Killers of the Flower Moon, nuovo film di Martin Scorsese (Taxi Driver, Quei Bravi Ragazzi, The Wolf of Wall Street), è un crime drama che rilegge con originalità gli archetipi del genere western e vede nel cast attori eccellenti come Leonardo DiCaprio (C’Era Una Volta a Hollywood), Robert De Niro (Novecento), Jesse Plemons (Sto Pensando di Finirla Qui) e la fin qui poco conosciuta Lily Gladstone (First Cow). Degna di nota anche la presenza, seppur in ruoli estremamente marginali, di talenti maiuscoli come John Lithgow (The Crown) e Brendan Fraser (The Whale).
Killers of the Flower Moon: cast, durata, uscita in streaming e storia vera
La pellicola, dalla durata monstre di tre ore e mezza, è costata ben 200 milioni di Dollari ed è stata co-distribuita al cinema a livello internazionale da Paramount e AppleTV+ (su cui debutterà in streaming a ridosso dei Premi Oscar 2024), mentre in Italia i diritti sono di Rai Cinema e Leone Film Group. Decima collaborazione tra Scorsese e De Niro – come il precedente e imponente The Irishman – e sesta tra il regista e DiCaprio, vede il ritorno dietro la macchina da presa di molti illustri nomi che da lunga data accompagnano il cineasta italo-americano. Tra questi la montatrice Thelma Schoonmaker, il direttore della fotografia Rodrigo Prieto (Barbie) e il compianto compositore Robbie Robertson – scomparso nell’agosto 2023.
La sceneggiatura di Killers of the Flower Moon, firmata a quattro mani da Scorsese con Eric Roth (Dune di Denis Villeneuve), racconta con qualche libertà una storia vera ed è l’adattamento del saggio di David Grann del 2017 Gli Assassini della Terra Rossa: Affari, Petrolio, Omicidi e la Nascita dell’FBI. Una Storia di Frontiera.
LA TRAMA DI KILLERS OF THE FLOWER MOON, IL NUOVO FILM DI MARTIN SCORSESE
La storia di Killers of the Flower Moon ha luogo negli anni ’20 del ‘900 nell’Osage, una contea dell’Oklahoma che prende nome dall’omonima tribù di nativi americani. Un’agile introduzione porta lo spettatore proprio nel cuore della comunità indiana, che sta conoscendo un incredibile momento di ricchezza grazie alla scoperta di innumerevoli giacimenti petroliferi nelle proprie terre.
Tale opulenza fa gola anche a molti uomini bianchi che, mascherando intenzioni predatorie dietro blandizie poco credibili, cercano di inserirsi nella ‘Nazione Osage’ per partecipare di tanto benessere.
Mentre una misteriosa serie di omicidi inizia a funestare quei luoghi, si incroceranno indissolubilmente le strade del ricchissimo imprenditore e benefattore William King Hale (De Niro), del suo incolto nipote Ernest Burkhart (DiCaprio) e di una ricca ereditiera Osage, Mollie (Gladstone).
KILLERS OF THE FLOWER MOON È UNA STORIA VERA?
Killers of the Flower Moon mette in scena una storia vera i cui protagonisti corrispondono esattamente ai nomi che ritroviamo sullo schermo. Una delle tante pagine nere della storia a stelle e strisce, una sorta di piccolo genocidio a lungo dimenticato dai libri di storia statunitensi. Nella complicata vicenda produttiva del film, fatta di molteplici ritardi dovuti anche alla pandemia di Covid-19, però lo script ha subìto numerosi rimaneggiamenti.
Il più corposo di questi si è reso necessario quando Scorsese e Roth si sono accorti che stavano raccontando una storia di razzismo e abuso quasi esclusivamente dal punto di vista di uomini bianchi. È qui che, sposando una sensibilità più contemporanea, hanno incluso maggiormente nella storia la prospettiva femminile ed etnica, spostando il fulcro del lungometraggio sul rapporto tra Molly e Ernest.
I PROBLEMI PRODUTTIVI DI KILLERS OF THE FLOWER MOON E IL CAMBIAMENTO DI RUOLO DI DiCAPRIO
Tra un rimaneggiamento e l’altro, sono cambiate anche le scelte di casting legate agli attori principali. Leonardo DiCaprio, anche co-produttore, era stato inizialmente scelto da Scorsese per interpretare una agente del BOI (agenzia governativa da cui nacque l’FBI), ma ha poi insistito incessantemente per avere la parte del co-protagonista, il bifolco reduce di guerra Ernest Burkhart. È così che nel ruolo del ranger che subentrerà nel terzo atto per indagare sugli omicidi è stato chiamato Plemons.
È comprensibile che l’attore premio Oscar per The Revenant non amasse quel personaggio un po’ bidimensionale e ambisse a una più gratificante sfida attoriale e a un maggiore screentime. La scelta di affidargli una parte chiaramente non scritta per lui lo costringe però a un esercizio di trasformazione di quelli particolarmente ardui. Il risultato è che del delicato lavoro di equilibrismo tra trasformazione e sottrazione che sarebbe richiesto c’è una minima traccia, e così – indossata una dentiera marcia – il pur generalmente ottimo DiCaprio finisce per strafare e sembrare uscito più da una gag del Saturday Night Live che dal capolavoro di un maestro del Cinema.
ROBERT DE NIRO, LEONARDO DiCAPRIO E GLI ALTRI: CHI ECCELLE E CHI GIGIONEGGIA
Sono proprio le interpretazioni uno degli elementi più degni di attenzione di Killers of the Flower Moon.
Leonardo DiCaprio solo a tratti lascia intravedere cosa sarebbe potuto essere se avesse saputo darsi una contenuta in tutto l’arco evolutivo del suo personaggio. Con una sorprendente incostanza, alterna infatti lunghe scene straordinariamente convincenti con altrettanti momenti di gigionismo di bassa lega. Impossibile non chiedersi cosa sarebbe accaduto se quel personaggio fosse stato assegnato a Plemons, che per physique du rôle e misuratezza avrebbe probabilmente rasentato la perfezione.
D’altro canto Robert DeNiro, la cui preclara reputazione non è stata minata nemmeno da decenni di commedie spazzatura, qui sorprende per un ritrovato vigore che sembrava ormai irrimediabilmente perso. Scordatevi l’anziano interprete eccellente ma un po’ appannato dalla vecchiaia che avevamo visto in The Irishman: qui il monumentale Bob offre la sua miglior performance degli ultimi decenni. Cordiale, autorevole, minaccioso e cangiante; senza mai eccedere dà vita a un carattere che si mangia la scena a ogni sua apparizione. Sembra volerci ricordare a ogni inquadratura la sua indiscutibile grandezza.
Menzione doverosa anche per la superlativa Lily Gladstone. C’è solo da sperare che altri registi continuino a valorizzarne il talento in futuro, perché questa trentasettenne discendente dalle tribù dei Piedi Neri e dei Nasi Forati fa sfoggio di doti recitative raffinatissime e di un carisma indiscutibile. Il suo contributo al film è più che decisivo.
LA SPIEGAZIONE DEL SIGNIFICATO FINALE DI KILLERS OF THE FLOWER MOON
Il principale merito di Killers of the Flower Moon sta nella capacità di Martin Scorsese di sottrarsi tanto alle trappole del politicamente corretto quanto ai consunti schermi della retorica di frontiera. In un momento storico segnato profondamente dal fenomeno delle migrazioni (se vi sentite coraggiosi potete guardare Human Flow di Ai Weiwei), il cineasta newyorkese ribalta molti dei cliché a riguardo.
Forzando un po’ la mano sulla vera indipendenza economica dei nativi americani, mette in scena un gioco di ribaltamento delle posizioni di potere, in cui nei panni di chi ‘viene da fuori’ inseguendo una possibilità di realizzazione economica ci sono gli uomini bianchi. I caucasici diventano così dei veri e propri ‘migranti’ nella riserva Osage, disposti a fare buon viso a cattivo gioco davanti a prese in giro ed emarginazione, pur di tenersi stretta la propria chance di riscatto. Le dinamiche però sono ben più complesse, ed è qui che la grande macchinazione narrativa restituisce – almeno in una certa misura – giustizia sociale e denuncia storica a questo grande affresco di inizio Novecento.
Essendo l’argomento narrato comunque scottante, non potevano certo mancare le polemiche. Uno dei principali consulenti linguistici del film, l’osage Christopher Cote, ha lamentato non senza ragioni una certa indulgenza di sguardo degli sceneggiatori verso i carnefici, che effettivamente non ne escono bene ma neanche sono oggetto di una condanna realmente proporzionata alle loro azioni da parte del regista – soprattutto in relazione a uno di essi. Uno dei pregi del film, però, a ben vedere è proprio quello di rifuggire l’esplicitazione di una facile morale.
KILLERS OF THE FLOWER MOON, LA QUESTIONE DELLA DURATA E IL CHITARRISTA DEI WHITE STRIPES
Uno degli aspetti più ineludibili di Killers of the Flower Moon è la sua durata di 206 minuti. È vero che i film da qualche anno sono protagonisti di una progressiva estensione del minutaggio medio, e questo è evidentemente un riflesso dell’impatto avuto dalla serialità televisiva sull’industria audiovisiva.
Lo stesso Scorsese d’altronde, giustificando la lunghezza del suo ultimo lavoro, chiama in ballo proprio l’esperienza del bingewatching delle serie TV insieme alla durata media delle pièce teatrali – scordando però che il primo si regge sul ritmo dato da cliffhanger e micro-nuclei narrativi e che il secondo si rivolge a pochi motivati estimatori.
Il tempo che conta davanti a uno schermo però non è mai quello dell’orologio, bensì quello percepito. E nonostante il pacing della storia si prenda ampi tempi per ritrarre il contesto (una scelta per cui Scorsese dice di essersi ispirato a Midsommar e Beau Is Afraid di Ari Aster), la durata non è un problema. Certo, capita di avere momenti di stanca, ma l’editing sempre eccellente di Thelma Schoonmaker – che pur si lascia sfuggire un paio delle sue proverbiali sviste di montaggio – fa in modo che non subentri mai la noia.
Tre ore e mezza sono tante o sono poche?
Il punto è che la storia raccontata è decisamente ipertrofica, soprattutto se si considera che è accompagnata dalla necessità di introdurre allo spettatore gli usi e i costumi degli Osage. Il risultato è che se tre ore e mezza risultano comunque molto pesanti da gestire per lo spettatore medio, non bastano in ogni caso a contenere il film.
Taluni passaggi dell’arco evolutivo dei protagonisti finiscono per sembrare giusto abbozzati e il finale – pur adorabile nella sua ruffiana e inaspettata metanarratività – non può non sembrare una soluzione di ripiego per accelerare quanto non si è riuscito a includere nella pellicola. Anche se ci regala un gustosissimo cameo di Jack White dei White Stripes.
Tutto questo, tornando a quanto detto sopra, non può che aprire una riflessione sulle potenzialità della serialità televisiva di alto profilo – sempre più rara. Nella forma di una miniserie TV (formato con cui ha già familiarità), Scorsese avrebbe potuto probabilmente trovare il modo di trasformare un lavoro eccellente in un capolavoro.
KILLERS OF THE FLOWER MOON DI MARTIN SCORSESE: IL GIUDIZIO FINALE
In conclusione è proprio questo il sapore piacevole ma un po’ amaro che rimane in bocca al termine della visione. Killers of the Flower Moon è sicuramente un film straordinario. Lo è per idee, eleganza nella confezione e interpretazioni. Eppure è evidente come, con pochi accorgimenti in più, avrebbe potuto essere molto di più. Probabilmente ai limiti della perfezione.
Va detto però che a un autore come Scorsese, la cui filmografia contiene più gemme di quante non possano ambire anche solo a sognarne la maggior parte dei suoi colleghi, si perdona tutto. A ottant’anni suonati propone ancora un cinema che compensa una forma non sempre accattivante (e, anzi, un po’ polverosa, nonostante gli ottimi sforzi di Prieto) con uno sguardo di rara potenza.