Anche quest’anno il cinema di animazione sbarca a Venezia: se l’anno scorso è toccato a Gantz:O, presentato fuori concorso a Venezia 73, quest’anno tocca a Gatta Cenerentola, inserito nella sezione Orizzonti della 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Una bella notizia perché, per una volta, il paese che rappresenta l’animazione al Lido non è il Giappone bensì l’Italia.
Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone firmano una coraggiosissima opera cinematografica utilizzando un genere che in Italia è sempre stato snobbato perché considerato a solo appannaggio del pubblico infantile, dimostrando invece come il cinema d’animazione autoriale possa avere spazio anche nel Belpaese. Certo, non sono molti i precedenti che hanno avuto fortuna col grande pubblico, e se escludiamo i lavori di Enzo D’Alò (il suo più grande successo commerciale fu La Gabbianella e il Gatto), rimane una selezione decisamente esigua. Stupisce che nonostante la grandissima tradizione fumettistica tricolore (Diabolik, Tex, Dylan Dog e moltissimi altri) non si sia mai sviluppata una solida industria del ‘cartone animato’, contrariamente a quanto accaduto negli USA, dove i comics hanno aperto la strada ai cartoon, o in Giappone, dove un’evoluzione simile ha legato i manga e gli anime.
Con L’arte della Felicità i 4 registi partenopei d’animazione avevano già fatto vedere che da noi qualcosa si stava smuovendo, ma se il loro precedente lavoro era incentrato più su un soggetto riflessivo, in Gatta Cenerentola hanno deciso di svoltare in termini di scrittura, usando l’omonima fiaba napoletana tratta da Lo Cunto de li Cunti di Giambattista Basile (una delle tante versioni di Cenerentola, poi “standardizzata” nel 1950 dal celeberrimo cartone Disney) come punto di partenza, inserendo però sia elementi caratteristici del cinema di genere italiano (in particolare quello poliziesco e noir) sia una peculiarità cara all’animazione giapponese, ovvero l’impronta futuristica (pur mantenendo fede al setting napoletano). Il risultato finale è un lungometraggio maturo, per nulla stucchevole e soprattutto adatto a tutti, bambini e pubblico adulto.
Da un certo punto di vista, Gatta Cenerentola è un film riuscito: la sceneggiatura è di alto livello, la regia fa egregiamente il proprio dovere, la gestione del ritmo è impeccabile ed è ottima anche la colonna sonora. A dispetto dei numerosi punti di forza del progetto, però, l’aspetto più fragile è purtroppo proprio quello più essenziale, ovvero l’animazione.
Gli ottimi Alessandro Gassman, Maria Pia Calzone e Massimiliano Gallo sembrano quasi non saper come approcciare alla storia disegnata in computer grafica dagli illustratori, forse proprio perché anche in sala di doppiaggio era percepibile quello spiacevole senso di distacco che una realizzazione tecnica non all’altezza suscita – nonostante tutto – nello spettatore. A dispetto di ogni buona intenzione, infatti, il risultato finale è in termini qualitativi molto più vicino a un videogioco dei primi anni 2000 che a un prodotto lontanamente spendibile sul mercato estero.
Il character design potrebbe infatti avere dei buoni concept, ma l’immaginario d’insieme risulta un ibrido piuttosto confuso e l’avarizia di poligoni con cui viene portato sullo schermo sembra essere più una conseguenza dei pochi mezzi a disposizione degli animatori che una scelta stilistica. L’utilizzo del cell shading, che ‘trasforma’ il 3D in un finto 2D, potrebbe essere una buona scappatoia tecnica, ma l’imprecisione dei dettagli (sembra addirittura che per smussare i poligoni si siano scelti degli smooth shaders piuttosto che delle curve di Bézier) pesa sul risultato finale almeno quando una costante asincronia del sonoro (a tratti degna al massimo di pellicole dilettantistiche) e la trascuratezza di alcune ambientazioni a dir tanto abbozzate.
A pesare però più di ogni altro elemento sul risultato finale, è l’animazione vera e propria. Se ogni aspetto della realizzazione avrebbe potuto funzionare meglio se supportato da una certa fluidità dei movimenti, l’innaturalezza con cui ‘vivono’ lo spazio i character, che sembrano ‘ingessati’ come pupi siciliani, è semplicemente inaccettabile.
L’impressione riguardo le intenzioni di Gatta Cenerentola, film quasi pionieristico dal budget non particolarmente generoso (unica giustificazione per una resa grafica così poco felice), è non tanto quella di un prodotto che vuole raccontare una storia (tutt’altro che inedita), quanto quella di un’opera che mira a dare uno scossone a tutto il mondo dell’animazione italiana, quasi come un manifesto. Il più importante merito di questi cartoonist nostrani è infatti quello di voler sfondare ad ogni costo il muro dell’indifferenza dei distributori e del pubblico, con una strategia ben concepita che passa anche dalla raccolta resa nota da Garrone, da doppiatori ben conosciuti al grande pubblico e dalla solida distribuzione di Rai Cinema.
In tal senso a Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone si perdona ogni errore tecnico ‘di gioventù’ e l’assenza di una poetica coerente e visionaria, e va anzi riconosciuto il merito di aver realizzato un lavoro che rimarrà tra i più importanti nella nascita dell’industria dell’animazione Italiana (che, checché se ne dica, è purtroppo ancora ben lontana dal fiorire).