Il cineasta spagnolo Rodrigo Sorogoyen, classe 1981, è uno dei migliori talenti della sua generazione. Dallo splendido Il Regno a Madre, passando per la serie TV Antidisturbios, non solo si è saputo muovere con disinvoltura tra piccolo e grande schermo ma ha dimostrato di saper maneggiare con maestria generi diversissimi tra loro. As Bestas, il suo ultimo lavoro per il cinema, ne è l’ennesima dimostrazione. Presentato a Cannes lo scorso anno e distribuito in Italia solamente al cinema (per ora niente streaming) da Movies Inspired e Lucky Red, il lungometraggio è stato acclamato dalla critica e recentemente ha dominato i Premi Goya (le più importanti onorificenze del cinema spagnolo) con ben nove riconoscimenti, tra cui Miglior Film.
AS BESTAS: ‘FAIDA DI CLASSE’ TRA CONTADINI
I protagonisti di As Bestas sono Antoine (Denis Ménochet) e Olga (Marina Foïs), una coppia francese che si è trasferita nella campagna della Galizia per aprire un agriturismo improntato sull’agricoltura sostenibile. Sin dall’inizio i due non sono visti di buon occhio dalla gente locale, soprattutto dai vicini – una coppia di fratelli agricoltori che si dimostrano immediatamente ostili. Quando i francesi voteranno contro l’installazione di alcune pale eoliche nel territorio, i fragili equilibri del vicinato si spezzeranno in maniera definitiva, con conseguenze imprevedibili.
RODRIGO SOROGOYEN E IL CRESCENDO MAGNETICO DI AS BESTAS
Dopo un lungometraggio dalla tematica estremamente controversa (l’incesto) come Madre e la parentesi televisiva con la serie sulla violenza della polizia antisommossa Antidisturbios, in As Bestas Sorogoyen vira verso il thriller per tornare a esplorare le profonde contraddizioni insite nell’esperienza umana. La durata del lungometraggio (137 minuti) sulla carta potrebbe sembrare particolarmente generosa, ma per come è concepita l’opera si rivela assolutamente perfetta. Il regista infatti si prende tutto lo spazio narrativo necessario per creare un impianto in cui la dicotomia tra ragione e istinto è il fulcro centrale e che permetterà una ferina escalation di violenza – fisica e psicologica – partendo da presupposti insospettabili.
Per fare ciò l’autore spagnolo, che ancora una volta scrive a quattro mani con la sceneggiatrice Isabel Peña, lavora di cesello sull’atmosfera e sulla costruzione di un climax ineludibile. Un crescendo sottile tiene infatti gli spettatori incollati allo schermo, portandoli dalla diffidenza iniziale a quel punto di non ritorno che costituisce l’acme della storia. Il linguaggio di macchina fatto di numerosi pianisequenza (statici e dinamici) e la fotografia plumbea che lascia poco spazio alla speranza sono strumenti eccellenti al totale servizio dello script e incidono in modo decisivo nel costruire la sensazione di inquietudine e angoscia che definisce tutta la pellicola.
IN AS BESTAS RITORNA L’ETICA MALATA TIPICA DI SOROGOYEN
Sorogoyen ha sempre scritto tutti i suoi film e come sceneggiatore, dopo un inizio più legato alla tematica sentimentale, ha trovato una propria identità autoriale nella caustica denuncia della fragilità delle convenzioni sociali. Sin dal pessimista Que Dios Nos Perdone (2016), in cui un serial killer inafferrabile uccideva donne anziane durante una visita del Papa a Madrid, il cineasta si dimostra abilissimo nel destabilizzare le aspettative del pubblico e nell’esporre la comprimibilità di ogni etica.
In As Bestas il carattere pericolosamente soggettivo della giustizia naturale e il principio plautino dell’homo homini lupus vengono portati all’estremo e – come già nella filmografia passata di Sorogoyen – la convinzione più o meno lecita del sopruso trasforma la ‘vittima’ in carnefice. Saranno solo i fattori ambientali e i fortuiti casi della vita che decideranno chi con la morale saprà frenare l’istinto, e sarà la caoticità degli eventi a sentenziare chi, tra intelletto e bestialità, avrà la meglio.
Il casting del film, nel costruire questa dicotomia, è brillante: i volti, la fisicità e le interpretazioni degli attori (tutte eccellenti, nessuna esclusa) amplificano questa opposizione quasi esistenziale, senza però scadere nella bidimensionalità e anzi insistendo sulle ambiguità e le sfumature di ogni maschera. Il regista ci cala in una fanghiglia dell’anima, ma pur senza cedere al politicamente corretto non manca di suggerire una flebile luce in fondo al tunnel. Parliamo dei personaggi femminili, gli unici capaci di bilanciare la ferale vendicatività degli uomini.
As Bestas, lavoro eccellente cui veramente pochissimo può essere rimproverato, è la definitiva consacrazione di un regista e sceneggiatore il cui vivido talento meriterebbe una fama ben più importante. Autori come Rodrigo Sorogoyen, che riescono a mantenere intatto il loro stile e il livello qualitativo delle proprie opere pur cambiando continuamente genere, sono merce estremamente rara. Nell’omologazione che sempre più piaga il cinema contemporaneo e nella debolezza di un cinema europeo troppo spesso ripiegato su se stesso, i film di questo impeccabile regista spagnolo sono un patrimonio da difendere con le unghie e con i denti.