIGNIFICATO DEL FINALE DE GLI SPIRITI DELL’ISOLA (THE BANSHEES OF INISHERIN)
In conclusione Gli Spiriti dell’Isola (The Banshees of Inisherin) segna un cambio di passo per Martin McDonagh, che nei suoi precedenti film era solito farci annegare in un nichilismo caustico senza vie di fuga. La sua più grande qualità ma per certi versi anche il suo più grande limite. Per la prima volta, invece, c’è un profondo senso di compassione che controbilancia una crudeltà irriverente, finendo per contribuire al suo lavoro più maturo, più pieno di sentimento, toccante e catartico.
Il significato del finale de Gli Spiriti dell’Isola, infatti, da una parte rende evidente come le ferite di un conflitto – che siano fatte agli altri o a se stessi – non guariranno mai del tutto. Al contempo però ci lascia con il sapore agrodolce di due uomini comunque legati tra loro e ancora capaci di gesti di empatia. La guerra può portarci via noi stessi, ma da qualche parte ci sarà sempre un terreno comune su cui provare a incontrarsi di nuovo. McDonagh stavolta è capace di abbracciare con una certa pietà l’umanità tutta, sia quella che desidera sempre di più, sia quella che pensa di essere felice con quello che ha. Ma soprattutto la maggioranza di noi, che vive da qualche parte lì nel mezzo.
(recensione di Daniele Lombardi e Luca Ciccioni)