Ormai conosciamo gli Stati Uniti come il modello di riferimento contemporaneo (non ancora del tutto perfetto) del cosiddetto melting pot, una società capace di costruire un’identità condivisa nonostante al suo interno convivano persone diversissime tra loro; non sempre però è stato così, le minoranze (in primis la comunità afroamericana) si sono dovute guadagnare a caro prezzo questo status. Tantissime sono le storie che hanno segnato questa traumatica ma necessaria fase di transizione: una di queste è raccontata dalla regista Nancy Buirski in The Rape of Recy Taylor, pellicola presentata nella sezione Orizzonti della 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
The Rape of Recy Taylor è un documentario che tratta una vicenda poco conosciuta dal grande pubblico.
Recy Taylor, ragazza di colore di 24 anni, venne rapita e violentata in Alabama nel 1944 da sei ragazzi bianchi. Nonostante le famigerate Jim Crow South, leggi razziali rimaste in vigore fino al 1965 che hanno costretto di fatto molte donne vittime di abusi a rimanere in silenzio, la donna denunciò il reato e identificò i suoi carnefici. Venuto a conoscenza della denuncia, il NAACP (associazione per la difesa dei diritti civili) inviò ad occuparsi del caso Rosa Parks, la paladina della lotta contro la segregazione razziale.
Il film fa luce su una realtà, quella del sud degli Stati Uniti, che non riesce ancora a lasciarsi alle spalle il suo sanguinoso passato.
La documentarista Nancy Buirski, da sempre sensibile ai temi dei diritti civili, racconta nel dettaglio una brutta storia di violenza che settant’anni fa coinvolse una giovane donna vittima, solo perché colpevole di essere afroamericana, di un vero e proprio calvario in un paesino dello stato ultraconservatore dell’Alabama. Oltre al terribile abuso, molti sono i punti oscuri di questa tristissima vicenda: innanzitutto colpisce il livello di omertà e indifferenza all’interno di Abbeville, ancora influenzata dalla mentalità razzista tipica di quella parte profonda di America; inoltre la Buirski accusa l’informazione di essersi interessata al caso di Recy Taylor solo dopo che Rosa Parks era entrata in azione per difendere la causa della malcapitata donna (senza la Parks, la vicenda non avrebbe avuto lo stesso impatto mediatico). Raccogliendo le testimonianze di attivisti, professori universitari, storici e parenti delle parti coinvolte (vittima e carnefici), esce fuori un quadro a tratti surreale: la cosa che colpisce di più di questa storia non sono solo le tardive scuse ufficiali dell’Alabama nel 2011 ma sapere che molti dei ragazzi responsabili dello stupro multiplo siano successivamente diventati degli eroi di guerra (in Corea e Vietnam).
La scena finale, che mostra proprio Recy Taylor quasi centenaria ancora viva e vigile, dimostra come la tenacia di questa donna, che ha sempre lottato per ottenere giustizia, sia stata talmente forte da sopravvivere anche ai suoi aguzzini (indicative le riprese all’interno del cimitero di Abbeville); l’America, pur con tutte le sue contraddizioni, vuole imparare dai propri errori e opere come The Rape Of Recy Taylor servono a ricordarci che certe atrocità non possono più essere tollerate ai giorni nostri.