Indiana Jones e il Quadrante del Destino (2023), nuovo film di Indiana Jones nonché capitolo n.5 della saga, riporta l’archeologo con la frusta interpretato da Harrison Ford al cinema per chiudere una volta per tutte – pare – il franchise sul celebre avventuriero. Diretto da James Mangold (Logan), il film segna il ritorno di Indy, prossimo alla pensione, in un anno particolarmente significativo: quel 1969 che segnò una demarcazione culturale e aprì le porte ai sogni delle nuove generazioni.
Indiana Jones and the Dial of Destiny – questo il titolo originale – arriva in sala 42 anni dopo l’uscita de I Predatori dell’Arca Perduta, fortunatissima opera diretta da Steven Spielberg su un soggetto di George Lucas che ha introdotto al pubblico l’iconico title character e ha condizionato per sempre l’immaginario pop di intere generazioni. James Mangold prende il testimone di Spielberg non senza una certa soggezione, che traspare nel DNA di quella che è a tutti gli effetti una operazione nostalgia. La storia infatti si muove costantemente tra passato e presente, seguendo uno script che compila tutte le caselle che il pubblico si aspetta: avventura, azione, ironia, soprannaturale, totalitarismi, ambientazione storica e un immancabile pizzico di romanticismo.
INDIANA JONES E IL QUADRANTE DEL DESTINO (2023): UN NUOVO FILM CHE TORNA SEMPRE AL PASSATO
Lo script di Indiana Jones e il Quadrante del Destino cerca di dare una chiusura soddisfacente alle avventure del professor Jones mettendo al centro la storia personale e professionale del protagonista; un Harrison Ford che stavolta non può nascondere i dolori del corpo e dell’anima di un ottuagenario ma che è sempre sfacciatamente in parte.
Un lungo prologo iniziale proietta lo spettatore nell’immaginario della saga di Indiana Jones, con il protagonista, visibilmente ringiovanito in CGI, in una delle sue tante avventure alla ricerca di antichi tesori trafugati. Come nel primo film, la storia ci riporta al periodo della II Guerra Mondiale, nel 1944, con un Indy che non ha alcuna remora a gettarsi da un treno in corsa pur di salvare preziose reliquie dalla brama dei colonnelli nazisti.
INDIANA JONES: L’ALLUNAGGIO, LA PENSIONE E UN’AVVENTURA CON LA ‘FIGLIOCCIA’
Il mistero legato a questi oggetti diventa esso stesso motivo di fascinazione per Basil Show (Toby Jones), collega ed amico dell’archeologo con la frusta che dopo qualche anno subirà il peso del ritrovamento della macchina di Antykitera, un congegno ideato da Archimede per governare il tempo. Ed è sempre il fil rouge del salto temporale che riconduce lo spettatore al qui ed ora della narrazione, al 21 luglio del 1969: lo storico giorno in cui l’uomo ha camminato per la prima volta sulla Luna nonché l’ultimo giorno di lavoro per il nostro protagonista.
Ritroviamo così un attempato Indiana Jones che deve fare i conti con l’età, un divorzio imminente, un gruppetto di studenti annoiati e soprattutto l’incombente presenza della figlioccia Helena (la Phoebe Waller-Bridge di Fleabag), un’archeologa globe-trotter dal passato poco trasparente. Insieme attraverseranno l’Atlantico per iniziare un’avventura che li porterà nel Mediterraneo, tra i vicoli del Cairo e i pescherecci della Grecia, fino a raggiungere Siracusa e l’Orecchio di Dionisio, una grotta che cela ai tanti turisti una storia misteriosa e affascinante.
IN INDIANA JONES E IL QUADRANTE DEL DESTINO UN OTTIMO CAST (DA MIKKELSEN A WALLER-BRIDGE) NON SEMPRE È SFRUTTATO A DOVERE
In Indiana Jones e il Quadrante del Destino il ritorno al passato è evidente anche nella struttura dei personaggi complementari, che richiamano in particolare i primi due film della saga, come a ricordare la ciclicità della storia e dei suoi protagonisti. Nella nuova avventura di Indiana Jones ritroviamo così una coprotagonista femminile e un perfido antagonista, lo scienziato Jurgen Voller, interpretato da Mads Mikkelsen. Per rimarcare ulteriormente il contatto con il passato Mangold inserisce anche il comprimario Teddy (Ethan Isidorre), un ragazzino orfano che ricorda il ruolo di Shorty (Ke Huy Quan) in Indiana Jones e il Tempio Maledetto, mentre sullo sfondo della noiosa vita newyorkese ritroviamo le certezze di Henry Jones: l’amico Sallah (John Rhys-Davies) e Marion (Karen Allen).
Per qualche minuto appare anche Antonio Banderas, in un ruolo che va poco al di sopra del cameo e non apporta alcunchè alla storia. È anche nella scelta di dettagli come questi che purtroppo il film di Mangold non funziona a dovere, concentrandosi prevalentemente sull’aura del passato e tralasciando le storyline dei coprotagonisti. Gli attori infatti fanno tutti più che egregiamente la propria parte, ma sembrano ingabbiati in una sceneggiatura rigida e stereotipata, che non lascia esprimere né il potenziale ironico di Waller-Bridge né quello drammatico di Mikkelsen. Entrambi, notoriamente ottimi interpreti, avrebbero infatti potuto dare quello slancio che Indiana Jones e il Quadrante del Destino avrebbe meritato di avere ma che, purtroppo, si perde nell’aderenza a una formula del tutto standardizzata.
NON C’ERA VERAMENTE BISOGNO DI INDIANA JONES E IL QUADRANTE DEL DESTINO, MA HARRISON FORD VALE IL PREZZO DEL BIGLIETTO
L’operazione nostalgia di James Mangold non è priva di senso e il regista coglie tutte le occasioni che ha per sottolineare la ciclicità della storia e dunque del personaggio. Purtroppo le criticità di Indiana Jones e il Quadrante del Destino si rilevano in fase di sceneggiatura, dove Mangold scrive insieme a Jez e John-Henry Butterworth una narrazione che fa leva su tematiche ben comprensibili ma tutt’altro che fresche, appesantite da ritmi non sempre fluidi e scenari che passano troppo facilmente dall’epica del fantastico all’inverosimile.
A livello registico Mangold gira bene e riesce a confezionare con eleganza e spettacolarità quello che dovrebbe essere l’ultimo film sull’archeologo avventuriero. Se la prima parte funziona abbastanza bene – nonostante l’esagerazione di alcune sequenze che sembrano appartenere più all’immaginario di John Wick che a quello di Indiana Jones – è però nella seconda che gli elementi narrativi iniziano a traballare.
Nonostante il ritorno di Indy non sia del tutto convincente, la stella di Harrison Ford brilla come di consueto di luce propria: parliamo pur sempre di un interprete ineccepibile, che ama i suoi personaggi e lo dimostra con tutto se stesso. Tra i motivi per cui vale la pena vedere in sala Indiana Jones e il Quadrante del Destino c’è infatti proprio l’interprete principale. A dispetto del dato anagrafico Ford concede allo spettatore – ancora per una volta – tutto il fascino e la determinazione di Indiana Jones, un personaggio che ha contribuito ad alimentare la fantasia di tre generazioni e che rimarrà per sempre una punto di riferimento del genere. La ricetta in fondo è quella giusta, ma il mondo che circonda lo spettatore non è più quello degli anni ’80.