Arriva su Netflix Kaos, serie black comedy britannica in otto episodi. Ideata da Charlie Covell (The End of the F***ing World, 2017), la serie ambienta i miti greci nella contemporaneità, e vede come co-protagonista Jeff Goldblum (Jurassic Park, 1999; The Mountain, 2018; Jurassic Park, 1993) nei panni di un irritante e arrogante Zeus.
DI COSA PARLA KAOS? I MITI GRECI AMBIENTATI NEL PRESENTE
Nella Creta contemporanea, un’antica profezia delle Moire inizia ad avverarsi, predicendo la fine del dominio degli dei. A tirare le fila del meticoloso piano per destituire Zeus (Jeff Goldblum) è Prometeo (Stephen Dillane); per riuscirci è però necessario che Orfeo (Killian Scott) sbilanci le leggi cosmiche, riportando in vita Euridice (Aurora Perrineau) in un tormentato viaggio nell’aldilà, con l’aiuto del figlio ribelle di Zeus, Dioniso (Nabhaan Rizwan).
LA LUNGA STORIA DI KAOS
Era il 2018, quando Netflix annunciò che era in lavorazione una serie in 8 puntate intitolata Kaos. L’unica informazione che serpeggiava negli inattendibili corridoi dei rumors era un vago riferimento alla mitologia greca classica. Il progetto ha iniziato a prendere piede con vari rallentamenti (periodo pandemico incluso), per poi iniziare le riprese in Spagna nel 2022 e approdare, finalmente, su Netflix nel 2024. Un’attesa angosciante, quella di Kaos, la cui idea però ha dato abbondanti frutti.
KAOS INTRODUCE LA VERA NATURA DEGLI DEI GRECI
Charlie Covell si era fatto conoscere per il suo lavoro con The End of The Fu**ing World: una serie tanto irriverente, quanto indagatrice dei risvolti della psicopatia e che getta lo spettatore nel crudo realismo di una realtà psicologica complessa. Un’atmosfera che torna in Kaos, ma con l’aggiunta di un abbondante tono kitsch per rendere chiara la natura delle divinità greche.
Un po’ per contaminazione culturale, in quel processo antropologico che trasforma le vecchie credenze nelle nuove e che è oggetto della teologia comparata, un po’ perché l’idea di divinità rinvia spesso all’idea pura di “giustizia” – per questo e per altri motivi dei capricci delle divinità greche non c’è una consapevolezza reale. Kaos restituisce bene l’idea di quanto gli dei concepiti nella classicità siano profondamente presuntuosi, avidi di potere e controllo, nonché privi di saggezza e sanità morale.
IL PUNTO FORTE DI KAOS: IL CAST
L’Olimpo e gli dei di Covell sono una caricatura. Una rappresentazione che parte dall’estetica kitsch che la regia decide di adottare, utile a rendere l’idea dell’eccessiva opulenza. Zeus (Jeff Goldblum) vive in un palazzo dagli interni dorati, e cammina in tuta e scarpe da tennis; ozia e non si smuove; e quando decide di scendere fra i mortali, lo fa in vestaglia. Il tutto manifestando un palese narcisismo, accompagnato a un malsano abuso di potere.
Partendo proprio dall’eccezionale interpretazione di Goldblum, uno dei punti di forza di Kaos sono i personaggi e quindi la scelta oculata del cast: Era interpretata da un’imperiosa e granitica Janet McTeer (Ozark, 2018-2022; The Menu, 2022; di grande spessore è il personaggio di Ade, interpretato da un pavido e allampanato David Thewlis (Harry Potter 2004-2011; Sto pensando di finirla qui, 2020; The Sandman, 2022) che abbiamo capito trasformare in oro tutto ciò in cui lavora, nonostante lo screen time spesso ridottissimo.
LO SPAZIO TRIPARTITO DI KAOS
Seguendo le storie degli dei dell’Olimpio, degli esseri umani, dell’Aldilà e del loro intreccio, Kaos diviene una sorta di multilineare tripartito. Zeus preoccupato nel suo rigoglioso Olimpo tenta di mantenere il potere, richiamando all’ordina la “famiglia”; il re di Creta, Minosse, esegue gli ordini degli dei, rasentando l’immoralità proprio del personaggi tragici; Orfeo si lancia alla ricerca di Euridice nell’Oltretomba.
Da qui, la scelta di regia di spezzare cromaticamente lo spazio narrativo. Difatti, i colori accesi sono utili a rendere l’opulenza dell’Olimpo e rendono ancora più kitsch e ridicolo l’ambiente divino. Al contrario, il regno di Ade e Persefone (Rakie Ayola) è in bianco e nero, spento e lontano dal mondo della vita.
KAOS E I TEMI MACBETHIANI
Kaos, oltre la scelta di riambientazione nell’era contemporanea e l’apparente tono comedy, non dimentica la gravitas della tragedia che pervade lo script. Infatti, nonostante la prima impressione umoristica, la serie di Covell lascia trasparire i toni oscuri e lo fa usando un tragediografo ben più recente dei classi greci: Shakespeare.
Molti , infatti, sono i riferimenti a Macbeth. Il tema della pre-destinazione dell’essere umano, della cupidigia e del potere si agganciano a quello della profezia che si autoavvera. Così, il rapporto perverso tra Zeus ed Era assume sfumature inquietanti, malate ed equivoche; proprio Era è da supporto alla follia immorale di Zeus. Una distopia di coppia che trova un vicino riferimento seriale a Frank e Claire Underwood di House of cards (2013-2018).
OLTRE LA FOLLIA E IL POTERE: KAOS SI APRE ALLA SECONDA STAGIONE
Accanto ai temi della follia e del potere, vi sono quelli della corruzione, di alleanze e contro-alleanze in un dipinto di un’umanità avida e distorta. I rapporti fra esseri umani e dei sono tanto precari quanto fasulli, in quanto basati su timore, ipocrisia e superstizione.
Oltre questo mondo di tensioni e interessi, il finale di Kaos presenta un “personaggio” che è una forza ben più grande degli dèi, una forza cosmica a cui si appella Prometeo e che risuona forte nei versi della tragedia di Sofocle. La stessa forza che chiude la prima stagione, aprendo lo spazio a un significato complesso della tragicità come topos dell’umanità.